LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34811-2019 proposto da:
B.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PAULUCCI DE’
CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MARVASI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO GIFFONE;
– ricorrente –
contro
GENERALI ITALIA S.P.A., in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocatessa ALESSANDRA IANNOTTA;
– controricorrente –
contro
C.S.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2613/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Roma ingiunse alla Toro Assicurazioni s.p.a. il pagamento della somma di Euro 124.000 in favore di B.N., a titolo di rimborso di tre polizze che egli aveva ricevuto da tale C.S., agente della società di assicurazione.
La società propose opposizione al decreto e nel giudizio si costituì il B., chiedendone il rigetto.
Il Tribunale accolse l’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opposto al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata appellata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 17 aprile 2019, ha rigettato il gravame, ha confermato la decisione del Tribunale e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, confermando integralmente la decisione di primo grado, che era risultata dimostrata l’evidente falsità delle polizze assicurative poste a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo. In particolare, la falsità risultava dal fatto che le polizze, datate tra il luglio 2004 e il febbraio 2006, apparivano come emesse dalla Toro Assicurazioni in qualità di società coordinata dalla Generali Italia s.p.a.; mentre l’acquisizione da parte di quest’ultima era avvenuta solo in data *****. Quanto, poi, al profilo della possibile malafede del presunto creditore B.N., la sentenza ha rilevato che le polizze erano state molto probabilmente firmate in una data diversa da quella apparente, il che rendeva difficilmente credibile la tesi della buona fede dello stesso. Per cui la vicenda penale che aveva interessato l’agente C. aveva dimostrato come il B., se pur non da considerare come colluso, si era comportato certamente con colpevole negligenza; come emergeva anche dal fatto che nel contratto non risultava indicato il numero dell’assegno consegnato al momento della stipula. Il B., infatti, non aveva prodotto gli assegni attestanti l’effettivo pagamento del premio, che certamente dovevano essere in suo possesso, e nemmeno la documentazione relativa ai corrispondenti movimenti sul conto corrente bancario (secondo il principio della vicinanza della prova); mentre era certamente suo interesse farsi consegnare un contratto validamente compilato, con indicazione dell’avvenuto pagamento del premio assicurativo. Ragione per cui era da ritenere non dimostrato che gli assegni indicati dal B. fossero stati davvero incassati.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso B.N. con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste la Generali Italia s.p.a. con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., ed entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 2697,1223,1227,1228,1396,1398 e 1888, nonché dell’art. 2049 c.c., per asseriti errori nel riconoscimento di una corresponsabilità del ricorrente nelle operazioni finanziarie svolte da C.S. per conto della Toro Assicurazioni, ora Generali Italia.
Sostiene il ricorrente – dopo aver premesso che C.S. aveva frodato numerosi consumatori, come risulta anche dall’ordinanza 13 novembre 2018, n. 29033, di questa Corte – che la sentenza impugnata sarebbe errata perché ha affermato che non vi era prova dell’effettivo incasso degli assegni da lui indicati, perché ha negato la buona fede del medesimo ed ha ritenuto non veritiere le date indicate nelle polizze, discostandosi in tal modo dal prevalente indirizzo di questa Corte. Aggiunge il ricorso che i pagamenti erano stati ritenuti effettuati già in sede di procedimento monitorio, perché su quel fondamento era stato emesso il decreto ingiuntivo.
1.1. Il motivo, che presenta evidenti profili di inammissibilità, è comunque privo di fondamento.
Osserva la Corte, innanzitutto, che la censura, benché formulata, in apparenza, in termini di violazione di legge, si risolve, nella sostanza, in un evidente tentativo di ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito, posto che va a criticare la ricostruzione in fatto operata dalla Corte d’appello e la valutazione sull’esistenza di un possibile comportamento collusivo da parte del ricorrente.
Ciò premesso, si rileva che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che la responsabilità del preponente per l’operato del promotore finanziario può essere esclusa qualora la condotta del risparmiatore presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (così già la sentenza 24 marzo 2011, n. 6829, seguita dalle sentenze 13 dicembre 2013, n. 27925, 31 luglio 2017, n. 18928, e dall’ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25374). Tale giurisprudenza ha anche precisato che, mentre incombe sull’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, spetta all’intermediario quello di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore. Ed è appena il caso di aggiungere che anche la citata ordinanza n. 29033 del 2018 – nella quale è stato respinto il ricorso delle Generali Italia s.p.a. avverso una sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità della medesima per l’operato dell’agente C.S. – ha ribadito che la responsabilità dell’agente è configurabile “se sussiste il presupposto della buona fede incolpevole del terzo danneggiato”.
Questo essendo il corretto inquadramento giuridico del problema, ritiene il Collegio che la Corte d’appello, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, abbia fatto buon governo dei principi richiamati, mettendo in luce, proprio attraverso una valida e credibile ricostruzione dei fatti, gli elementi dai quali doveva desumersi se non la connivenza, almeno l’esistenza di “un profilo di grave e colpevole negligenza in capo al consumatore”. Ne’ può pervenirsi a diversa soluzione per il fatto che la documentazione fornita dal B. sia stata ritenuta idonea all’emissione del decreto ingiuntivo, posto che nel successivo giudizio di opposizione è comunque il creditore opposto a dover fornire la prova del proprio credito.
2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022