Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5803 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3025-2020 proposto da:

COMUNE DI FRANCOFONTE, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria 2, presso lo studio dell’avvocato Sergio Spatola, e rappresentato e difeso dall’avvocato Angelo Gagliano giusta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.U., rappresentato e difeso dagli avvocati Matilde Di Giovanni e Giuditta Di Giovanni, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE DI SIRACUSA, depositata il 09/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/02/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie delle parti.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Tribunale di Siracusa con ordinanza del 9 dicembre 2019, decidendo sull’opposizione proposta dal Comune di Francofonte avverso il decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale in favore dell’avv. D.G.U., e relativo ai compensi dallo stesso maturati per l’attività professionale svolta nell’interesse del Comune per la difesa in alcune controversie di lavoro, revocava il decreto e rideterminava il credito nella somma di Euro 10.131,00, ritenendo che gli incarichi professionali risultavano da tre delibere dell’ente locale, nelle quali risultava anche l’attestazione della copertura di spesa.

Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso il Comune di Francofonte sulla base di un motivo.

D.G.U. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione o mancata applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, commi 1 e 4 e art. 194, comma 1, lett. e), in quanto la decisione gravata avrebbe ritenuto valide le delibere conferenti l’incarico all’opposto, senza avvedersi che nelle stesse non risultava validamente registrato il correlativo impegno contabile, mancando una adeguata copertura di spesa.

Tale carenza determina quindi la nullità delle delibere, e non legittima il professionista a pretendere il pagamento del compenso dall’ente locale.

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c..

I principi richiamati dal ricorrente attengono infatti ad incarichi di natura diversa, quali quelli di progettazione di opere pubbliche, che consentono a priori l’individuazione del potenziale esborso al quale l’ente potrà esser esposto, ma non possono estendersi alla diversa ipotesi in esame, e ciò perché, in caso di partecipazione a controversie giudiziarie, risulta incerta l’incidenza del relativo onere economico (che è condizionato alla soccombenza) e perché nel bilancio dell’ente locale è consueto presentare una voce generale nella quale far confluire le prevedibili spese di lite, come appunto avvenuto anche nella fattispecie.

Avuto riguardo alle varie norme succedutesi nel tempo – di cui il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 183, è comunque confermativo di una regola già imposta dalla legislazione previgente, e sicuramente invocabile nel caso in esame – la soluzione offerta dal Comune, che ritiene necessaria, a pena di nullità del contratto di prestazione d’opera professionale intercorso tra il Comune ed il ricorrente, una previa impegnativa di spesa, con la precisa indicazione del suo importo e la sua imputazione contabile, non tiene conto della specificità della prestazione richiesta al Villanacci, consistente appunto nella difesa tecnica del Comune in una controversia giudiziaria.

Ed, invero, il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 12195/2005, poi ribadito anche in seguito (ex multis, Cass. n. 17469/2013; Cass. n. 22481/2018) è chiaramente riferibile al contratto relativo all’incarico di progettazione ovvero di direzione di lavori per opere pubbliche.

Nel diverso caso in cui invece il mandato attenga allo svolgimento di attività difensiva per conto dell’ente in controversie giudiziarie, le Sezioni Unite hanno invece affermato che (Cass. n. 11098/2002) la nullità di diritto prevista dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 55, comma 5, (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 6), per gli impegni di spesa assunti senza attestazione della copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio finanziario, non afferisce alle deliberazioni aventi ad oggetto la partecipazione degli enti territoriali a controversie giudiziarie, tenuto conto che le spese giudiziarie non sono concettualmente determinabili all’atto della relativa assunzione e che le stesse sono da imputare al capitolo di bilancio “spese processuali”, concernente in genere gli oneri per le liti attive e passive, trovando in tale voce sufficiente copertura.

Tale affermazione è stata poi ribadita anche dalla successiva giurisprudenza, avendo questa Sezione di recente sostenuto che (Cass. n. 21007/2019; Cass. n. 22652/2020) la delibera dell’ente territoriale che autorizza il proprio rappresentante a stare in giudizio non necessita dell’indicazione della spesa prevista e dei mezzi per farvi fronte, in quanto la nullità disposta dalla legge per la mancata previsione di tali elementi non riguarda i provvedimenti relativi alla partecipazione a controversie giudiziarie, sia per l’incerta incidenza del relativo onere economico, condizionato alla soccombenza, sia per il preventivo inserimento nel bilancio dell’ente di una voce generale inerente alle spese di lite (conf. Cass. n. 8646/1993; Cass. n. 13963/2006; Cass. n. 11859/1999).

A tale orientamento la Corte ritiene dover dare continuità, conseguendone il rigetto del ricorso, stante l’irrilevanza dell’indicazione della copertura di spesa, ai fini della validità dell’incarico conferito all’opposto, dovendosi osservare che le norme invocate dal ricorrente nella memoria (D.Lgs. n. 118 del 2011) risultano inapplicabili alla fattispecie ratione temporis, essendo le delibere di incarico risalenti a data anteriore (2008 e 2009).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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