LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 396/2021 r.g. proposto da:
COMUNE DI OLBIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Luca Mazzeo, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via E. Manfredi n. 5.
– ricorrente –
contro
S.P.E.S. – SERVIZI ALLA PERSONA EDUCATIVI E SOCIALI, istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, con sede in *****, in persona del presidente del c.d.a. e legale rappresentante pro tempore S.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati Paolo Meneghel, e Franco De Marchi, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Bezzecca n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Daniela Di Domenica.
– controricorrente –
avverso la sentenza, n. r.g. 2197/2020, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA pubblicata in data 07/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/02/2022 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Padova ingiunse al Comune di Olbia di corrispondere la somma di Euro 61.176,92, oltre interessi, in favore dell’Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza S.P.E.S. – Servizi alla Persona Educativi e Sociali (per il prosieguo, breviter, SPES), quale saldo dovutole a titolo di pagamento delle rette per i servizi assistenziali prestati, dal marzo 2000 al gennaio 2003, in favore di una minore e della madre, cui quest’ultima era affidata, entrambe provenienti da *****, comune di loro residenza anagrafica.
1.1. L’opposizione promossa dal menzionato comune, ex art. 645 c.p.c., fu accolta dal medesimo tribunale, il quale, nel contraddittorio con la SPES, respinte le sollevate eccezioni di incompetenza territoriale e di prescrizione del credito, rilevò che l’impegno economico a carico dell’ente era limitato ai soli primi trenta giorni dalla collocazione delle assistite e che il provvedimento del Tribunale dei Minorenni di Sassari aveva affidato ai servizi sociali del Comune di Padova tanto la madre quanto la figlia. Da ciò dedusse che l’attività assistenziale prestata in loro favore non fosse connotata dalla stabilità prevista, quale condizione applicativa, dalla L. n. 328 del 2000, art. 6, bensì che quelle necessitassero esclusivamente di un minimo apporto economico inizialmente sostenuto dal Comune di Olbia, contribuzione destinata a cessare allorché la madre avesse conseguito una pur minima autonomia reddituale.
2. La Corte di appello di Venezia, adita con gravami principale ed incidentale, rispettivamente della SPES e del predetto comune sardo, con sentenza del 7 settembre 2020, n. 2197, ne ha accolto il primo e rigettato il secondo.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, la stessa ha opinato che: i) “l’obbligazione dedotta in causa, la cui fonte è senz’altro legale, è da ritenersi sussistente a carico del Comune di Olbia, quale comune di ultima residenza prima del ricovero, trovando al riguardo piena applicazione della L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 4,..(…). Giova altresì richiamare il chiarificante intervento interpretativo portato dalla risoluzione del 9 febbraio 2009 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriale secondo cui “l’ente competente a sostenere gli oneri derivanti dal ricovero di minori, sottoposti a decreto dell’autorità giudiziaria ed ospitati in struttura residenziale o affidati a famiglie, è quello nel quale gli interessati o, nel caso di minori, i genitori esercenti la potestà hanno la residenza al momento in cui la prestazione assistenziale ha avuto inizio, a nulla rilevando i successivi cambiamenti di residenza dei genitori”, come pure la circostanza che nella fattispecie la madre fosse affidataria della minore per disposizione del Tribunale per i minorenni di Sassari, non risultando tale stato di cose alterato dalla circostanza, diversamente valorizzata dal Tribunale, secondo cui il Giudice minorile avesse incaricato il servizio sociale del Comune di Padova di provvedere alla vigilanza sull’affido e relazionarne l’autorità giudiziaria trattandosi, all’evidenza, di attività di attuazione e controllo sull’esecuzione del provvedimento”; ii) pertanto, “il provvedimento del Comune di Olbia volto a limitare a soli trenta giorni l’impegno finanziario (peraltro in concreto abbondantemente travalicato in termini temporali) è in sé improduttivo di effetti di esonero dall’obbligo di pagamento, come invece ritenuto dal Tribunale di Padova”; iii) “altrettanto non condivisibile è il convincimento espresso dal Tribunale di Padova secondo cui le beneficiarie non necessitassero d’un assistenza stabile, bensì d’un minimo sostegno economico fin tanto che la madre non avesse potuto godere di reddito proprio. Ad avviso del Collegio, la disamina delle emergenze di prova acquisite nel precorso grado attesta, a ben guardare, l’assoluta impossidenza di una stabilità reddituale da parte della madre e la permanenza delle medesime condizioni economiche per tutta la durata della collocazione presso la struttura dell’appellante, ciò inducendo a ritenere concretato uno stato di pressoché totale indigenza evidentemente bisognevole di stabile ricovero ed assistenza per tutte le quotidiane esigenze di vita anche in considerazione dell’età della minore”; iv) “non consta contestazione di sorta da parte del Comune in ordine all’ammontare dei credito dedotto dalla SPES”.
3. Per la cassazione di questa sentenza ricorre il Comune di Olbia, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Resiste, con controricorso, parimenti illustrato da analoga memoria, la SPES.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) “Violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Si contesta alla corte distrettuale di avere “ritenuto improduttivo di effetti”, così disapplicandolo, in assenza della relativa domanda di parte, l’atto prot. 229 del 7.3.2000 del Comune di Olbia che aveva attestato l’esigenza di un ricovero temporaneo della minore e della madre presso la SPES: atto mai ritirato (annullato e/o revocato) dall’Amministrazione, tantomeno implicitamente, né oggetto di una domanda di annullamento avanti al Giudice amministrativo o di una richiesta di disapplicazione – neppure implicita – innanzi a quello ordinario;
II) “Violazione e falsa applicazione della L. n. 328 del 2000, art. 6, commi 2 e 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Si ascrive alla corte territoriale di avere erroneamente interpretato ed applicato la normativa richiamata in rubrica, nel senso di ritenervi inclusa la fattispecie oggetto di causa, sebbene fosse ivi mancante il richiesto dalla norma per la sua applicazione, ossia la cd. “necessità di ricovero stabile”, giacché, dall’analisi della situazione assistenziale condotta dagli enti competenti, era emersa la necessità esclusivamente di un ricovero temporaneo della minore e della madre presso la struttura della SPES;
III) “Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4: nullità della sentenza per motivazione apparente (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, posto che la corte lagunare, sulla scorta di un ragionamento logico-motivazionale meramente apparente, ha ritenuto provato uno stato di pressoché totale indigenza della madre della minore, al fine di configurare in capo a quest’ultima l’obbligazione della L. n. 328 del 2000, ex art. 6, comma 4, omettendo totalmente di considerare la motivazione del provvedimento del Comune di Olbia che ha istituito il progetto di reinserimento temporaneo della stessa nel Comune di Padova, il quale costituiva l’unico presupposto del rapporto intercorso tra l’Amministrazione e la SPES.
2. Il terzo motivo, il cui esame si rivela logicamente prioritario rispetto agli altri, non merita accoglimento.
2.1. Giova premettere, invero, che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 7 settembre 2020), deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 3250 del 2022; Cass. n. 593 del 2022; Cass. n. 11229 del 2021; Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della decisione impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020, Cass. n. 23620 del 2020 e Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 593 del 2022; Cass. n. 3250 del 2022) o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., n. 24395 del 2020).
2.1.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione di un provvedimento decisorio sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3250 del 2022; Cass. n. 616 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 2959 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). E’ perciò possibile ravvisare una motivazione apparente laddove le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice (cfr. Cass. n. 616 del 2022). Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva.
2.2. Orbene, la corte territoriale ha illustrato (cfr. quanto si è già riportato al p. 2.1. dei “Fatti di causa”, da intendersi qui, per brevità, interamente riportato) le ragioni poste a base della propria conclusione secondo cui, nella specie: i) l’obbligazione dedotta in causa aveva senz’altro fonte legale, dovendo trovare integrale applicazione della L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 4, stante la configurabilità di una “necessità di ricovero stabile” della minore e della madre presso la struttura della SPES, e non di un mero sostegno economico fin tanto che la madre non avesse potuto godere di reddito proprio; ii) il provvedimento del Comune di Olbia volto a limitare a soli trenta giorni l’impegno finanziario (peraltro in concreto abbondantemente travalicato in termini temporali) doveva considerarsi in sé improduttivo di effetti di esonero dall’obbligo di pagamento, come, invece, ritenuto dal Tribunale di Padova.
2.2.1. Pertanto, al cospetto di un simile impianto argomentativo, corredato da una sufficiente spiegazione delle ragioni atte a suffragare l’accoglimento del proposto gravame della SPES, deve considerarsi soddisfatto, in parte qua, l’onere minimo motivazionale di cui si è detto, altresì ribadendosi che, onde valutare la sussistenza, o non, dell’oggi denunciato vizio di motivazione apparente, non rileva la correttezza, o meno, della soluzione adottata o la sufficienza della motivazione offerta, bensì, unicamente, il profilo dell’esistenza (qui innegabilmente ravvisabile) di una motivazione effettiva.
3. Venendo, poi, allo scrutinio dei primi due motivi, che può effettuarsi congiuntamente attesa la chiara connessione tra essi esistente, gli stessi si rivelano fondati nei limiti di cui appresso.
3.1. Va immediatamente rimarcato che, nella specie: i) l’autorità pubblica (Comune di Olbia) che ha emesso il provvedimento (n. prot. 229 del 7 marzo 2000) asseritamente disapplicato dalla corte lagunare è parte della controversia su cui si è pronunciata quest’ultima; ii) quel provvedimento non è stato considerato dai giudici veneziani come il mero antecedente logico del diritto azionato dalla SPES: essi, infatti, hanno espressamente affermato che l’obbligazione dedotta in causa deriva da fonte senz’altro legale (cfr. pag. 5, penultimo rigo, della sentenza impugnata), individuata nella L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 4, a tenore del quale “Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”.
3.2. Occorre interrogarsi, allora, sulla correttezza, o non, del modus procedendi della corte territoriale laddove quest’ultima, una volta sancita la sicura fonte legale dell’obbligazione dedotta in causa, trovando piena applicazione, al riguardo, a suo dire, della L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 4, ha affermato, poi, che “il provvedimento del Comune di Olbia volto a limitare a soli trenta giorni l’impegno finanziario (peraltro in concreto abbondantemente travalicato in termini temporali) è in sé improduttivo di effetti di esonero dall’obbligo di pagamento”.
3.2.1. Ad un siffatto quesito l’odierno Collegio ritiene di dare risposta negativa per le dirimenti ragioni di cui appresso.
3.3. Giova premettere che l’intervento dello Stato a tutela della persona, nei suoi bisogni materiali e spirituali, nonché nelle sue reali condizioni di vita, è connaturato alla struttura della Costituzione, che, all’art. 2, qualifica come “inviolabili” i diritti legati allo sviluppo del singolo, nella sua sfera individuale e come componente di ogni formazione sociale ove trovi realizzazione la personalità umana.
3.3.1. Tale disposto pone la persona ed i gruppi sociali al centro del sistema giuridico creato dal legislatore costituente, in una dinamica di necessaria interconnessione fra pubblici poteri e comunità e fra membri della società civile nell’impegno per la costruzione di una collettività che assicuri uguaglianza e benessere sociale.
3.3.2. Non a caso, alla base dell’impianto di protezione della persona la Costituzione ha posto un disegno di relazioni sociali ed istituzionali improntate alla lealtà, al sostegno dei “soggetti deboli” ed alla cooperazione. Una rete solidaristica che è elevata a valore primario e che trova una sintesi perfetta nell’interconnessione che l’art. 2 Cost., individua fra il riconoscimento di un catalogo di diritti fondamentali della persona e la previsione di un sistema di doveri di solidarietà politica, economica e sociale che derivano proprio dall’appartenenza del singolo ad una collettività. Doveri definiti “inderogabili”, perché basici, vale a dire essenziali per l’esistenza, la continuità e il progresso di una comunità politica.
3.3.3. La matrice collaborativa che ha guidato la redazione della Carta costituzionale è chiaramente percepibile anche nell’art. 3 Cost., comma 2, che impone di eliminare le disuguaglianze di fatto presenti nel tessuto sociale, attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongano all’effettivo godimento delle libertà civile e politiche. L’aver esplicitato questo compito dà senso concreto al ruolo dello Stato sociale, chiamato ad operare affinché il principio di parità di fronte alla legge non rimanga una mera enunciazione formale, priva di ricadute pratiche nei contesti reali, nella vita delle persone.
3.3.4. Si tratta di una responsabilità che la Costituzione assegna alla “Repubblica” in tutte le sue declinazioni, non solo istituzionali ma anche sociali, essendo – come si è detto – la promozione dell’individuo il fondamento ed il fine ultimo del progetto di società democratica voluta dal Costituente al quale tutti sono chiamati a contribuire. Un impegno che, quindi, grava, nella logica solidaristica cui si accennava, non solo sull’apparato centrale dello Stato, ma anche su tutte le articolazioni territoriali che ne definiscono la natura autonomistica, e sugli stessi membri della collettività sociale, in quanto partecipi della sua crescita materiale e spirituale.
3.3.5. Queste sono, dunque, come specificamente chiarito anche da attenta dottrina, le fondamentali e solide premesse costituzionali su cui poggia il concetto di sicurezza sociale che caratterizza l’ordinamento italiano, nella sua accezione più ampia, declinata nell’assistenza sanitaria, sociale e nella previdenza. Da esse emerge una visione della società e della forma di Stato in costante tensione verso il raggiungimento dell’eguaglianza sostanziale, nell’ottica di garantire pari opportunità per tutti nei percorsi di promozione della personalità umana. Le politiche e gli interventi di protezione sociale hanno particolarmente bisogno, più di altre funzioni, della “comunità”: delle ottime capacità organizzative, della conoscenza del territorio e di quell’attitudine dei soggetti della società civile, in un sodalizio collaborativo con le istituzioni, a sviluppare relazioni di reciprocità e di vicinanza idonee a supportare e valorizzare, dal basso, le azioni d’aiuto attivate per far fronte alle marginalità e alle ferite del tessuto sociale.
3.3.6. L’art. 38 Cost., comma 1, dedicato all’ambito dell’assistenza sociale, costituisce, del resto, una concreta esplicitazione di questo sostrato valoriale, sancendo il diritto di “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere” al mantenimento ed a misure di sostegno atte ad affrontare situazioni di fragilità sociale, a carico dei pubblici poteri. La norma rappresenta quel segmento del nucleo duro dello Stato sociale che – insieme alla tutela del lavoro e della salute – si esprime nell’intervento per prevenire o eliminare le situazioni di bisogno, quale impedimento alla effettiva libertà del singolo e la sua piena partecipazione alla vita dello Stato. Con tale disposto, l’assistenza sociale e gli interventi a tutela dei soggetti deboli perdono il loro carattere discrezionale e di attività caritativa per divenire un obbligo dei pubblici poteri, cui corrisponde un diritto fondamentale costituzionalmente garantito che va ad integrare i contenuti irrivedibili della forma di Stato.
3.3.7. L’inveramento del diritto all’assistenza sociale presuppone, quindi, la realizzazione, secondo le modalità organizzative individuate dal legislatore, nei limiti di una ragionevole attuazione dell’art. 38 Cost., comma 1, di un sistema di protezione sociale capace di elargire prestazioni, sostegni economici e servizi idonei ad assicurare un tenore di vita dignitoso a soggetti in stato di bisogno. E’ da segnalare, peraltro, che proprio in ragione del principio di solidarietà collettiva che lo sorregge, il sistema di assistenza sociale previsto dalla Costituzione ha – come pure si è affermato in dottrina – un “assetto (…) di stampo pluralistico”. Si compone, cioè, di enti sia pubblici che privati, in linea con l’idea che la solidarietà e la promozione dell’individuo, quale componente di una comunità, siano adempimenti di tutto l’ordinamento nel suo complesso, anche della sua base sociale.
3.3.8. Nonostante l’art. 38 Cost., contenga previsioni ad ampio raggio per l’assistenza sociale – a differenza della parte relativa alla previdenza, che si rivolge ad un novero più ristretto di soggetti e situazioni (i lavoratori, nel caso in cui la loro capacità lavorativa venga meno parzialmente o totalmente) -, la successiva legislazione in tale ambito si è sviluppata, negli anni novanta del secolo scorso, secondo una dinamica “fortemente categoriale”, sedimentandosi la funzione assistenziale dello Stato attraverso una pluralità di atti normativi e interventi settoriali. Intuibili ragioni di sintesi escludono, tuttavia, di poterne dare conto compiutamente in questa sede.
3.4. Qui, invece, va rimarcata la L. 8 novembre 2000, n. 328 – intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” – varata per dar vita ad una complessiva riorganizzazione del sistema dei servizi sociali, indirizzandolo ad una logica di integrazione degli interventi e dei soggetti (pubblici e privati) che di esso fanno parte. Si tratta del primo provvedimento che detta una disciplina organica dei servizi predetti, superando l’approccio frammentato e categorizzante dei precedenti interventi normativi. Essa imprime una visione unitaria e sistematica della materia che emerge già dai suoi principi e dal modus operandi richiesto a tutti gli attori che entrano a far parte del modello di assistenza sociale dalla stessa delineato. La sua finalità dichiarata (art. 1) è quella di dar vita ad “un sistema integrato di interventi e servizi sociali” per la persona e le famiglie, capace di “promuove(re) interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza”, prevenire, eliminare o ridurre “le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli artt. 2,3 e 38 Cost.”. In altri termini, il suo scopo principale e’, oltre la semplice assistenza del singolo, anche il sostegno della persona all’interno del proprio nucleo familiare. Suoi obbiettivi sono, quindi, la qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione delle disabilità, il disagio personale e familiare ed il diritto alle prestazioni.
3.5. La legge si innesta su un quadro di rapporti fra livelli territoriali e fra istituzioni e società già improntato alle logiche della sussidiarietà verticale e orizzontale e definisce, perciò, il sistema dei servizi sociali come un modello “a rete” basato sulla partecipazione delle autonomie territoriali che compongono la Repubblica, in un’ottica di leale collaborazione, e altresì sul coinvolgimento della base sociale dell’ordinamento, assegnando agli enti locali il compito di incentivare l’intervento dei soggetti privati, singoli o associati, nel sistema integrato dei servizi per l’assistenza sociale.
3.5.1. Essa pone al centro degli interventi di sicurezza sociale la persona, quale soggetto attivo delle politiche sociali e non semplice destinatario di prestazioni di natura assistenziale. Sotto questo profilo, detto provvedimento normativo ha segnato il passaggio da una prospettiva meramente assistenzialistica, diretta cioè alla esclusiva riparazione di un disagio, ad una logica promozionale tesa non solo ad intervenire sullo stato di bisogno del soggetto in carico ai servizi, ma a creare i presupposti per prevenire ulteriori fattori di fragilità e favorire prospettive di realizzazione della sua persona e condizioni di vita dignitose (progetti di vita, di inserimento socio-lavorativo, percorsi di auto-mutuo aiuto, etc…). Tale principio implica una serie di azioni che seguono all’accesso ai servizi sociali: dalla valutazione multidimensionale della persona, alla presa in carico e alla definizione di un progetto individualizzato che, nel prevedere le necessarie misure di sostegno, possa attivare le risorse presenti nel contesto familiare, parentale e territoriale anche per offrire al soggetto opportunità per riacquistare libertà e autonomia. Dal canone personalista deriva, poi, la logica dell’accesso universale ai servizi di assistenza sociale, che riconosce l’individuo come destinatario, indipendentemente dalla sua appartenenza ad una particolare comunità politica.
3.6. Il modello integrato – “a rete” – dei servizi sociali previsto dalla L. n. 328 del 2000, vede la partecipazione di tutti gli attori istituzionali e sociali che compongono la Repubblica, ossia i diversi livelli governativi in cui è declinato lo Stato regionale italiano ed i soggetti della società civile, tutti chiamati a cooperare per assicurare adeguate condizioni di vita della persona e della collettività in ossequio ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” richiesti dall’art. 2 Cost..
3.6.1. Sul piano istituzionale, la concreta realizzazione di tale sistema integrato dei servizi sociali implica che tutte le articolazioni territoriali dello Stato prendono parte, con spirito di leale collaborazione, alla pianificazione degli interventi che, ai diversi livelli di governo, individua attività e prestazioni da mettere in campo ai fini della effettiva fruizione dei diritti di assistenza sociale. Si parte dal piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, di competenza dello Stato stesso, al quale è demandata, in modo particolare, la definizione dei principi e degli obiettivi delle politiche sociali, la determinazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale e, soprattutto, individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni e la ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Tale passaggio, in un’ottica di bilanciamento fra istanze di uniformità e tutela dell’autonomia degli enti territoriali, deve assicurare la partecipazione delle regioni. A loro volta, gli enti regionali sono chiamati a formulare, di concerto con i comuni, il piano regionale dei servizi sociali, attraverso il quale esercitano funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali realizzati sul territorio, favorendone l’integrazione con i servizi sanitari e con le politiche di istruzione, di formazione professionale e di inserimento lavorativo. Inoltre, alle regioni competono, fra gli altri compiti, anche la verifica della effettiva attuazione dei servizi, la definizione, sulla base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti del privato sociale, la determinazione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per la erogazione delle prestazioni, nonché l’esercizio dei poteri sostitutivi, secondo le modalità indicate dalla legge regionale, nei confronti dei comuni che siano inadempienti nello svolgimento delle funzioni ad essi attribuite. Infine, il processo di pianificazione dei servizi sociali si chiude con l’elaborazione, da parte dei comuni, del piano di zona, nel quale entrano “la programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali”, con l’indicazione delle priorità e dei settori di innovazione, nei limiti delle risorse disponibili e con il coinvolgimento dei soggetti privati che partecipano alla “rete” degli interventi di assistenza.
3.6.2. Il comune, sulla scia delle precedenti riforme normative sul decentramento, viene così individuato, come ambito strategico per l’attuazione del sistema integrato previsto dalla L. n. 328 del 2000, ad esso risultando attribuiti compiti amministrativi fondamentali per la predisposizione ed erogazione dei servizi e degli interventi. Oltre a tali funzioni, tale ente si occupa altresì dell’autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti privati, nonché, per quanto di più specifico interesse in questa sede, della definizione dei parametri per la valutazione delle condizioni di povertà, di limitato reddito e di incapacità totale o parziale per inabilità fisica e psichica, e delle relative condizioni per usufruire delle prestazioni (art. 6, commi 1 e 2).
3.6.3. A completare questo articolato sistema, interviene il principio di sussidiarietà orizzontale, quale esplicitazione concreta della natura sociale dell’uomo e, quindi, dell’essenziale funzione di collante che la solidarietà riveste all’interno di una comunità organizzata. La sussidiarietà orizzontale offre uno spazio fondamentale al ruolo del privato sociale, attraverso cui il principio di solidarietà (art. 2 Cost.), quale valore alla base della convivenza civile, alimenta e chiude il circuito di programmazione del sistema integrato dei servizi sociali. Esponenti della società civile entrano a far parte della rete dell’assistenza sociale, impegnati nella progettazione e realizzazione di interventi tesi a rimuovere le situazioni di disagio sociale. In questo scenario, gli enti territoriali locali, i comuni in particolare, che sono a stretto contatto con la comunità sociale, hanno il compito di incentivare una partecipazione solidaristica dal basso a favore delle categorie più bisognose. Da ciò si evince, quindi, la collocazione centrale e strategica del comune nella implementazione del welfare locale, non solo come soggetto responsabile della erogazione di servizi e prestazioni, ma anche, più in generale, per il ruolo di coinvolgimento nella rete dell’assistenza sociale di tutti i soggetti (pubblici e privati) della realtà locale, nonché per il monitoraggio e la vigilanza sugli interventi, al fine di garantire la qualità, l’efficienza e l’efficacia dei servizi resi.
3.7. In questa cornice complessiva, dunque, va inquadrato l’intero tenore dell’art. 6 (Funzioni dei comuni) della legge in esame che, dopo aver descritto ai commi 1, 2 e 3, le funzione ed i compiti dell’ente comunale nei sensi già precedentemente descritti, sancisce, al comma 4, che “Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”.
3.8. Fermo tutto quanto precede, e tornando alla concreta vicenda oggetto dell’odierno ricorso, rileva il Collegio che il modus procedendi adottato dalla corte territoriale – laddove la stessa, una volta sancita la sicura fonte legale dell’obbligazione dedotta in causa, trovando piena applicazione, al riguardo, a suo dire, della L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 4, ha affermato, poi, che “il provvedimento del Comune di Olbia volto a limitare a soli trenta giorni l’impegno finanziario (peraltro in concreto abbondantemente travalicato in termini temporali) è in sé improduttivo di effetti di esonero dall’obbligo di pagamento”, successivamente procedendo essa stessa all’accertamento del requisito applicativo della disposizione normativa da ultimo indicata, rappresentato dalla “necessità del ricovero stabile presso la struttura residenziale” -, mostra di non tenere conto del fatto che, in tema di servizi socio-assistenziali, della L. n. 328 del 2000, citato art. 6, va contemperato con il disposto del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 183 e 191, sicché l’obbligo del comune di residenza di disporre il ricovero di persone presso strutture private è subordinato all’attestazione della relativa copertura finanziaria, in quanto è vietata qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio di previsione. Tale obbligo di assistenza, infatti, benché previsto a tutela di un diritto costituzionalmente protetto (artt. 2,32 e 38 Cost.), non è incondizionato, ma presuppone un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti (ed in tal senso va letta la norma laddove dispone che il comune debba essere “previamente informato”), ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l’ente dispone, che si traducono, poi, nell’osservanza delle disposizioni sui contratti della Pubblica Amministrazione (cfr. Cass. n. 24655 del 2016, e le pronunce in essa richiamate. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche la più recente Cass. n. 32310 del 2018, in tema di servizi socio sanitari forniti dalla Regione Sicilia).
3.8.1. In altri termini, le funzioni di cui al citato art. 6, ed i relativi oneri economici scontano sempre e comunque, come puntualmente emerge dal comma 2, della medesima norma, il limite della disponibilità delle risorse in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali.
3.8.2. Pertanto, giusta quanto emerge da una lettura combinata delle disposizioni recate da ciascuno dei commi che compongono il menzionato art. 6, spetta ai comuni territorialmente competenti, nell’esercizio delle funzioni amministrative normativamente attribuitegli in materia di servizi sociali (commi 2 e 3) e “nell’ambito delle risorse disponibili” (comma 2), provvedere a disporre in ordine alla necessità, o non, del “ricovero stabile” di cui al suo comma 4. Ciò, naturalmente, all’esito di un’istruttoria compiuta al momento in cui viene rappresentato il bisogno di sostentamento, così da consentire all’amministrazione di valutare le condizioni cui è subordinata l’operatività, o non, del sostentamento pubblico, e fatta salva, ovviamente, la possibilità di impugnare il corrispondente provvedimento innanzi alla autorità giurisdizionale competente.
3.9. Nella specie, il Comune di Olbia, territorialmente tenuto (in ragione della residenza della minore e di sua madre al momento della corrispondente richiesta) a svolgere l’istruttoria predetta, all’esito della stessa, con il citato provvedimento n. prot. 229 del 7 marzo 2000, ha ravvisato la necessità non già di uno “stabile ricovero” di queste ultime presso una struttura residenziale, ma, esclusivamente, di una loro ospitalità temporanea ivi (ribadita e valutata positivamente anche dal Tribunale dei Minori di Sassari, in sede di rilascio dell’autorizzazione alla madre, affidataria della minore, ad intraprendere il prospettato progetto di reinserimento in una diversa città), assumendosene l’onere economico limitatamente al periodo di trenta giorni, “sufficiente a garantire un’accoglienza adeguata a madre e bambina”.
3.9.1. Di questo provvedimento, di cui non risulta alcuna avvenuta impugnazione delle dirette interessate innanzi alla competente autorità giurisdizionale, la corte veneziana, dunque, doveva tenere conto, traendone le relative conseguenze in ordine alla richiesta di pagamento della SPES di cui oggi si discute, senza poterlo ritenere, invece, “improduttivo di effetti”, per giunta alla stregua di un accertamento (quella sulla necessità, o non, dello stabile ricovero della minore e della madre cui quest’ultima era affidata) spettante non direttamente alla medesima corte, bensì all’amministrazione, il cui esito ben poteva/doveva essere, se del caso, fatto oggetto adeguata impugnazione. Ciò per la decisiva ragione che, proprio alla stregua delle indicate finalità della L. n. 328 del 2000, nonché del contenuto complessivo del suo, già descritto, art. 6, l’ente comunale, nell’attuazione dei compiti e delle funzioni affidatigli da tale disposizione, può evidentemente assumere obblighi anche diversi e/o di impegno economico più limitato, cioè meramente temporaneo, rispetto a quello per cui lo stesso è già tenuto, ove previamente informato, laddove si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali del soggetto che abbia diritto alla corrispondente prestazione. In tal caso, però, come è affatto ragionevole atteso il limite della disponibilità delle risorse comunali in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali, quell’impegno (più limitato) delimita in concreto l’entità dell’obbligazione assunta dal comune medesimo nei riguardi del soggetto e/o della struttura che esegue la prestazione assistenziale dopo averne accettato la corrispondente richiesta del primo.
3.10. Ne’, in contrario, può assumere decisivo rilievo la circostanza che, nella specie, il Comune di Olbia abbia prolungato, oltre i trenta giorni originariamente previsti, il pagamento della retta in questione, non potendosi attribuire rilevanza provvedimentale, in termini di contrarius actus rispetto ad un formale provvedimento amministrativi legittimo e vigente, ad una mera condotta comportamentale, posto che essa implica l’inesistenza del procedimento amministrativo per l’esercizio dei poteri assegnati e l’autotutela risulta, quindi, esercitata in carenza di potere e con atti affetti da nullità per difetto dell’elemento essenziale della forma.
4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente ai suoi motivi primo e secondo, respingendosene il terzo. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, rinviandosi la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame da effettuarsi alla stregua del seguente principio:
“In tema di interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a garantire un aiuto concreto alle persone ed alle famiglie in difficoltà, spetta al comune territorialmente competente, nell’esercizio dei compiti e delle funzioni normativamente attribuitegli in materia dalla L. n. 328 del 2000, art. 6, commi 2 e 3, la definizione dei parametri per la valutazione delle condizioni di povertà, di limitato reddito e di incapacità totale o parziale per inabilità fisica e psichica, e delle relative condizioni per usufruire delle prestazioni. L’ente, inoltre, può assumere obblighi diversi, anche di impegno economico meramente temporaneo, rispetto a quello per cui lo stesso è già tenuto, ove previamente informato, laddove si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali del soggetto avente diritto alla corrispondente prestazione. In tal caso, però, atteso il limite della disponibilità delle risorse comunali in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali, quell’impegno più circoscritto delimita in concreto l’entità dell’obbligazione assunta dal comune medesimo nei riguardi di chi esegue la prestazione assistenziale dopo averne accettato la corrispondente richiesta del primo”.
4.1. Al Giudice di rinvio è affidata pure la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo ed il secondo motivo di ricorso, rigettandone il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022
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