LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29258-2020 proposto da:
D.M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giovanni Nicotera 29, presso lo studio dell’avvocato Giorgio Assumma, che, unitamente all’avvocato Franco Maria Mastracchio, lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale 91, presso gli avvocati Stefania Ceci, Donatella La Licata e Giovanni Lupi, che la rappresentano e difendono giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4599/2020 della CORTE DI CASSAZIONE depositata il 21/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/02/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie del ricorrente.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE D.M.G. impugna per revocazione sulla base di sette motivi la sentenza di questa Corte n. 4599 del 21/02/2020.
La Banca d’Italia resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memorie in prossimità dell’udienza.
La decisione gravata, nel decidere in merito all’impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Genova che aveva rigettato l’opposizione avverso il provvedimento adottato nei confronti del D.M. dalla Banca d’Italia prot. ***** dell’8.4.2014, notificato in data 10.6.2014, con il quale gli era stata comminata, nella sua veste di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società Abbacus S.I.M. S.p.a., la sanzione amministrativa complessiva di Euro 65.000 per carenze organizzative nell’organizzazione e nei controlli interni alla società, ha rigettato tutti i motivi, condannando il ricorrente anche al rimborso delle spese di lite.
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 391 bis e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza impugnata è incorsa in errore di fatto nel capo in cui ha esaminato le questioni di costituzionalità sollevate con il primo motivo di ricorso.
Il ricorrente denuncia che la Corte di Cassazione ha omesso di esaminare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5, comma 15 e art. 6, comma 8 e dell’art. 195 TUF per contrasto con gli artt. 3,111 e 117 Cost. a causa dell’irragionevole disparità del procedimento di opposizione alla sanzione ivi previsto rispetto alle altre procedure di tutela dei diritti soggettivi.
Ad avviso del ricorrente, detto procedimento risulta inidoneo ad assicurare una effettiva tutela, un efficace contraddittorio e la piena cognizione da parte del giudice.
Il ricorrente denuncia che la Corte di Cassazione con la sentenza impugnata ha esaminato il motivo, quanto alla denuncia di incostituzionalità della norma applicata, solo per la violazione dell’art. 76 Cost., ma ha omesso di esaminare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 190 e 195 del TUF per contrasto con l’art. 97 Cost., comma 2 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, nella parte in cui le norme del TUF attribuiscono a Banca d’Italia la potestà sanzionatoria anche in presenza di un precedente provvedimento di liquidazione coatta amministrativa disposto su proposta della stessa Banca ai sensi dell’art. 57 del TUF. Ad avviso del ricorrente, nel procedimento sanzionatorio l’azione della Banca è stata condizionata dalle sue precedenti valutazioni dei fatti, espresse in assenza di contraddittorio – nella proposta di liquidazione coatta con conseguente detrimento, nella fase sanzionatoria, dei doveri di imparzialità e buona amministrazione.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 391 bis e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza è incorsa in errore di fatto nel capo in cui ha esaminato il secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente contesta che la Corte di Cassazione ha omesso di esaminare la richiesta di interpello della Corte di Giustizia UE sulla compatibilità dell’art. 195 TUF con gli artt. 41,47 e 48 della Carta, nella parte in cui – secondo l’interpretazione della Corte di appello e della Corte di Cassazione – non obbligherebbe la Banca d’Italia a comunicare preventivamente all’incolpato la sanzione che si intende comminare consentendogli di dedurre su di essa, in violazione del principio del contraddittorio e di quello della separazione tra funzione istruttoria e funzione decisoria.
La sentenza invece si è limitata a rilevare il rispetto del diritto di difesa del ricorrente, in relazione all’intero procedimento, ma ha omesso di replicare alla dedotta violazione delle previsioni del diritto comunitario.
Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza è incorsa in errore di fatto nel capo in cui ha esaminato il terzo motivo di ricorso.
Secondo il ricorrente, la Corte di Cassazione ha errato nel dichiarare inammissibile l’eccezione con cui si contestava la mancata indicazione delle specifiche norme che sarebbero state violate dal sanzionato, sulla base dell’affermazione per cui tale richiesta costituisce una domanda di riesame delle valutazioni del giudice di merito estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione.
Il ricorrente denuncia che tale pronuncia nel grado di merito non vi era stata e che quindi la Corte avrebbe dovuto esaminare detta omissione che costituiva l’essenza del terzo motivo di ricorso.
Il ricorrente contesta poi che la Corte di Cassazione ha omesso di esaminare l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia affinché si esprimesse sulla compatibilità dell’art. 195 TUF, che consente di contestare un illecito amministrativo senza la precisa indicazione della norma violata, con gli art. 47 e 48 della Carta. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per essere la sentenza incorsa in errore di fatto sullo scrutinio del quarto motivo di ricorso.
Il ricorrente contesta che la Corte di Cassazione non si è pronunciata sulla censura relativa al mancato accertamento, da parte della Corte di appello, della potestà sanzionatoria della Banca d’Italia né sulla violazione delle previsioni di cui agli artt. 6,190 e 195 TUF. In particolare, la decisione della Corte di appello era stata censurata per non aver accertato se rientrassero nella potestà sanzionatoria della Banca d’Italia un gran numero di fatti contestati che invece, ad avviso del ricorrente, rientrano nella competenza della Consob.
Con il quinto motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per essere la sentenza impugnata incorsa in più errori di fatto nello scrutinio del quinto e del settimo motivo di ricorso.
Il ricorrente contesta che la Corte di Cassazione è incorsa in errore laddove ha dichiarato inammissibile la censura, contenuta nel quinto motivo di ricorso, con cui lamentava che la Corte di appello non ha svolto alcun accertamento sulla prova dell’illecito, negando illogicamente qualsiasi attività istruttoria, essendosi il decreto limitatosi a ripetere il contenuto del provvedimento sanzionatorio senza verificare se i fatti ivi esposti fossero provati e se fossero idonei a integrare una violazione di norme. Il ricorrente denuncia poi un’omissione della Corte di Cassazione, la quale non si sarebbe pronunciata sulla distinta censura, contenuta sempre nel quinto motivo di ricorso, attinente alla omessa pronuncia della Corte di appello sulla violazione del principio di immutabilità dell’addebito, e fondata sulla circostanza che in sede di merito l’opponente aveva eccepito che il provvedimento sanzionatorio contemplava un nuovo e diverso addebito assente nella lettera di contestazione.
Il ricorrente contesta poi la declaratoria di inammissibilità del settimo motivo di ricorso lamentando che la sentenza esclude l’esistenza di un fatto processuale – la contestazione dei fatti addebitati – che invece è presente negli atti.
Secondo il ricorrente, la sentenza dà per scontata la prova fattuale e giuridica dell’illecito senza esaminare gli argomenti dedotti per contestarne l’esistenza e per escludere le violazioni di legge.
Con il sesto motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza impugnata incorre in errore di fatto nel capo in cui esamina il sesto motivo di ricorso. Lamenta il ricorrente che la Corte di Cassazione, così come la Corte di appello, ha tralasciato l’esame della censura relativa all’omessa indagine e valutazione sull’elemento soggettivo dell’illecito, la cui presenza era stata contestata in sede di merito. Con il settimo motivo è denunciata la violazione degli artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata incorre in errore di fatto nel capo in cui esamina il nono motivo di ricorso. Il ricorrente contesta che la Corte di Cassazione è incorsa in errore nell’esaminare tale motivo non comprendendo che non si chiedeva di sindacare in fatto l’apprezzamento del giudice di merito, ma si lamentava la mancata motivazione del perché i rilievi presi in considerazione giustificassero ampiamente sia la violazione contestata che la sanzione applicata.
Il ricorrente denuncia poi che la Corte non si è pronunciata sulla censura di omessa valutazione da parte del decreto dei criteri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, per l’identità delle problematiche che pongono, sono inammissibili.
Questa Corte ha ribadito che l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 16439 del 10/06/2021).
E’ stato però precisato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. Sez. U -, Ordinanza n. 31032 del 27/11/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3760 del 15/02/2018; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 19510 del 04/08/2017).
Infatti, ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento, da parte della Corte, di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14937 del 15/06/2017).
Nella specie, il ricorrente, a fronte di una sentenza impugnata che ha esaminato e deciso tutti i motivi di ricorso proposti, assume tuttavia che vi sarebbe un errore di fatto revocatorio, ma sul presupposto che, tenuto conto degli argomenti difensivi spesi in ognuno dei motivi per i quali si chiede disporsi la revocazione, la risposta di questa Corte sia stata laconica ovvero insoddisfacente, per non essersi fornita replica ad ognuna delle singole argomentazioni poste a supporto delle censure mosse nel ricorso originario.
Trattasi però di denuncia che non consente di individuare un fatto suscettibile di rientrare nella nozione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, il che impone di affermare l’inammissibilità del ricorso, stante la denuncia di un vizio che esula da quelli che la legge contempla come suscettibili in astratto di determinare la revocazione della decisione.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022