Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5902 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24963/2016 proposto da:

Società Anonima Bari-Barletta S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Via L.

Mantegazza, 24, presso il Dottor Marco Giardin, e rappresentata e difesa dall’Avvocato Costantino Ventura, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, e Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 749/2016 della Corte d’Appello di Bari, pubblicata il 22/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/01/2022 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

FATTI DI CAUSA

1. La Società Anonima Bari-Barletta a r.l. ricorre con sette motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Bari rigettando l’impugnazione dalla prima proposta avverso la sentenza n. 2628 del 2012 con cui il Tribunale di Bari ne aveva, a sua volta, rigettato la domanda a percepire il prezzo di stima, richiesto nella misura di Euro 170.000,00, del bene devoluto al demanio R.D. n. 1447 del 1912, ex art. 186, per intervenuta prescrizione del diritto alla indennità.

L’immobile oggetto di domanda consisteva nell’ex casello ferroviario sito in *****, al foglio *****, p.lla ***** – bene relitto dalla vecchia tramvia, a trazione animale o meccanica, insistente sulle strade provinciali – che, rimasto inutilizzato, e già trasferito in proprietà alla dante causa, Società Anonima delle Ferrovie Economiche Bari-Barletta e Diramazioni, con sede in Bruxelles, concessionaria del servizio, per atto della Provincia di Bari del 31 ottobre 1878 e successiva cessione del 10 agosto 1886, era devoluto al demanio con maturazione del diritto al relativo prezzo in capo alla concessionaria ed aventi causa.

2. Per la Corte d’appello il dies a quo della prescrizione del diritto al prezzo doveva individuarsi nella scadenza della concessione, ai sensi del R.D. n. 1447 del 1912, art. 186, avente la durata di settanta anni giusta art. 6 della correlata Convenzione stipulata per la costruzione ed esercizio della ferrovia *****, tra parte pubblica ed il privato.

Per giudici di secondo grado non sarebbe valso, invece, all’indicato fine, il distinto termine individuato dall’appellante e segnato dal passaggio in cosa giudicata – intervenuto in esito alla sentenza n. 24139 del 2004 della Corte di cassazione, che aveva superato indenne il ricorso per revocazione, con successiva sentenza n. 29 del 2006 – della sentenza del Pretore di Ruvo di Puglia n. 47 del 1989 che pronunciando tra la società e tale T.R., in un giudizio in cui entrambe le parti, in via principale per rivendica ed in via incidentale per dedotta usucapione, reclamavano la proprietà del bene, aveva respinto tutte le domande proposte nell’accertata devoluzione al demanio della proprietà del bene R.D. n. 1447 del 1912, ex artt. 183, 184 e 186.

Resistono con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e dei limiti del giudicato.

La corte di merito avrebbe esteso, oltre i limiti soggettivi ed oggettivi suoi propri, il giudicato formatosi all’esito delle sentenza della cassazione n. 24139 del 2004 che, pronunciata inter alios tra la ricorrente ed il signor T.R. – in un giudizio in cui entrambe le parti rivendicavano, il secondo in via riconvenzionale per usucapione, la proprietà della stazione ferroviaria a servizio del tratto oggetto di concessione approvata con R.D. 17 dicembre 1925, n. 22358, prevista in sostituzione della precedente tratta tramviaria -, aveva dichiarato il difetto di legittimazione di entrambe le parti, con rigetto delle relative domande, per essere il bene passato al demanio dello Stato per un effetto prodottosi ope legis, alla scadenza della concessione R.D. n. 1447 del 1912, ex art. 186.

I giudici di appello nel richiamare l’indicato titolo avrebbero esteso al MEF ed all’Agenzia del demanio, parti del distinto scrutinato giudizio, l’accertamento intervenuto nella precedente lite e dotato di vincolatività da giudicato, secondo il quale la proprietà della stazione ferroviaria non più in uso sarebbe stata trasferita in capo al demanio R.D. n. 14447 del 1912, ex art. 186.

Il motivo è infondato ed anche inammissibile là dove non coglie dell’impugnata sentenza il suo fondamento logico.

La Corte d’Appello di Bari non ha fondato la propria decisione estendendo impropriamente il giudicato inter alios formatosi alla presente e distinta controversia, disattendendo la diversità soggettiva ed oggettiva dei giudizi.

Vero e’, piuttosto, che proprio in risposta a deduzione portata in quel grado dall’odierna ricorrente, lì appellante, la corte di merito ha escluso che la sentenza su cui era caduto il giudicato potesse valere ad accertare, con efficacia costitutivo-traslativa, la proprietà del bene controverso in capo al demanio, limitandosi, piuttosto, quel diverso giudice ad una mera dichiarazione di un effetto devolutivo del bene al demanio altrimenti prodottosi “ope legis”, R.D. n. 1447 del 1912, ex art. 186.

In buona sostanza i giudici di appello ritengono che la proprietà della stazione ferroviaria al demanio derivi direttamente dalla legge e poco importa se essi pervengano a tale conclusione saggiando con il seguire il percorso tracciato nella portata impugnazione dalla stessa difesa dell’appellante – i contenuti della sentenza del Pretore di Ruvo di Puglia, su cui era caduto il giudicato per sentenza di questa Corte di Cassazione n. 24139/2004, sulla quale era poi stato respinto il ricorso per revocazione.

L’appellante, odierna ricorrente, nel contro dedurre all’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione pubblica quanto alla pretesa avanzata in giudizio (e quindi al prezzo di stima della stazione dismessa ex art. 3 del Capitolato amministrativo dell’11.12.1877, come riportato nella Convenzione di concessione per atto notar C. del 31 ottobre 1878, per il quale alla scadenza della concessione relativa a linea ferroviaria attribuita al dante causa dell’odierna ricorrente, gli immobili come stazioni ed altri manufatti relativi alla ferrovia, e quindi quella di Ruvo di Puglia oggetto del giudizio, potevano essere rilevate dalla Provincia previo pagamento del prezzo alla concessionaria) aveva individuato il dies a quo di decorso della prescrizione in quel giudicato, formato all’esito di un giudizio in cui illegittimamente, e con carattere costitutivo, il giudice aveva accertato il trasferimento del bene in capo al demanio.

La corte di merito disconosce a quell’accertamento ogni valenza costitutiva ribadendo che il diritto al prezzo, o indennità rivendicata, comincia a decorrere dalla scadenza della concessione da cui occorre muovere per accertare del diritto la prescrizione.

Nell’indicato ragionamento non si fa applicazione di una impropria estensione alla lite del giudicato esterno, ma si esclude dello stesso rilievo ai fini identificativi del fatto-fonte da cui far decorrere la prescrizione, il tutto in risposta al costrutto in diritto tentato dalla ricorrente.

Sia detto sin d’ora, anticipando quanto costituisce oggetto del settimo ed ultimo motivo di ricorso, che l’intera costruzione in giudizio che ha sostenuto nella fase di merito la posizione della ricorrente, e che ancora la società ripropone attraverso i denunciati vizi, viene fatta valere sull’assunto che, nell’incertezza della situazione in cui la ricorrente si sarebbe venuta a trovare rispetto alla titolarità del bene (e tanto anche per le condotte assunte dalla parte pubblica di, quanto meno, non opposizione al diritto ex adverso vantato), la prescrizione, per una sorta di quiescenza del diritto, non sarebbe decorsa per poi prendere vigore allorché, nell’indicato e distinto giudizio, si era affermato, con carattere costitutivo, la proprietà del demanio.

A fronte di siffatto accertamento, integrante, in tesi, un diverso atteggiarsi del diritto e del suo fondamento, ecco che la ricorrente avrebbe trovato ragione per rivendicare il bene ed il correlato credito indennitario ex art. 3 cit., in sede giudiziaria, introducendo l’odierno giudizio, dapprima dinanzi al Tar-Puglia, con atto notificato il 17/11/2006, e, all’esito della declaratoria di difetto di giurisdizione, in riassunzione dinanzi al Tribunale di Bari per poi proseguire in appello dinanzi alla corte territoriale competente.

La costruzione non ha alcun pregio.

Il nostro sistema stabilisce all’art. 2935 c.c., che la prescrizione inizia a decorrere “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” secondo una previsione che presuppone, quale impedimento all’esercizio, un ostacolo in diritto.

Perché possa aversi un inizio del decorso della prescrizione del diritto è necessario che il relativo esercizio sia stato impedito da un ostacolo di diritto, rimosso il quale la pretesa può essere fatta valere.

Alle indicate condizioni può dirsi che, ex art. 2935 c.c., inizi a decorrere il termine di prescrizione, nel mancato rilievo, ai fini estintivi del diritto, della pregressa inerzia del titolare, impedito.

Là dove colui che si assuma titolare di un diritto di credito non trovi ostacolo nel relativo esercizio, presentandosi come tale erga omnes, senza sortire contestazioni, per ciò stesso non vi è ragione perché debba o possa individuarsi un dies a quo di esercizio postergato e diverso del diritto dal quello derivante dal titolo vantato.

La società ricorrente ha dedotto di aver agito quale proprietaria, avente diritto al prezzo del bene già oggetto di concessione ex art. 3 cit., in tutta una serie di giudizi e procedimenti amministrativi che negli esiti avuti avrebbe sostenuto il maturato convincimento sulla sussistenza del proprio diritto.

Sarebbero valse, segnatamente, a definire lo stato soggettivo della ricorrente le iniziative e determinazioni assunte dall’amministrazione o da organi giudiziari (così per la procedura di esproprio promossa dal Comune di Ruvo di Puglia che ai fini della liquidazione della relativa indennità aveva indicato quale proprietario la società; così per la sentenza del Tribunale Regionale delle acque pubbliche di Napoli n. 105/98 in cui la proprietà della particella su cui insisteva l’immobile era stata riconosciuta alla ricorrente; così per le ammissioni di cui alle note della Ferrotramviaria e dell’Agenzia del Demanio prot. n. 10559 del 13.4.2010 con cui le aree sede della ferrovia ***** vennero restituite, con tutto il complesso patrimoniale, dalla concessionaria all’avente diritto individuata nella società ricorrente; così per il regime giuridico della stazione ferroviaria giusta atto notaio L. del 18.8.1886 oggetto di cessione dall’originaria concessionaria alla Società Anonima delle Ferrovia Economiche Bari-Barletta e diramazioni, dante causa della ricorrente, pp. 15, 16 ricorso).

La prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere e non da quando per la prima volta vengano portate contestazioni allo stesso, poi accolte in un accertamento giudiziale: il diritto infatti esiste e come tale può essere esercitato in quanto nel sistema ve ne siano gli estremi di sussistenza e non risultino integrati ostacoli in diritto all’esercizio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione del R.D. n. 1447 del 1912, artt. 186, 187; D.L. n. 77 del 1988, art. 3, conv. in L. n. 160 del 1989; L. n. 385 del 1990, art. 3 e dell’art. 15 preleggi.

La corte di merito avrebbe erroneamente disatteso la tesi fatta valere dalla ricorrente in giudizio secondo la quale avrebbe dovuto trovare applicazione nella fattispecie in esame il D.L. n. 77 del 1989, art. 3, convertito nella L. n. 160 del 1989, secondo il quale immobili, opere ed impianti di linee ferroviarie, acquisiti dall’azienda esercente a proprie spese e per qualsiasi ragione dismessi o non più utilizzati o non utilizzabili per l’esercizio del servizio ferroviario, “restano nella piena disponibilità dell’azienda proprietaria per estinzione del vincolo di reversibilità degli stessi”.

Ancora i giudici di appello avrebbero ignorato l’ulteriore deduzione della ricorrente, appellante nel grado, circa l’inosservanza per la sentenza di primo grado della L. n. 385 del 1990, art. 3, comma 3, che dispone la proroga della scadenza delle concessione ferroviarie fino al completamento del collaudo delle opere di ammodernamento e potenziamento per un periodo non superiore a cinque anni dal termine di ultimazione delle opere stesse Le indicate disposizioni avrebbero escluso l’intervenuta scadenza della concessione, ai sensi del R.D. n. 1447 del 1912, art. 186, al 17 dicembre 1995, e quindi alla scadenza del termine di settant’anni ritenuto dalla corte di merito, comportando le prime, invece, la individuazione del più lungo termine di esercizio del diritto per retrodatazione del dies a quo della pretesa erroneamente dichiarata prescritta: la perdurante esistenza delle concessione prorogata, nella persistente conduzione delle lavorazioni, avrebbe posticipato il correlato diritto indennitario fatto valere in giudizio dall’appellante.

Il motivo è inammissibile perché nel riproporre questione già sottoposta al vaglio dei giudici di appello non si confronta con la ratio della motivazione adottata nell’impugnata sentenza, in cui la corte di merito rileva della deduzione l’inammissibilità, in quanto portatrice di evidenze in fatto “nuove”, in precedenza non fatte valere il giudizio.

In ogni caso, di contro a quanto ancora dedotto dalla ricorrente, siffatta decisione non vale a gravare la parte, per una sorta di inversione, di un onere della prova sulla stessa non gravante.

Attraverso la deduzione delle indicate norme e delle fattispecie ivi comprese la ricorrente ha fatto valere, in replica all’eccezione di prescrizione dedotta dalla difesa erariale, una contro-eccezione diretta a paralizzare l’eccezione avversaria, i cui fatti devono essere dedotti e provati da chi la solleva (Cass. 26/02/2021, n. 5413), con rilievo che, anche se d’ufficio, non può prescindere dagli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti (Cass. 05/08/2013, n. 18602).

Su siffatto principio non deduce comunque la ricorrente.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente fa valere la violazione dell’art. 2944 c.c. e del D.L. n. 77 del 1989, art. 3, convertito in L. n. 160 del 1989.

La censura, con cui si deduce la violazione della disciplina sostanziale nella cui corretta applicazione la corte di merito avrebbe dovuto individuare un diverso dies a quo della prescrizione, e quindi ritenere non estinto il diritto all’indennità vantato dalla ricorrente, è assorbita dagli esiti dello scrutinio del secondo motivo cui consegue la estraneità del terzo alla trama di decisione.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 385 del 1990, art. 3, art. 2697 c.c., comma 2 e art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo è inammissibile per le ragioni indicate più sopra sub n. 2.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 385 del 1990, art. 3 e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo nel denunciare al violazione dell’art. 115 c.p.c., richiama della norma il comma 1, e quindi il principio per il quale il giudice deve porre a fondamento della sua decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, là dove nel giudizio di appello, in ragione dei contenuti della impugnata sentenza, la deduzione difensiva fondava, invece, sul “notorio”, disciplinato dal comma 2 dell’articolo, il rinnovo ex lege della concessione e nella sua diversa durata, in ragione della realizzazione del raddoppio della tratta ferroviaria dall’aeroporto di *****, la postergazione del termine di prescrizione.

La censura è inammissibile perché sottopone allo scrutinio di questa Corte un tema nuovo e nella parte in cui accenna, per la dedotta esistenza dei lavori di ammodernamento o velocizzazione della tratta ferroviaria, la violazione del notorio (p. 19), tanto fa in modo del tutto generico di nessun puntuale confronto con l’impugnata motivazione.

6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 385 del 1990, art. 3 e dell’art. 210 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La corte barese non avrebbe indicato perché non aveva motivato sulle ragioni per le quali aveva disapplicato l’art. 210 cit., non accogliendo l’istanza di esibizione svolta dall’appellante al fine di acquisire la copia degli atti di appalto a sostegno della perdurante esistenza dei lavori e della correlata operatività della concessione (così per collaudi e/o certificato di ultimazione dei progetti per la tratta ***** ed il collegamento con l’aeroporto di *****).

Il motivo è assorbito dalla valutazione del precedente: la ricorrente non lascia emergere nel giudizio di legittimità il “fatto notorio” ex art. 115 c.p.c., comma 2, come quello contestato nel precedente grado e non può, pertanto, a sostegno dello stesso dedurre criticamente in ordine alla mancata acquisizione in appello di documenti ed atti che quel fatto notorio avrebbero integrato.

Le evidenze integrative del “fatto notorio” non possono essere dedotte in appello e sempre in appello costituire oggetto di un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., realizzando la relativa deduzione una modifica del fatto, oggetto del giudizio, non consentita in secondo grado.

7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2935 c.c., del Preambolo e dell’art. 1 del Protocollo CEDU approvato con L. n. 848 del 1955, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La corte di merito non avrebbe tenuto conto dell’incertezza interpretativa relativa alla questione oggetto di causa finché non era intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione n. 24139 del 2004 e la successiva di rigetto della revocazione n. 17645 del 2006, incertezza che non avrebbe consentito alla ricorrente di azionare il diritto ex art. 2935 c.c., e, conseguentemente, alla prescrizione di decorrere.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, mancando la parte ex art. 366 n. 4 c.p.c. di dedurre di aver fatto valere puntualmente davanti al giudice del merito la violazione.

Il motivo è comunque infondato per quanto più sopra rilevato (sub n. 1).

La mera incertezza sull’esistenza del diritto vantato dal privato che è conseguenza della non univoca interpretazione delle norme che del primo costituiscano il fondamento – il tutto nella condotta, di fatto, di eventuale riconoscimento assunta dalla parte nei cui confronti il diritto sia fatto valere – non vale a postergare il dies a quo della prescrizione, individuando un nuovo termine ex art. 2935 c.c., a partire dal quale, venuta meno la situazione di incertezza, il diritto possa essere esercitato, con conseguente decorso, solo a partire da detta data, del termine di prescrizione.

L’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., si è già detto supra sub n. 1, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli ostacoli di mero fatto (come il ritardo indotto dalle necessità di accertamento del diritto) (cfr. prima parte massima ufficiale, in: Cass. 24/05/2021, n. 14193).

8. Il ricorso e’, in via conclusiva, infondato e come tale va rigettato.

Spese secondo soccombenza liquidate come in dispositivo indicato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto da Società Anonima Bari-Barletta S.r.l. che condanna a rifondere in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, e dell’Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante p.t., le spese di lite che liquida in Euro 10.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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