LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MELONI Marina – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3464 del 2021 proposto da:
S.S., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’Avvocato Paola Zoli che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica;
– costituito-
avverso la sentenza n. 2069/2020 della Corte d’appello di Bologna, depositata il 16/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SCALIA LAURA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. S.S., cittadino del Gambia – che nel racconto reso in fase amministrativa aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese perché in seguito al furto subito di alcune capre che stava accudendo, egli si era ritrovato debitore del proprio zio, proprietario del bestiame che voleva essere risarcito – ricorre con unico motivo per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui,. la Corte d’appello di Bologna ha confermato l’ordinanza del locale tribunale di rigetto dell’opposizione proposta avverso il provvedimento della competente commissione territoriale che aveva denegato al richiedente la protezione internazionale ed il riconoscimento dei gravi motivi legittimanti l’accesso alla protezione umanitaria, nella ritenuta non credibilità del racconto reso e della insussistenza dei presupposti delle reclamate protezioni.
2. Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di una eventuale sua partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
3. Con il proposto motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, degli artt. 2 e 10 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e contraddittorietà motivazione.
Gli elementi di prova emersi nel secondo grado di giudizio avrebbero dovuto determinare la Corte d’appello a riconoscere al richiedente la protezione internazionale nella coerenza del racconto.
La minaccia di morte ricevuta dallo zio, utilizzando lo strumento della coercizione religiosa legata alla loro etnia (lo Jalang che prevede l’uso di rituali per risolvere i problemi insorti tra i suoi appartenenti e la somministrazione di pozioni ai quali è impossibile sottrarsi, pena la morte) avrebbe integrato gli estremi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), ed omessa dalla Corte di merito avrebbe realizzato la violazione dell’art. 116 c.p.c..
Nella valutazione di credibilità i giudici di appello avrebbero dovuto applicare il cd. beneficio del dubbio.
Il motivo è inammissibile là dove contesta il giudizio espresso dalla Corte di appello in punto di inattendibilità del racconto reso dal richiedente protezione, trattandosi di giudizio di fatto sindacabile in cassazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ex multis: Cass. n. 13578 del 02/07/2020; Cass. n. 11925 del 19/06/2020) ed anche infondato ove fa valere l’apparenza della motivazione, profilo, quest’ultimo, avendo i giudici di appello adeguatamente composto la decisione in relazione al definito quadro di prova.
Il profilo del motivo con cui poi si lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c. è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. SU n. 20867 del 30/09/2020).
Nessuna delle indicate figure è presente nella critica proposta e la denuncia di apparenza di motivazione è stata denunciata in modo infondato, come più sopra indicato.
Il richiamo all’onere di collaborazione istruttoria per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 è evocato in modo apodittico ed altrettanto le norme costituzionali di cui agli artt. 2 e 10.
Il richiamo al permesso per motivi umanitari D.Lgs. n. 289 del 1998, ex art. 5, comma 6, pure contenuto in ricorso e da operarsi per una diversa valutazione del materiale di prova è del tutto generico, risolvendosi in un’astratta deduzione di posizioni di vulnerabilità che sarebbero emerse dal narrato del richiedente che non vengono indicate e di cui non si fa valere la tempestiva deduzione nel giudizio di appello a fronte della mancata risposta del primo giudice.
3. Il ricorso è conclusivamente infondato.
Nulla sulle spese essendosi l’amministrazione costituita tardivamente.
Sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022