LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11300-2021 proposto da:
I.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nizza, presso lo studio dell’avvocato Carla Virgilia Efrati, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
T.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via F. De Sanctis 15, presso lo studio dell’avvocato Saverio Cosi, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 15/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’11/02/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I.R. ha proposto ricorso articolato in unico motivo (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2738 c.c. – Omessa pronuncia in ordine alla eccezione di prescrizione ex art. 2956 c.c.) avverso ordinanza del 12 febbraio 2021 pronunciata dal Tribunale di Roma.
L’intimata avvocatessa T.G. resiste con controricorso.
Con l’ordinanza del 12 febbraio 2021 resa ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, il Tribunale di Roma, per quanto qui rileva, ha accolto la domanda dell’avvocato T.G. e condannato I.R. al pagamento del compenso professionale inerente procedimento n. 30772/1996, definito con sentenza n. 11183/01 dal Tribunale di Roma, per la somma di Euro 2.000,00.
L’unico motivo di ricorso deduce che il Tribunale non ha considerato che l’avvocato T., omessa ogni prova e determinazione in ordine le prestazioni professionali di cui domandava il pagamento, aveva deferito a I.R. giuramento decisorio. Lo I., si dice nella censura, aveva negato in sede di giuramento di aver pagato gli importi contenuti nelle “notule” richiamate da controparte ed aveva altresì negato di essere debitore degli importi elencati nel secondo dei quesiti formulati. La domanda dell’avvocato T. avrebbe perciò dovuto essere rigettata in ossequio al disposto di cui all’art. 2738 c.c., secondo cui, una volta che il giuramento è stato prestato, la controparte non è ammessa a provare il contrario e il giudice deve pronunciare sentenza conforme al giurato. L’ordinanza del Tribunale avrebbe, quindi, omesso di esaminare il giuramento decisorio ed in subordine avrebbe comunque omesso di pronunciare sulla eccezione di prescrizione presuntiva triennale ex art. 2956 c.c., trattandosi di spettanze relative ad un giudizio conclusosi nell’anno 2001.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
Le parti hanno presentato memorie.
Il ricorso non ha osservato i requisiti di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6.
Vengono censurati l’omesso esame del risultato di un giuramento decisorio che si dice ammesso dal Tribunale ed espletato, ovvero la non puntuale applicazione degli esiti di detta prova legale, ma nel ricorso non viene indicata la formula del prestato giuramento decisorio e gli elementi che dimostrano, in maniera chiara ed esaustiva, una non corretta valutazione dei relativi risultati con influenza determinante sulla decisione presa dal giudice del merito (cfr., ad esempio, Cass. Sez. L, 03/07/2001, n. 8998). Neppure dal ricorso si comprende se si trattava di giuramento deferito a norma dell’art. 2960 c.c., e cioè per accertare se si fosse verificata l’estinzione del debito, o di giuramento sull’esistenza del credito professionale azionato, fermo che l’eccezione di prescrizione presuntiva implica l’automatico riconoscimento dell’esistenza stessa del credito fatto valere e nella misura richiesta dal creditore, e considerato altresì che lo stesso ricorrente espone di aver “negato (non di aver pagato compensi spettanti alla T., benché non specificati, ma) di aver pagato gli importi contenuti nelle notule richiamate dalla stessa”, e di aver al “contempo negato di essere debitore degli importi analiticamente indicati nel secondo dei quesiti”, il che rileva agli effetti dell’art. 2959 c.c..
Le ravvisate carenze del ricorso per cassazione non possono, peraltro, essere sanate dalle integrazioni, dalle aggiunte o dai chiarimenti contenuti nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, presentata dal ricorrente, la cui funzione è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (Cass. Sez. 2, 28/11/2018, n. 30760).
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022