LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20614-2020 proposto da:
T.G., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO DE PACE;
– ricorrente –
contro
INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO GAMBACCIANI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1850/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA PICCONE.
RILEVATO
che:
Con sentenza del 4 dicembre 2019, la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta da T.G. avverso la decisione di primo grado che aveva ritenuto la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione obbligatoria all’INARCASSA;
– la Corte, in particolare, aveva reputato infondate le doglianze di parte appellante volte a sostenere l’erroneità della iscrizione, alla luce della obbligatorietà della stessa, da ritenersi non soltanto per il caso di esercizio di attività “riservate” ossia oggetto di riserva per gli iscritti all’albo;
– avverso tale pronunzia propone ricorso T.G., affidandolo a due motivi;
– resiste, con controricorso, INARCASSA;
– entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce la illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 6 del 1981, art. 21, e dello Statuto INARCASSA, art. 7;
– con il secondo motivo si allega l’erroneo esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento all’esame relativo all’attività concretamente svolta dal ricorrente;
– il primo motivo è infondato;
la questione sottoposta all’esame del Collegio è sostanzialmente quella della sussistenza dell’obbligo contributivo in favore della Inarcassa da parte dell’ingegnere che pur non svolgendo, in tutto od in parte, le attività tipiche della professione (definite dalla L. 24 giungo 1923, n. 1395, art. 7, e dal R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52), quali il progetto e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali occorrenti per le costruzioni e per le industrie; opere di edilizia civile, rilievi geometrici ed operazioni di estimo), svolga comunque attività richiedenti la competenza professionale propria dell’ingegnere;
– deve al riguardo evidenziarsi che secondo un primo orientamento di questa Corte per i fini in parola non era sufficiente lo svolgimento di attività solo potenzialmente ed intellettualmente collegate alle conoscenze e competenze dell’ingegnere, richiedendo l’effettivo svolgimento della pratica professionale e dunque delle attività tipiche della professione (Cass. n. 7389/1991, Cass. n. 3064/2001, Cass. n. 11154/2004, Cass. n. 3468/2005), con conseguente onere della Cassa di provare l’effettivo svolgimento di attività obiettivamente riconducibili all’esercizio della professione (Cass. n. 11154/2004);
– deve reputarsi, tuttavia, ormai definitivamente consolidato l’orientamento secondo cui in tema di previdenza di ingegneri e architetti, l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull’esercizio dell’attività;
– la limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova dunque fondamento nella L. n. 1395 del 1923, art. 7, e nel R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51, 52 e 53, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre la L. n. 6 del 1981, art. 21, stabilisce unicamente che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità, (sul punto, fra le tante, Cass. n. 3914 del 2019; Cass. 29.8.2012 n. 14684; Cass. n. 5827 dei 08/03/2013, Cass. n. 9076 del 15/04/2013; Cass. n. 1347 del 2016);
– il secondo motivo è inammissibile;
– con riguardo all’allegata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va rilevato, infatti, che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al di fuori di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);
– deve rilevarsi, invero, che l’accertamento, in fatto, circa lo svolgimento di attività per le quali risultano necessarie le competenze dell’ingegnere – approfonditamente compiuto nel caso di specie – risulta strutturalmente sottratto al sindacato di legittimità;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1-bis, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022