LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30813-2020 proposto da:
N.M.A., elett.te domiciliato presso lo studio dell’avv. Enrico Varali dal quale è rappres. e difeso, unitamente all’avv. Roberta De Simone, con procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INFERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto n. 2586/2018 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il 12/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere relatore, Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
CHE:
N.M.A., cittadino del Pakistan, ha adito il Tribunale di Trieste impugnando il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
Il Tribunale, dopo l’audizione del ricorrente da parte del giudice delegato, ha rigettato il ricorso, osservando che: ai fini della protezione internazionale e sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il racconto del ricorrente era lacunoso e generico e non sarebbe stato chiaro se il ricorrente avesse avuto un ruolo attivo o passivo negli scontri di piazza oggetto di narrazione, e di conseguenza se le riferite ricerche della polizia fossero state giustificate; in ogni caso “il fatto narrato non rientra nel concetto di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale posto a base della protezione sussidiaria e non è dimostrato in alcun modo che lo stato pakistano non offra protezione”; il soggetto è risultato privo di documenti all’ingresso in Italia sicché secondo l’insegnamento di Cass. 9204/18 e di Cass. 7441 del 2020, ciò incide sull’attendibilità del soggetto”; non sussistevano i requisiti per la protezione sussidiaria ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, sulla base delle COI consultate e menzionate; era da escludere la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in considerazione della mancata dimostrazione da parte del ricorrente “di una situazione di vulnerabilità fondata su insufficiente tutela dei diritti umani”.
Avverso il predetto decreto N.M.A. ricorre in cassazione con tre motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.
RITENUTO
CHE:
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 132, c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per motivazione inesistente ed omesso esame delle plurime allegazioni, alla luce dei parametri legali di interpretazione degli elementi istruttori, per non aver il Tribunale valutato le prove dichiarate (All. D docc. 1, 2, 3 e 7) e le plurime allegazioni documentali (All. D, doc. 4, 5 e 6) attestanti la militanza politica in Pakistan ed in Italia, nonché la documentazione medica (All. D, doc. 8). Il ricorrente lamenta, inoltre, che il Tribunale ha omesso di valutare la credibilità del ricorrente alla luce delle plurime allegazioni fornite, e del materiale fotografico prodotto in udienza, limitandosi così ad un generico ed apodittico giudizio di non credibilità.
Il secondo motivo denunzia violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver il Tribunale erroneamente applicato il suddetto D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento ai riscontri esterni di cui al citato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, omettendo di analizzare il rapporto EASO 2017 nella sua interezza e con particolare riferimento alla zona di provenienza del ricorrente, limitandosi ad un’analisi carente e parziale ed adottando un conseguente giudizio parziale e contraddittorio.
Il terzo motivo denunzia violazione, ex art, 360 n. 4 c.p.c., in dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – nullità dell’ordinanza per motivazione apparente – in rapporto al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, e art. 8 CEDU, per non aver il Tribunale esaminato la richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria in relazione alla condizione di vulnerabilità e di integrazione del ricorrente, omettendo la valutazione comparativa tra l’odierna situazione in capo allo stesso e la possibile compromissione del nucleo dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio nel Paese di origine.
Il ricorso va accolto.
Vanno esaminati unitariamente, perché tra loro connessi, il primo e terzo motivo, da ritenere fondati.
Invero, il Tribunale, quanto al primo motivo, non ha esaminato le plurime allegazioni e documentazioni fornite dal ricorrente relativamente alla prospettata appartenenza e alla militanza attiva nel partito PAT (Pakistan Awami Tehrik), documentazione da cui si evince che il ricorrente dal 2012 è membro del Mustafavi Students Movemebt (sezione studentesca del PAT) e ne è stato vicepresidente per il distretto di Gujrat dal 2014 al 2016. Il ruolo attivo del ricorrente si evince anche dalla documentazione relativa alla partecipazione attiva nella Minhaj Welfare Foundation, ONG, vicina al PAT. Come pure il Tribunale non ha tenuto dell’intera vicenda narrata al fine di valutare la dedotta persecuzione politica e, in particolare, la circostanza per cui il ricorrente era stato minacciato dal partito PMLN che aveva incendiato anche il suo negozio. Il ricorrente richiama inoltre la documentazione medica prodotta, e parimenti non esaminata, attestante il ricovero subito nel 2014 a causa del colpo da arma da fuoco subito, confermato anche dalla visita medica ortopedica effettuata in Italia che ha certificato gli esiti di un intervento di estrazione del proiettile effettuato nel 2014.
Circa il terzo motivo, afferente al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, va osservato che il Tribunale lo ha fatto dipendere automaticamente dal giudizio negativo sulla credibilità, omettendo l’esame dei documenti prodotti in ordine al grado di integrazione in Italia relativamente alla sua partecipazione a corsi di formazione e professionali in Italia.
Il secondo motivo, attraverso il quale si censura il decreto impugnato, ai fini della protezione sussidiaria- D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) – per aver il Tribunale effettuato una parziale valutazione del rapporto EASO, circa l’esame della situazione politica e di sicurezza nel Paese di origine, è invece inammissibile poiché diretto al riesame dei fatti, atteso che il Tribunale ha pronunciato sulla base di un rapporto Easo del 2017.
Per quanto esposto, in accoglimento del primo e terzo motivo, il decreto impugnato va cassato, con rinvio al Tribunale di Trieste, anche in ordine al regime delle spese del grado di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il primo e terzo motivo del ricorso, inammissibile il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022