Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.5762 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6669/2019 R.G. proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE ***** – LANCIANO, VASTO, CHIETI, in persona del Direttore generale, F.P., rappresentata e difesa dall’AVV. AUGUSTO LA MORGIA, elettivamente domiciliata in Roma presso lo Studio dell’AVV. ALESSIO COSTANTINI, VIA R. FAURO, 102;

– ricorrente –

contro

D.G.G., D.G.A., e D.G.M., tutti rappresentati e difesi dall’AVV. ATTILIO CIRONE, e dall’AVV. LEONELLO BROCCHI, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio di quest’ultimo, PIAZZA DEL POPOLO, 18;

– controricorrenti –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI PESCARA, in persona del Direttore generale p.t., MA.AR., rappresentata e difesa dall’AVV. FRANCESCO M. DANESI DE LUCA, pec avv.francescom.danesideluca.puntopec.it;

– controricorrente –

L.R.;

– intimato –

e contro

M.L.;

– intimato –

e contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2341/2018 della Corte d’Appello di L’AQUILA, depositata il 12/12/2018, notificata in data 18/12/2018;

Udita la relazione svolta del Consigliere Dott. Marilena Gorgoni;

Udita la relazione del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, Dott. FRESA Mario, che si è espresso per la inammissibilità o comunque l’infondatezza del ricorso;

Udito l’Avv. ALESSIO COSTANTINI, per la ricorrente;

Udito l’Avv. PIERO VOLPE, per l’Azienda sanitaria Locale di Pescara;

Udito l’Avv. LEONELLO BROCCHI, per i D.G..

FATTI DI CAUSA

L’Azienda Sanitaria Locale ***** – Lanciano, Vasto e Chieti ricorre, formulando un solo motivo, per la cassazione della sentenza n. 2341/2018 emessa dalla Corte d’Appello di L’AQUILA, resa pubblica il 12/12/2018, notificata il 18/12/2018, limitatamente ai capi e punti con cui ha accertato e dichiarato la sua concorrente e paritetica responsabilità, in solido con L.R., con l’Azienda Sanitaria Locale ***** – Pescara, con M.L. e con C.G., nella causazione dei danni a B.L., condannandola, in solido con gli altri convenuti, al risarcimento dei danni ed alla refusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio a favore degli eredi di B.L..

Resistono con separati controricorsi D.G.G., A., L. e Ma., eredi di B.L., e l’Azienda Sanitaria Locale di Pescara.

La ricorrente e gli eredi B. anno depositato memorie.

Gli altri intimati – L.R., M.L. e C.G. – non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La vicenda per cui è causa è stata attivata dal ricorso, ex art. 702 bis c.p.c., con cui B.L. aveva convenuto, dinanzi al Tribunale di Chieti, l’odierna ricorrente nonché L.R., M.L., C.G. e l’Azienda sanitaria locale di Pescara, perché fossero condannati a risarcirle i danni patrimoniali e non subiti e subendi, quantificati in Euro 150.000,00 o nella diversa somma accertata giudizialmente.

Il Tribunale di Chieti, espletata CTU, con ordinanza n. 297/2012, accertava e dichiarava la responsabilità concorrente dei convenuti e li condannava, in solido, al risarcimento dei danni, alla refusione delle spese di lite e di CTU.

Interponevano appello, dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila, l’Azienda sanitaria 2, odierna ricorrente – chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte nei suoi confronti e, in subordine, la riduzione della condanna risarcitoria a suo carico, previa riduzione della percentuale di responsabilità ascrittale – nonché L.R. – il quale lamentava che il giudice di prime cure gli avesse addebitato una responsabilità in quanto pneumologo, mentre avrebbe dovuto escludere ogni sua responsabilità, atteso che, quando l’aveva avuta in cura, la paziente non presentava un quadro clinico che lasciasse presagire nulla di molto serio e comunque, atteso che la paziente non era più tornata a visita come le era stato prescritto, chiedendo che il risarcimento fosse se non escluso almeno ridotto, in applicazione dell’art. 1227 c.c..

Si costituivano in giudizio gli eredi di B.L., nel frattempo deceduta, per contestare la fondatezza degli atti di appello e per proporre appello incidentale, con cui domandavano la riforma della ordinanza del Tribunale di Chieti, al fine ottenere il riconoscimento del 100% di danno biologico e, quindi, di un incremento di quanto loro liquidato a tale titolo pari a Euro 611.881,00 in applicazione delle tabelle di Milano.

Anche l’ASL di Pescara si costituiva in giudizio per resistere all’appello principale dell’odierna ricorrente ed a quello incidentale di L.R. e, con appello incidentale, chiedeva la riforma della ordinanza nella parte in cui l’aveva riconosciuta responsabile della produzione del fatto dannoso, in quella in cui aveva ripartito le percentuali di responsabilità attribuite alle ASL convenute e in punto di determinazione e di quantificazione del danno.

Riuniti gli appelli, la Corte d’Appello di L’aquila, ai fini che qui interessano, ha respinto l’impugnazione della odierna ricorrente nella parte in cui sosteneva che il CTU, nei chiarimenti offerti all’udienza del 29 giugno 2011, avrebbe dichiarato che, all’epoca in cui la paziente si recò al pronto soccorso dell’ospedale di *****, la diagnosi della neoplasia non era probabilmente possibile, traendone la conseguenza della insussistenza del nesso di causa tra il presunto comportamento omissivo di L.R. ed il danno sofferto dall’attrice.

La sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello rilevando che il CTU aveva ritenuto il comportamento di L.R. censurabile e poco scusabile perché, in quanto pneumologo, avrebbe dovuto avere maggior “fiuto diagnostico”, anche in considerazione del fatto che la paziente non aveva tratto giovamento dalla terapia farmacologica cui si stava sottoponendo già dal mese di ***** ed anzi il suo quadro clinico era peggiorato – il che indicava la presenza di qualcosa di molto serio che meritava approfondimento. “In assenza di specifici accertamenti diagnostici e di relativi referti, alla data del ***** è evidente che la diagnosi di neoplasia non era possibile, ciò non significa però che il tumore non esistesse già visto i sintomi…, tuttavia il Dott. L., quale medico specialista ben avrebbe potuto agire con la perizia adeguata alla natura dell’attività esercitata e suggerire di compiere indagini mirate volte a scongiurare malattie più serie rispetto a quella refertata… consigliando esami strumentali specifici oltre a quelli prescritti (eco tiroide e esami ormonali tiroidei), così da poter avere, eventualmente anche dopo 15 giorni, un quadro clinico più esaustivo e poter centrare una diagnosi più appropriata”. Lo stesso CTP dell’odierna ricorrente, riferendosi alla prestazione resa il 23 aprile 2007, aveva ammesso che essa non era esente da censure, sia pure ponendo su un piano diverso la mancata diagnosi durante un ricovero ospedaliero rispetto alla diagnosi esigibile nel corso di una visita al pronto soccorso. Per di più il consulente della ASL di Pescara, riferendosi al controllo effettuato presso il pronto soccorso, aveva sostenuto che, se correttamente condotto e quindi “con esecuzione di una banale broncoscopia avrebbe consentito un approccio decisamente più tempestivo alla neoplasia, con possibilità conseguentemente assai maggiori di risoluzione chirurgica prima che la stessa potesse metastatizzare”. Considerando che in sede civile il nesso di causa va valutato secondo la preponderanza dell’evidenza, “alla luce delle argomentazioni espresse non solo dal CTU ma anche dai CTP sopra menzionati, deve convenirsi che sia stato correttamente accertato il nesso causale fra la condotta colposa, per negligenza e imperizia, tenuta dai medici (ivi compreso il Dott. L.R.) che hanno visitato e tenuto in cura B.L., e l’evento dannoso, in quanto all’omessa tempestiva diagnosi della patologia tumorale, dovuta ai mancati specifici accertamenti diagnostici, ha fatto seguito l’evoluzione sfavorevole della malattia”.

MOTIVI DI DIRITTO 1. Con un unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, derivante da travisamento di prova decisiva.

2. Dopo aver preliminarmente richiamato quell’orientamento di questa Corte che esclude che quando venga denunciato il travisamento della prova si verta in ipotesi di c.d. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente espone che, nel respingere il suo atto di appello, la Corte territoriale ha affrontato due temi, logicamente tra loro subordinati, decisivi in ordine alla responsabilità della struttura sanitaria: I) l’individuazione della prestazione esigibile e la prova dell’inadempimento; II) la prova del nesso di causa tra l’asserita omissione e l’evento di danno.

Relativamente ad entrambi, la Corte territoriale avrebbe travisato le prove legittimamente acquisite.

Secondo la ricorrente, in particolare, la Corte territoriale avrebbe travisato l’informazione emergente dalla relazione peritale, ritenendo che il CTU avesse rimproverato a L.R., specialista pneumologo, di non avere dimostrato la capacità diagnostica che era legittimo attendersi, e che, quando aveva affermato che “la diagnosi della neoplasia non era probabilmente possibile”, avesse inteso dire che la diagnosi non era possibile sulla scorta degli accertamenti diagnostici inadeguati posti in essere, ma non avesse anche voluto escludere che i sintomi del tumore fossero evidenti e che uno specialista, considerata la storia clinica e l’anamnesi della paziente, agendo con la perizia adeguata all’attività esercitata, non fosse tenuto a suggerire indagini mirate volte a scongiurare patologie più serie di quella refertata.

Secondo la prospettazione della ricorrente, il CTU, al contrario, avrebbe proprio escluso la possibilità di diagnosticare la neoplasia, e, per il resto, avrebbe espresso conclusioni generiche e generalizzanti riguardanti la responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, colpevoli di aver sottovalutato il caso, eseguito con inammissibile ritardo pratiche diagnostiche che avrebbero potuto, con alta probabilità scientifica proprio per la relativa benignità della neoplasia, condurre alla sua eradicazione ed alla completa guarigione. Quando, invece, il perito era passato ad esaminare il contenuto specifico delle condotte singolarmente esigibili – p. 4 della relazione che, secondo la prospettazione della ricorrente, la Corte territoriale nemmeno avrebbe esaminato – con riferimento allo pneumologo, aveva indicato la necessità che egli eseguisse almeno una radiografia del torace per escludere forme infettive o neoplastiche broncopolmonari. Detta radiografia sarebbe stata, nondimeno, eseguita e il referto prodotto in giudizio avrebbe evidenziato l’assenza di alterazioni parenchimali di natura flogistica in atto, bensì cavità pleuriche libere da versamento, normale distribuzione della vascolarizzazione polmonare e immagine cardiaca nei limiti. Il che avrebbe fornito prova inconfutabile che presso il nosocomio di ***** era stato eseguito proprio quell’accertamento diagnostico ritenuto esigibile dal CTU. Pertanto, la Corte territoriale sarebbe incorsa nell’errore denunciato – quello di sostanziale travisamento dell’informazione probatoria risultante dalla CTU affermando che né la Asl di Chieti né lo pneumologo avevano provato di avere diligentemente e scrupolosamente adempiuto le obbligazioni nascenti dal rapporto con la paziente; tale errore l’avrebbe portata, poi, ad attribuire un significato errato all’affermazione del CTU quanto al fatto che la diagnosi della neoplasia non fosse probabilmente possibile: affermazione che avrebbe dovuto intendersi nel senso che, sulla base degli esami strumentali esigibili nel caso concreto, a quella data specifica, il tumore, anche se esistente, non era diagnosticabile.

3. Il motivo non merita accoglimento.

La tesi che la ricorrente propugna è che L.R. aveva eseguito la radiografia al torace, cioè proprio l’accertamento diagnostico che gli era stato addebitato di non avere eseguito, e che non essendo in discussione il quomodo della suddetta prestazione diagnostica, ma il se essa fosse stata eseguita, il giudice a quo avrebbe dovuto considerare irrilevante la mancata produzione delle singole immagini radiografiche; di conseguenza, avrebbe errato nel trarre dalla CTU la conclusione che a L.R. fosse ascrivibile la mancata diagnosi e che a detta mancata diagnosi fosse eziologicamente collegato, secondo la regola del più probabile che non, l’evento di danno.

Al netto del rilievo che il CTU aveva imputato allo specialista di non avere eseguite approfondimenti con indagini più appropriate (Tac torace, broncoscopia e quant’altro ritenuto utile dopo il ricovero della paziente), la ricorrente non ha colto il senso della statuizione con cui la Corte territoriale l’ha ritenuta responsabile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., anche in ordine alla scelta difensiva di non produrre documenti potenzialmente idonei ad integrare l’esimente di responsabilità, osservando che detta scelta non poteva tradursi in un danno per chi usufruisce della prestazione sanitaria e che anzi consentiva il ricorso giudiziale alla prova presuntiva in ordine alla sussistenza del nesso causale tra prestazione medica ed evento dannoso. La statuizione si riferisce proprio alla mancata produzione in giudizio delle immagini della radiografia del torace al fine di dimostrare che la neoplasia non fosse effettivamente apprezzabile (pp. 8-9).

Il ragionamento della Corte territoriale è molto lineare ed è speculare rispetto a quello prospettato dalla ricorrente: per quanto riguarda L.R., in quanto specialista, in considerazione della storia clinica della paziente, dell’anamnesi, della riscontrata refrattarietà alle cure farmacologiche già prescritte, il giudizio della Corte territoriale, suffragato dalla CTU, è che egli avrebbe dovuto eseguire gli accertamenti più approfonditi che le circostanze concrete indicavano come utili; anche ammesso che avesse eseguito la radioscopia, la scelta di non produrre in giudizio le relative immagini allo scopo di supportare la tesi secondo cui la neoplasia non era diagnosticabile, all’epoca del ricovero della paziente presso il pronto soccorso di *****, lo rendeva responsabile di inadempimento e rappresentava una circostanza da cui presumere, sulla base di un’inferenza logico-probabilistica, la ricorrenza del nesso causale tra l’inesatto adempimento e l’evento di danno.

Lo sforzo confutativo della ricorrente non scalfisce affatto le riportate affermazioni della sentenza che, infatti, resistono alle censure, interamente concentrate a dimostrare la ricorrenza di un travisamento dell’informazione probatoria emergente dalla CTU.

Detto travisamento, oltre a rappresentare un’ipotesi controversa di censura cassatoria (cfr. Cass. 08/02/2019, n. 3867, secondo cui il ricorso per cassazione, fondato sull’affermazione che il giudice di merito abbia travisato le risultanze della consulenza tecnica, è inammissibile, configurandosi in questa ipotesi esclusivamente il rimedio della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4) e a non integrare pacificamente, come lascia intendere la ricorrente, un’ipotesi di superamento della preclusione processuale di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c. (Cass. 03/11/2020, n. 24395, secondo cui il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile in sede di legittimità qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. dalla L. n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicché “a fortiori” se ne deve escludere la denunciabilità in caso di cd. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c.), neppure ricorre nel caso di specie.

La sentenza impugnata ha chiaramente affermato “non sono state prodotte le immagini della radiografia al torace (di cui il Dott. L. lamenta il mancato vaglio da parte del CTU) al fine di dimostrare – anche attraverso l’esame da parte di altri esperti e segnatamente del fiduciario del Giudice – che la lesione neoplastica non fosse effettivamente apprezzabile” (p. 8).

La ricorrente afferma, innanzitutto, che la radiografia toracica era proprio l’esame strumentale che, secondo il CTU, nella parte della relazione non esaminata dal giudice a quo, avrebbe consentito a L.R. di diagnosticare per tempo la patologia in corso, che essa era stata eseguita, contrariamente a quanto ritenuto dal CTU, dal Tribunale di Chieti e dalla Corte di Appello di L’aquila (p. 12 del ricorso) – quindi non vi sarebbe stato l’inadempimento diagnostico attribuito allo pneumologo – e aggiunge che il referto dell’esame radiografico eseguito il ***** era stato prodotto in giudizio dalla difesa di L.R. all’atto di costituzione in primo grado quale documento n. 5 depositato il 4 dicembre 2019 e che da esso non emergevano i segni della neoplasia.

Ciò che la ricorrente denuncia, quindi, e’, per un verso, il travisamento della informazione risultante dalla CTU, quanto al tipo di accertamento diagnostico esigibile da L.R., per altro verso l’omesso esame del referto della radiografia eseguita.

Ora, che il travisamento dell’informazione probatoria rinveniente dalla CTU non ricorra è provato dal fatto che la Corte territoriale ha imputato a L.R. di non aver prodotto le immagini della radiografia, al fine di dimostrare che la lesione neoplastica non fosse effettivamente accertabile. Non ha escluso, quindi, che la radiografia toracica potesse rappresentare uno di quegli accertamenti appropriati che avrebbero potuto diagnosticare la neoplasia. Ne’ ha basato la propria decisione sul fatto che la radiografia non fosse stata eseguita. Ciò basta a destituire di fondamento la tesi del travisamento dell’informazione probatoria. Spettava a L.R. dimostrare di avere eseguito la radiografia o altro accertamento diagnostico appropriato, senza averne potuto ricavare evidenze della patologia in corso; di qui la conclusione dell’inadempimento imputabile e la presunzione circa la ricorrenza del nesso causale tra l’omessa diagnosi e l’evento di danno, perché aveva fatto difetto la prova, che spettava a L.R. fornire, di avere eseguito un esame diagnostico appropriato che aveva escluso la presenza della malattia; così non è stato, perché l’assenza delle immagini della radiografia, frutto di una scelta difensiva del medico e della struttura che si erano limitati a produrre in giudizio il relativo referto, non aveva reso possibile verificare, come ha precisato la Corte territoriale, attraverso l’esame di altri esperti e segnatamente del fiduciario del Giudice che la lesione neoplastica non fosse effettivamente apprezzabile.

Dette statuizioni, come si è anticipato, non sono confutate dalla ricorrente – se si eccettua un accenno generico e infondato (perché l’esame diagnostico avrebbe dovuto non solo essere appropriato, cioè tale da assolvere alla sua funzione diagnostica, ma anche tale da escludere con certezza che la presenza della neoplasia non fosse evidente) al fatto che non era in questione il quomodo della prestazione diagnostica, ma il se essa fosse stata eseguita – che poggia tutta la, propria strategia difensiva sull’errore della CTU, del Tribunale e della Corte d’Appello concretizzatosi nell’aver ritenuto non prodotto il referto della radiografia espletata.

In realtà, dalla sentenza emerge che a L.R. è stato rimproverato di non aver prodotto in giudizio le immagini della radiografia eseguita al torace della paziente, mentre L.R. obietta ed oppone di aver depositato il referto della stessa: il referto è l’interpretazione dell’immagine radiografica che, in assenza di quest’ultima – assenza dovuta ad una scelta difensiva di L.R. – non è stata evidentemente ritenuta dalla Corte territoriale, così come dal CTU e dalla sentenza del giudice di prime cure, idonea ad integrare l’esimente della responsabilità. Detta statuizione non è stata neppure lambita dalle argomentazioni difensive della ricorrente.

4. Il ricorso, pertanto, è inammissibile.

5. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

6. Seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza deì presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidandole in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge a favore dei D.G. e in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge a favore dell’Azienda sanitaria locale di Pescara.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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