Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5870 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11797/2015 proposto da:

Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore avv. I.G., elettivamente domiciliato in Roma Via G.P. da Palestrina n. 19, presso lo studio dell’avvocato Pagliari Massimo, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Tercas – Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Alberico II n. 33, presso lo studio dell’avvocato Ludini Elio, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 324/2015 del TRIBUNALE di ROMA, pubblicata il 30/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/02/2022 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Roma, in accoglimento dell’opposizione L. Fall., ex art. 98, ha ammesso la Tercas – Cassa di risparmio della provincia di Teramo s.p.a. al passivo del fallimento della ***** s.r.l., in privilegio pignoratizio, per l’importo di 2.862.851,72 Euro oltre interessi.

Ha premesso che la società aveva conferito il proprio patrimonio immobiliare in un fondo apposito e successivamente (nell’anno 2009) lo aveva costituito in pegno in favore del ceto bancario, a fronte di un finanziamento erogato alla propria capogruppo Dimafin s.p.a. L’operazione aveva rappresentato, nel complesso, un atto esecutivo del piano di risanamento dell’esposizione debitoria del gruppo Dimafin, per la cui ragionevolezza era stata presentata l’attestazione rilevante ai fini dell’esenzione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d).

A fronte dell’eccezione formulata dal Fallimento, il tribunale (nei limiti di ciò che ancora interessa) ha ritenuto che la presenza del piano attestato producesse, in generale e automaticamente, l’esenzione da revocatoria, non essendo nel potere del giudice, e tanto meno del terzo finanziatore, disconoscere gli effetti protettivi in virtù di una valutazione diversa da quella fatta dall’attestatore; e questo perché la ratio della disciplina è quella di incoraggiare la concessione dei finanziamenti onde consentire ai terzi di intraprendere operazioni di salvataggio delle imprese in crisi. Tale obiettivo sarebbe contraddetto – secondo il giudice a quo – dall’eventualità del venir meno dell’effetto protettivo in ipotesi di sindacato ex post, salvi i casi confinabili nell’intenzionalità fraudolenta e nel carattere criminoso dell’operazione.

La curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione nei confronti del decreto del tribunale di Roma, deducendo due motivi (illustrati da memoria) ai quali la banca ha replicato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Coi due motivi di ricorso il Fallimento denunzia rispettivamente (i) la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d), nel testo vigente pro tempore, in relazione al principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 1521 del 2013, e (ii) la nullità del provvedimento per violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., ovvero per l’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dal potere-dovere di controllo del giudice sul piano attestato.

II. – Occorre dire che il vizio di motivazione è illustrato, nel ricorso, come riferito alla contraddittorietà intrinseca di quanto ritenuto, più che all’omesso esame di fatti storici (v. Cas. Sez. U. n. 8053-14).

Una sola e’, in effetti, la critica rivolta al tribunale, e cioè che esso, a fronte dell’eccezione formulata dalla curatela ai sensi della L. Fall., art. 67, onde stabilire l’esenzione dalla revocatoria fallimentare dell’atto costitutivo del pegno non si sarebbe potuto limitare alla presa d’atto dell’esistenza dell’attestazione del professionista incaricato dal debitore, ma avrebbe dovuto esercitare il poter di controllo e di sindacato che gli competeva in ordine al contenuto dell’attestazione, alla veridicità, alla correttezza e alla completezza dei dati contabili esposti nel piano.

III. – La censura è fondata.

Il tribunale di Roma ha reso la decisione sull’essenziale presupposto che né sul giudice né sul terzo erogatore di nuova finanza si appunti il potere di sindacato in ordine all’attestazione resa dal professionista circa l’idoneità del piano a realizzare gli obiettivi di risanamento dell’impresa. Segnatamente andrebbe escluso il potere del giudice di valutare l’idoneità del piano attestato ai fini della esenzione della revocatoria, al punto che la sola presenza del piano e dell’attestazione produrrebbe (automaticamente) l’effetto protettivo sugli atti esecutivi.

Esattamente al contrario questa Corte ha già affermato, proprio in relazione alla procedura fallimentare della ***** s.r.l., che per ritenere esenti dalla revocatoria fallimentare gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento (L. Fall., ex art. 67, comma 3, lett. d), nel testo che qui rileva, previgente al D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012), il giudice deve effettuare, con giudizio ex ante, una valutazione, parametrata sulla condizione professionale del terzo contraente, circa l’idoneità del piano – del quale gli atti impugnati costituiscono strumento attuativo – a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa; e ciò seppure in negativo, vale a dire nei limiti dell’evidenza della inettitudine del piano presentato dal debitore al detto fine (v. Cass. n. 3018-20).

IV. – Questo è invero conforme alla stessa logica del piano e della connessa esenzione, e la valutazione di ragionevolezza del medesimo presuppone evidentemente, a monte, la veridicità dei dati e la complessiva attendibilità della situazione aziendale, quali elementi sui quali una consimile valutazione non può che fondarsi.

Proprio in simile prospettiva è stato utilmente sottolineato che, per ritenere esenti dalla revocatoria fallimentare gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento, il piano deve apparire idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa (cfr., in motivazione, Cass. n. 26226-16; e v. pure Cass. n. 13719-16).

Ne segue che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, costituisce elemento basico della previsione che sul giudice si concentri anche e proprio la potestà valutativa del piano, sia pure nei termini e nei limiti appena sopra riferiti, e fermo restando il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi forniti dal debitore ai creditori.

V. – Il decreto va dunque cassato con rinvio al medesimo tribunale di Roma, diversamente composto, per nuovo esame.

Il tribunale si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al tribunale di Roma anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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