LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34750-2019 proposto da:
B.G. e M.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DONATELLO 71, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIORGIO ZANARDELLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato EUGENIO RAVASIO;
– ricorrenti –
Contro
SOCIETA’ AMCO – ASSET MANAGEMENT COMPANY S.P.A., in qualità di cessionaria del credito, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 17, presso lo studio dell’avvocato GAIA D’ELIA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO VERDI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 639/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata 11 1/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. La Veneto Banca convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bergamo, i coniugi B.G. e M.M. chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto del 19 giugno 2013 col quale il B. aveva conferito in fondo patrimoniale, per fare fronte ai bisogni della loro famiglia, alcuni immobili di sua proprietà.
A sostegno della domanda la Banca espose che il B. si era reso fideiussore della B. s.p.a., nei confronti della quale essa era creditrice di varie somme, come comprovato dall’emissione di diversi decreti ingiuntivi, benché fatti oggetto di opposizione.
Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale e condannò i convenuti al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dai coniugi soccombenti e la Corte d’appello di Brescia con sentenza dell’11 aprile 2019, ha rigettato il gravame, confermando la decisione del Tribunale e condannando gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorrono B.G. e M.M. con unico atto affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la AMCO – Asset Management Company s.p.a., in qualità di cessionaria del credito.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente riconosciuto la sussistenza della legittimazione passiva anche della coniuge M..
1.1. Il motivo non è fondato.
Questa Corte ha già affermato che in tema di azione revocatoria, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo patrimoniale in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell’art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione (sentenza 27 gennaio 2012, n. 1242).
Analogamente, è stato affermato che nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorché non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all’accoglimento della domanda revocatoria (sentenza 3 agosto 2017, n. 19330).
A tale giurisprudenza si è correttamente attenuta la Corte di merito, per cui la prospettata violazione di legge non sussiste.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente condannato al pagamento delle spese di lite anche la coniuge M., laddove la stessa non era proprietaria dei beni conferiti nel fondo patrimoniale ed era del tutto estranea all’obbligazione fideiussoria assunta dal B. in ordine ai debiti della società B., poi fallita.
2.1. Il motivo, strettamente connesso al precedente, è privo di fondamento.
La riconosciuta sussistenza della legittimazione passiva del coniuge determina, infatti, che anch’egli sia da ritenere soccombente, con conseguente necessità di condanna alle spese anche a suo carico. Ne’ sussiste un qualche fondamento ai rilievi dei ricorrenti circa la possibilità di configurare un mutamento di giurisprudenza tale da consentire la compensazione delle spese.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente omesso di considerare che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale avrebbe natura onerosa e non gratuita, con conseguente necessità di dimostrare la scientia damni anche della coniuge M..
3.1. Il motivo non è fondato.
Questa Corte, con insegnamento costante, ha affermato che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), se sussiste la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori, non potendosi comunque ritenere compiuto in adempimento di un dovere giuridico (ordinanza 10 febbraio 2015, n. 2530, sentenza 8 agosto 2013, n. 19029, ordinanza 6 dicembre 2017, n. 29298).
La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali principi, per cui la lamentata violazione di legge non sussiste e la censura, prospettando una violazione di legge che e’, in effetti, una censura di vizio di motivazione, finisce per sollecitare questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.
4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022