Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.5897 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14166/2017 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 7, presso lo studio dell’avvocato LUCA GIOVARRUSCIO, rappresentato e difeso dagli avvocati PIERLUIGI VICIDOMINI, PIERLUIGI MORENA;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO *****, IN PERSONA DELL’AMM.RE PRO TEMPORE, CONDOMINIO *****, IN PERSONA DELL’AMM.RE PRO TEMPORE, CONDOMINIO *****, IN PERSONA SELL’AMM.RE PRO TEMPORE, S.C., S.G., S.P., IN QUALITA’ DI EREDI DI S.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 666/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 23/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. M.A. ha proposto ricorso, sulla scorta di un solo motivo, per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Salerno ha dichiarato improcedibile il suo appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno che aveva dichiarato inammissibile, in quanto preclusa da un precedente giudicato, la domanda da lui proposta per l’accertamento del suo diritto di comproprietà sul cortile del condominio ***** *****.

La Corte salernitana ha affermato l’improcedibilità dell’appello del signor M. ritenendo tardiva la costituzione del medesimo nel giudizio di secondo grado. Ciò in quanto, si argomenta nella sentenza qui impugnata (v. pag. 6), la notifica dell’atto di appello avverso la sentenza di primo grado era stata ricevuta dagli appellati il 27 e il 29 maggio del 2009, cosicché l’iscrizione a ruolo della causa di appello – effettuata il 9 giugno del 2009 – risultava intempestiva rispetto al termine di dieci giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 347 e 165 c.p.c..

Nell’impugnata sentenza si aggiunge (v. pag. 7) che, dopo l’appello notificato il 27 e 29 maggio 2009, il signor M. aveva notificato un secondo atto di appello in data 11 giugno 2009 e si sottolinea come tale seconda impugnazione fosse ammissibile (non essendo stata dichiarata l’inammissibilità o l’improcedibilità della prima impugnazione e non essendosi quindi consumato il potere di impugnazione dell’appellante) e tempestiva, anche rispetto al termine breve decorrente dalla proposizione della prima impugnazione. Tuttavia, argomenta la Corte distrettuale, l’appellante non poteva giovarsi di questa seconda impugnazione perché essa non era stata iscritta a ruolo per essere successivamente riunita a quella antecedente; cosicché, concludono i giudici di secondo grado, “il vizio di iscrizione non è sanato e l’appellante è incorso nella decadenza di cui all’art. 348 c.p.c.”.

Gli intimati non hanno depositato controricorso La causa è stata e decisa nell’adunanza camerale del 7 dicembre 2021, per la quale non sono state depositate memorie.

Con l’unico motivo di ricorso, riferito all’art.. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, il sig. M. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 347 c.p.c., art. 348 c.p.c., comma 1 e art. 165 c.p.c. e deduce la nullità della sentenza impugnata.

Il ricorrente sostiene, infatti:

a) in primo luogo, che, contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata, egli non aveva mai iscritto al ruolo il primo atto di citazione in appello;

b) in secondo luogo, che l’atto iscritto a ruolo in data 9 giugno 2009 (erroneamente ritenuto dalla corte territoriale la prima citazione in appello) in effetti era la velina della seconda citazione in appello, spedita per notifica lo stesso 9 giugno (dopo il decorso di dieci giorni dalla prima notifica della prima citazione) e la cui prima notifica si era perfezionata l’11 giugno 2009; velina utilizzata per l’iscrizione a ruolo alla stregua dei principi fissati da Cass. SSUU 10864/2011.

Tanto premesso, il ricorrente sottolinea come le circostanze sopra descritte risultino inequivocabilmente dal duplice rilievo che:

1) dall’indice foliario del fascicolo di parte depositato nel giudizio di appello risulta che l’appellante il 9 giugno 2009 (come attestato dal timbro della Cancelleria) aveva depositato la “velina” del secondo atto di appello;

2) sulla copia dell’atto di appello depositata in Cancelleria al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, effettuata il 9 giugno 2009, risulta presente, in alto a destra della prima pagina dello stampato, la dicitura apposta a penna: “velina”.

Il ricorso è inammissibile, perché l’errore contestato alla Corte di appello, ossia aver ritenuto che l’atto di citazione in appello iscritto ruolo il 9 giugno fosse quello notificata a maggio – e non la velina di quello spedito per notifica il 9 giugno – costituisce errore di fatto denunciabile con il ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4 e non error in procedendo denunciabile con il ricorso per cassazione. La doglianza del ricorrente, infatti, pur prospettata come error in procedendo derivante dalla violazione e falsa applicazione degli artt. 347,165 c.p.c. e art. 348 c.p.c., comma 1, in sostanza denuncia una svista percettiva in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa identificando l’atto depositato il 9 giugno 2009 dall’appellante in sede di costituzione in giudizio nel primo atto di citazione in appello invece che, come effettivamente era, nella velina del secondo atto di citazione in appello.

Ciò è fatto palese dalla stessa argomentazione che si legge a pag. 24 del ricorso, là dove il ricorrente addebita alla Corte di appello di Salerno di aver ritenuto improcedibile l’appello per ragioni “basate, fondamentalmente, sull’erronea supposizione che quest’ultimo avrebbe iscritto a ruolo tardivamente il primo atto di appello e avrebbe poi notificato un secondo ed ulteriore atto di appello, riunendolo, mediante deposito in Cancelleria, a quello che era stato già iscritto a ruolo tardivamente”.

Il ricorrente cioè deduce, in ultima analisi, che la statuizione di improcedibilità del suo appello sarebbe l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa e, precisamente, sarebbe l’effetto della supposizione di un fatto (l’essere stato iscritto a ruolo, il 9 giugno, il primo atto di citazione in appello, notificato a maggio) incontrastabilmente escluso e, specularmente, della supposizione dell’inesistenza di un fatto (l’essere stato iscritto a ruolo, il 9 giugno, la velina del secondo atto di citazione in appello, notificato a giugno) la cui verità è positivamente stabilita; e ciò senza che tali fatti (mancato deposito del primo atto di appello e intervenuto deposito della velina del secondo atto di appello) abbiano costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata. Lo stesso ricorrente dà infatti atto, alle pagine 22 e 23 del ricorso, che la circostanza che egli non avesse depositato il primo atto di appello e avesse invece depositato il secondo atto di appello era pacifica per essere stata dedotta dalle stesse controparti – Condominio ***** e Condominio ***** – nelle rispettive comparse di costituzione risposta in appello.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile (cfr. Cass. 10066/2010: “Qualora una parte assuma che la sentenza di secondo grado, impugnata con ricorso ordinario per cassazione, è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio di merito, il ricorso è inammissibile, essendo denunziato – al di là della qualificazione come “violazione di legge” – un tipico vizio revocatorio, che può essere fatto valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’art. 395 c.p.c.”).

Non vi è luogo a regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo alcuno degli intimati spiegato attività difensiva in questa sede.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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