Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5744 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7763/2016 proposto da:

Consorzio di Bonifica Terre D’Apulia, nella persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Mazzini, n. 73, nello studio dell’Avv. Fabio Di Cagno, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di mandato rilasciato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G., titolare dell’impresa G.T.

Costruzioni ed Impianti, elettivamente domiciliato in Roma, Corso del Rinascimento, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Giovanni Pellegrino, che lo rappresenta e difende per mandato a margine del controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BARI, n. 668/2015, depositata il 27 aprile 2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/12/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 19 febbraio 2015, la Corte d’appello di Bari ha accolto, per quanto di ragione, l’appello di T.G., proposto avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 3052/2009 del 6 ottobre 2009, e ha dichiarato che il T. era creditore, nei confronti del Consorzio di Bonifica Terre d’Apulia, della somma di Euro 313.053,15, comprensiva di I.V.A., in virtù degli atti di cessione dei crediti del 4 luglio 1995 e del 18 ottobre 1995 e ha condannato il Consorzio al pagamento della precisata somma.

2. La Corte d’appello ha affermato che la cessione di credito, anche quando si trattava di cessione di crediti futuri, era di per sé irrevocabile e che stante l’intervenuto fallimento dell’impresa cedente con sentenza del 2 maggio 1996, gli stati di avanzamento dei lavori in oggetto (dal 21 al 24) erano anteriori alla dichiarazione di fallimento, sicché, quando era intervenuto il fallimento dell’Impresa *****, i crediti ceduti al T. non erano più crediti futuri.

3. I giudici di secondo grado hanno, poi, affermato che non poteva essere utilizzato ai fini della decisione il contratto che era stato denominato dal consulente tecnico d’ufficio il “secondo contratto bis”, in quanto modificava l’elenco prezzi del secondo contratto di appalto del 7 dicembre 1994 e che i rilievi difensivi mossi alla consulenza tecnica d’ufficio erano infondati, avendo il consulente tecnico d’ufficio confermato la quantità contabilizzata dal Consorzio, poiché gli stati di avanzamento dei lavori contabilizzati dal T. non erano sottoscritti e fondando le elaborazioni eseguite sull’esame e sulla comparazione della documentazione e nel contraddittorio delle parti, con prevalenza, in caso di divergenza, della contabilità del Consorzio.

4. Il Consorzio di Bonifica Terre D’Apulia ricorre in Cassazione con atto affidato a due motivi.

5. T.G. resiste con controricorso.

6. Il Consorzio ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1260 c.c. e segg.; art. 1362 c.c.; art. 1665 c.c.) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il Consorzio ricorrente si duole che, alla data del fallimento dell’Impresa *****, le lavorazioni relative al secondo contratto di subappalto (7 dicembre 1994) erano state già interamente eseguite e liquidate oltre l’importo massimo assentito (Lire 800.000.0 oltre IVA) e che gli atti di cessione del 4 luglio 1995 e del 18 ottobre 1995, in quanto connessi all’esecuzione del predetto contratto di subappalto, non potevano più spiegare alcuna efficacia nei confronti della stazione appaltante principale; il contratto di subappalto del 7 dicembre 1004, inoltre, prevedeva, quali condizioni di esigibilità del credito, non soltanto l’emissione dei SS.AA.LL., ma anche la presentazione della fattura emessa dalla subappaltante e la notifica della cessione alla stazione appaltante principale; che, nel caso in esame, la cessione dei crediti aveva una funzione sia di garanzia, che di pagamento e che, correttamente interpretando gli atti di cessione del credito, essi avrebbero potuto integrare effetti solutori solo fino alla concorrenza dell’importo autorizzato per il sub appalto del 7 dicembre 1994; la Corte aveva errato a ritenere esigibile il credito prima dell’accettazione dell’opera, che nel caso di specie non c’era stata, perché condizionata all’esito favorevole del collaudo.

1.1 Il motivo, nelle sue plurime censure esposte, è inammissibile.

1.2 Il motivo è inammissibile, con specifico riferimento alla censura che alla data del fallimento dell’Impresa ***** le lavorazioni relative al secondo contratto di subappalto del 7 dicembre 1994 erano state già interamente eseguite e liquidate oltre l’importo massimo assentito (Lire 800.000.0 oltre IVA) e che gli atti di cessione del 4 luglio 1995 e del 18 ottobre 1995, in quanto connessi all’esecuzione del predetto contratto di subappalto, non potevano più spiegare alcuna efficacia nei confronti della stazione appaltante principale, perché questione nuova, che non risulta esaminata dal provvedimento impugnato, rilevandosi, sul punto, il ricorso privo di autosufficienza perché non rispettoso del noto principio secondo cui “Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio” (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).

1.3 Il motivo è pure inammissibile, con particolare riguardo alla censura secondo cui il contratto di subappalto del 7 dicembre 1004, prevedeva, quali condizioni di esigibilità del credito, non soltanto l’emissione dei SS.AA.LL., ma anche la presentazione della fattura emessa dalla subappaltante e la notifica della cessione alla stazione appaltante principale, perché, in disparte il profilo della rilevanza data all’approvazione (e non alla semplice emissione) degli stati di avanzamento dei lavori, non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, che ha valutato la data di approvazione dei singoli stati di avanzamento, al diverso fine di accertare l’opponibilità o meno della cessione di credito al fallimento della società cedente e che ha specificato che, con riguardo all’accertamento del quantum, rilevavano le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, secondo cui il credito per i lavori di cui al contratto di subappalto del 7 dicembre 1994 risultava pari a Lire 606.155.432, comprensivo di I.V.A., in quanto il costo di tutti i lavori eseguiti ammontavano a complessivi Euro 1.495.047.656, da cui dovevano essere sottratti i due mandati emessi dal Consorzio di Lire 464.100.00 e di Lire 424.799.224.

1.4 Anche il profilo di censura riguardante la cessione dei crediti (che avevano una duplice funzione, di garanzia e di pagamento e che avrebbero potuto integrare effetti solutori solo fino alla concorrenza dell’importo autorizzato per il sub appalto del 7 dicembre 1994, pari a Lire 800.000.00), non si confronta ancora una volta con il contenuto del provvedimento impugnato, dove è stato affermato, a pag. 4, che le cessioni di credito in esame (con la prima del 4 luglio 1995 era stato ceduto il credito di Lire 1.000.000.000 e con la seconda del 18 ottobre 1995 era stato ceduto il credito di Lire 860.000.000, cfr. pag. 2 della sentenza impugnata) non erano cessioni di garanzia, perché nel contratto di subappalto le cessioni erano utilizzate come mezzo di pagamento, nella logica del pagamento a stati di avanzamento dei lavori, la cui esecuzione determinava sia il maturare del credito del subappaltatore verso il subappaltante, sia il maturare del credito del subappaltante nei confronti del committente e che la notificazione della cessione del credito al debitore ceduto era necessaria al fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato in buona fede al cedente, anziché al cessionario.

1.5 Inammissibile è l’ultimo profilo di censura, secondo cui la Corte aveva errato a ritenere esigibile il credito prima dell’accettazione dell’opera, che nel caso di specie non c’era stata, perché condizionata all’esito favorevole del collaudo, in quanto, senza prescindere da quanto detto sopra al punto 1.3, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “le domande relative all’esecuzione dell’appalto possono essere proposte anche in difetto di approvazione del collaudo, ove la Pubblica amministrazione abbia fatto decorrere per il compimento del collaudo stesso un tempo così lungo da rendere l’inerzia sostanzialmente equivalente ad un rifiuto, non potendo la medesima, tenuta ad eseguire il contratto nel rispetto delle regole generali dettate dagli artt. 1374 e 1375 c.c., ritardare sine die le sue determinazioni in ordine al collaudo, paralizzando i diritti dell’altro contraente” e che “una volta accertata la scadenza dei termini contrattuali, l’appaltatore deve considerarsi dispensato dalla prova dell’imputabilità del ritardo all’amministrazione, incombendo a quest’ultima l’onere di dimostrare che la mancata approvazione del collaudo sia stata determinata dalla condotta dell’impresa” (Cass., 28 gennaio 2015, n. 1613).

2. Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la Corte d’appello pretermesso del tutto le contestazioni mosse dalla deducente difesa, sin dal primo grado del giudizio, avverso la arbitrarietà delle conclusioni cui il consulente tecnico d’ufficio era pervenuto con specifico riguardo ai conteggi del presunto credito residuo dell’impresa T. e, in particolare, agli elementi, in fatto e in diritto, puntualmente dedotti sia nei verbali di udienza del 13 luglio 2001 e del 23 gennaio 2004 del primo grado, sia negli atti difensivi successivi; la scelta del consulente tecnico di ufficio di verificare le quantità delle lavorazioni avvalendosi del libro giornale dei lavori consegnato dal Consorzio era stata criticata; le somme rivendicate dalla Impresa T. erano riferite ai SS.AA.LL. nn. 6 e 7 e tali documenti, privi di sottoscrizione, riguardavano il “secondo contratto bis”, dichiarato inefficace; la sentenza aveva sorvolato sulle censure spiegate (cfr. pagine 26 e 27 del ricorso per cassazione) e aveva eluso la richiesta di rinnovazione e/o di rielaborazione della consulenza d’ufficio; era irrilevante il richiamo all’art. 5 del contratto di subappalto del 7 dicembre 1994 e non idonea la consulenza tecnica d’ufficio in assenza di riscontri sulla contabilità dell’Impresa *****, tenuto conto peraltro che, all’udienza del 13 luglio 2001, era stato prodotto lo stato finale dei lavori che esponeva l’importo di Lire 8.327.506.157 a credito del Consorzio.

2.1 Il motivo è infondato.

2.2 In disparte il profilo di inammissibilità della censura di vizio esame di rilievi difensivi svolti nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio, con riferimento al quale questa Corte ha affermato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2021, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802), nel caso in esame, non vi è stato alcun omesso esame, poiché la Corte d’appello ha preso specificamente in esame i rilievi mossi dalla difesa del Consorzio appellato, alle pagine 6 e 7 della sentenza appellata, ritenendoli infondati.

2.3 In particolare, fermo restando che la Corte d’appello ha espressamente precisato che il contratto che era stato denominato dal consulente tecnico d’ufficio il “secondo contratto bis”, in quanto modificava l’elenco prezzi del secondo contratto di appalto del 7 dicembre 1994, non poteva essere utilizzato ai fini della decisione e che gli stati di avanzamento dei lavori che venivano in esame erano quelli che andavano dal 21 al 24 (e non già i nn. 6 e 7, come assume il Consorzio ricorrente), i giudici di secondo grado hanno correttamente affermato, che, alla luce del tenore letterale dell’art. 5 del contratto di subappalto del 7 dicembre 1994, il consulente tecnico d’ufficio, laddove erano state riscontrate delle divergenze, aveva confermato la quantità contabilizzata dallo stesso Consorzio, poiché gli stati di avanzamento dei lavori contabilizzati dal T. non erano stati sottoscritti e che le elaborazioni peritali, dunque, non potevano essere definite “meramente ipotetiche”, perché esse si erano fondate sulla documentazione prodotta dalle parti e sulla comparazione eseguita, nel contraddittorio delle parti, della contabilità dell’impresa T. e della contabilità del Consorzio, dando la prevalenza, in caso di divergenza, alle risultanze del libro giornale, con ciò tenendo conto sia dei rilievi di cui alle lettere a) e b), richiamati a pag. 26 del ricorso per cassazione, sia della documentazione prodotta, ivi compreso lo stato finale dei lavori eseguiti a tutto il 2 maggio 1996, depositato all’udienza del 13 luglio 2001.

2.4 Mette conto precisare, inoltre, che non sussiste alcun vizio di motivazione, nel rispetto del principio affermato da questa Corte secondo cui quando il giudice del merito aderisce al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni, poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche “per relationem” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; qualora, tuttavia, alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori, il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione e ha l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle critiche specifiche sollevate dando conto della propria scelta di adesione alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. 11 giugno 2018, n. 15147; Cass., 24 dicembre 2013, n. 28647; Cass., 20 maggio 2005, n. 10668), onere che i giudici di merito, nel caso in esame, hanno assolto.

2.5 Non può, dunque, che ribadirsi l’inammissibilità del ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (oltre che di violazione o falsa applicazione di legge e di mancanza assoluta di motivazione) miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).

3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il Consorzio ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Consorzio ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del Consorzio ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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