LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24923/2019 proposto da:
***** S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, C.D., elettivamente domiciliati in Roma, Corso Vittorio Emanuele n. 141, presso lo studio dell’avvocato Consolo Claudio, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Fusco Roberto, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrenti –
contro
Exprivia S.p.a., già Exprivia Enterprise Consulting S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati De Tullio Donato, Tedesco Francesco, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore avv. L.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Stasi Carlo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce;
– intimato –
avverso la sentenza n. 25/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 22/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/02/2022 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
FATTI DI CAUSA
Nell’anno 2007 la Data Management s.p.a. (poi divenuta ***** s.r.l.) e la Mind s.r.l. cedettero alla Exprivia s.p.a. l’intero capitale della Wel.Network s.p.a. (poi ridenominata Exprivia Enterprice Consulting – ECC s.r.l.), assumendo l’obbligo di garantire l’acquirente e la ECC da eventuali passività che fossero insorte in epoca successiva alla vendita.
Al momento della cessione era peraltro in corso un’ispezione fiscale.
Codesta determinò l’emissione di avvisi di accertamento (anni 2004, 2005 e 2006) per circa 15 milioni EUR, rispetto ai quali la cedente *****, sebbene informata, non ritenne di assumere attività difensive di contrasto.
La cessionaria ECC, destinataria delle cartelle di pagamento, aderì allora alla cd. rottamazione di ruoli ex D.L. n. 50 del 2017 e definì il contenzioso con l’amministrazione finanziaria pagando la somma di 5,8 milioni Euro; dopodiché, attivata la garanzia, e in vista del giudizio arbitrale previsto da una delle clausole del contratto di cessione, ottenne dal tribunale di Milano l’autorizzazione a un sequestro conservativo fino a concorrenza di 3,1 milioni EUR, e lo eseguì sull’unico bene immobile della società cedente, sito in *****, già gravato da vincoli anteriormente iscritti da altri creditori.
Per tale ragione propose istanza di fallimento.
Il tribunale di Brindisi dichiarò il fallimento di ***** s.r.l. con sentenza del 22-3-2019.
La corte d’appello di Lecce ha respinto il reclamo L.Fall., ex art. 18.
La ***** ha proposto ricorso per cassazione in sei motivi, illustrati da memoria, ai quali hanno resistito con separati controricorsi la Exprivia s.p.a. (incorporante ECC s.r.l.) e la curatela del fallimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – I primi cinque motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
Col primo motivo la società denunzia la violazione degli artt. 34,806,808,816-ter c.p.c., L.Fall., artt. 6 e 15 per avere la corte d’appello ritenuto legittimo l’accertamento incidenter tantum dell’esistenza del credito anche dinanzi alla stabilita devoluzione in arbitrato di ogni controversia tra le parti relativa al contratto di cessione.
Col secondo denunzia una nullità per violazione degli artt. 329,342,346 c.p.c., L.Fall., artt. 6,15 e 18, per essersi la sentenza inammissibilmente spinta ad accertare essa stessa il credito della società istante.
Nel terzo motivo deduce l’omesso esame del fatto decisivo concernente la prova della inesistenza del credito rinveniente nel bilancio dell’asserito creditore.
Nel quarto l’omesso esame di fatti decisivi integrati dall’essere stato finanche l’asserita cessionaria a riconoscere l’infondatezza del credito erariale mediante l’espletamento dei giudizi di impugnazione, taluni conclusi con esito positivo e altri caratterizzati da esito promettente.
Col quinto motivo infine denunzia la violazione degli artt. 1362,1366,1370 e 1371 c.c., per avere la sentenza interpretato il contratto inter partes conducendo al concetto di sopravvenienza passiva anche il danno direttamente conseguente alla stessa scelta della cessionaria di aderire alla rottamazione dei ruoli, pur essendo illegittima la pretesa erariale sottostante.
II. – I motivi sono in parte infondati e in parte inammissibili.
Questa Corte, con orientamento da anni consolidato sul tema, va ripetendo che la L.Fall., art. 6 (richiamato dalla ricorrente), laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (v. Cass. Sez. U n. 1521-13, cui adde Cass. n. 11421-14, Cass. n. 3082718 e molte altre).
A tanto si associa il principio per cui la dichiarazione di fallimento presuppone un’autonoma delibazione incidentale da parte del tribunale fallimentare, compatibilmente con il carattere sommario del rito, circa la sussistenza del credito dedotto a sostegno dell’istanza, quale necessario postulato della verifica della legittimazione del creditore a chiedere il fallimento, ancorché poi in tale ambito il giudice debba valutare, oltre alle allegazioni e alle produzioni della parte istante, anche i fatti rappresentati dal debitore che valgano a dimostrare l’insussistenza dell’obbligazione addotta o la sua intervenuta estinzione (v. Cass. n. 23494-20).
Questa ulteriore indagine è doverosamente modulata in rapporto alla necessità di apprezzare lo stato d’insolvenza.
III. – A cascata, da tali principi discende che non possiede alcuna rilevanza la questione, posta al fondo del primo motivo dell’odierno ricorso, dell’essere stata prevista la devoluzione in arbitrato delle controversie a monte del credito vantato dall’istante ai fini della dichiarazione di fallimento.
Anche in quel caso, invero, spettava (e spetta) pur sempre al giudice investito dell’istanza di fallimento verificare, mediante un accertamento incidentale compatibile con la natura e gli scopi del procedimento, l’effettività del credito quale necessario postulato sia della legittimazione del creditore sia, poi, della condizione d’insolvenza.
IV. – Occorre inoltre precisare che non rileva neppure la natura fiscale del credito originario.
Nel caso concreto l’iniziativa dell’istante risulta esser stata correlata all’attivazione della garanzia contrattuale per le passività sopravvenute, di qualsiasi tipo e genesi, anche fiscale.
Questa Corte ha più volte affermato che lo stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, e che resta in proposito irrilevante ogni indagine sull’imputabilità o meno all’imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa (cfr. Cass. n. 29913-18, Cass. n. 2621705 e altre).
La verifica che si richiede al giudice del fallimento non comporta, quindi, l’accertamento definitivo dell’effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti.
Così come del tutto legittimamente l’autorità giudiziaria ordinaria adita per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore insolvente a fronte di un ingente debito tributario provvede a tale dichiarazione – perché ciò essa fa senza entrare propriamente nel merito delle pretese impositive (che, nella specie, si assumevano impugnate dinanzi alla competente commissione tributaria da parte del fallito) e senza, pertanto, violare alcun principio in tema di riparto di giurisdizione (v. Cass. Sez. U n. 115-01) -, così altrettanto legittimamente quell’autorità provvede valutando incidentalmente la situazione debitoria in connessione con la manifestazione d’insolvenza, ove quella medesima situazione resti associata a una garanzia contrattuale per sopravvenienze di ordine fiscale.
Tanto costituisce il logico corollario dell’essere, quella rimessa al tribunale fallimentare, sempre una verifica incidenter tantum, che, come tale, non risente – né può risentire – dei limiti della giurisdizione sul rapporto dal quale scaturisce il credito, e che nella specie, peraltro, (ancora si ripete) ha avuto a oggetto il credito indennitario conseguente alla garanzia resa col contratto di cessione inter partes.
V. – La corte d’appello di Lecce, e prima ancora il tribunale di Brindisi, non hanno infranto i principi richiamati.
In particolare la corte d’appello ha messo nel giusto rilievo che, una volta verificata la sopravvenienza passiva (in conseguenza della notifica delle cartelle di pagamento), era legittima la scelta della destinataria ECC di aderire alla rottamazione dei ruoli secondo un giudizio di convenienza rispetto alle prospettive del processo tributario di impugnazione.
Ciò è stato ritenuto tenendo conto del disinteresse assunto dalla cedente rispetto all’ipotesi di gestione della lite conseguente all’accertamento fiscale; condizione – codesta che ha reso non implausibile la valutazione (qui sì di pieno merito) di razionalità della scelta di aderire alla rottamazione quale sostanziale effetto della “evoluzione delle strategie difensive (..) adottate per definire i rapporti con il fisco”.
VI. – Altrettanto giustificata, e comunque insindacabile in questa sede, è l’affermazione della corte d’appello in ordine alle evidenze del quadro probatorio offerto alla valutazione del tribunale fallimentare: il quale conteneva, anche secondo l’impugnata sentenza, indicazioni sufficienti a esprimere un giudizio prognostico negativo in ordine alle ipotesi di pieno accoglimento dei ricorsi avverso gli atti fiscali, atteso che almeno rispetto alle cartelle relative all’annualità 2006 – che da sole imponevano un pagamento ben superiore alla sorte necessaria a rottamare il ruolo l’esito del giudizio tributario di primo grado era stato negativo, e la stessa istanza di sospensione dell’esecutorietà era stata respinta dalla competente commissione tributaria regionale.
Si è in presenza, per questa parte, di valutazioni in fatto, logicamente motivate e insindacabili in cassazione.
VII. – Il quadro d’insieme fin qui delineato conduce a ritenere manifestamente infondata – quando non inammissibile poiché surrettiziamente intesa a sostenere una diversa ricostruzione della vicenda – la tesi espressa dalla ricorrente nel quinto motivo.
L’accertamento di merito porta a confermare che quella in esame era giustappunto una sopravvenienza passiva, e non un danno “autoprocurato” (per ripetere l’espressione della ricorrente) dalla irragionevole scelta di aderire a una rottamazione nonostante l’infondatezza della pretesa erariale. E conduce a ritenere vieppiù inammissibili il terzo e il quarto mezzo, essendo essi incentrati su una distinta rappresentazione della realtà rispetto a ciò che dalla sentenza emerge, ed essendo altresì generici (nella prospettiva di Cass. Sez. U n. 8053-14) i riferimenti ai fatti storici asseritamente omessi.
VIII. – Anche il sesto motivo è inammissibile.
Si denunzia l’omesso esame di fatto decisivo in ordine al presupposto della L.Fall., art. 5, non essendo stata tenuta da conto la relazione peritale sulla consistenza e solidità patrimoniale e finanziaria della società ricorrente.
Sennonché, nonostante la lunga esposizione, la tesi a tale motivo affidata si connota (essenzialmente) dell’affermazione che i dati emergenti dall’analisi tecnico-contabile appositamente eseguita avrebbero dovuto presuppore una riclassificazione delle poste attive e passive del bilancio, con conseguente individuazione di indici di solvibilità aziendale.
Ciò rappresenta, tuttavia, una situazione di pieno merito, sostanzialmente diretta ad avversare la diversa ricostruzione in fatto emergente dall’impugnata sentenza.
La quale ha rettamente individuato, invece, gli indici dell’insolvenza in ciò: che l’irreversibilità della crisi economica e finanziaria di ***** s.r.l. era emersa con chiarezza proprio dai documenti e dai dati contabili, poiché il capitale era stato drasticamente ridotto a un milione EUR a fronte di perdite di esercizio ammontanti, negli ultimi cinque anni, a 26 milioni EUR.
Dopodiché la corte d’appello non ha mancato di esaminare i dati di bilancio della società, ma semplicemente ne ha (motivatamente) ritenuto l’inaffidabilità per sovrastima dell’attivo, risultante dalla appostazione di crediti irrecuperabili e non assistiti da adeguato fondo rischi da svalutazione; nonché da una speculare sottovalutazione del passivo discendente dalla mancata appostazione di altri ingenti debiti.
Si è dinanzi, anche in tal caso, a una motivazione in fatto completa e congruente, di cui il sesto motivo tende semplicemente a sovvertire l’esito.
IX. – Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in 8.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima misura di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 2 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022