LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MELONI Marina – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2932/2021 proposto da:
U.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Assunta Fico;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1001/2020 della Corte d’appello di Catanzaro depositata il 3/7/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 1001/2020, depositata in data 3/7/2020, ha respinto l’impugnazione U.A., cittadino nigeriano, avverso ordinanza del Tribunale che aveva respinto la sua richiesta, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria. In particolare, i giudici d’appello, ritenuta preliminarmente non necessaria una nuova audizione del richiedente, hanno sostenuto che: il racconto del richiedente (essere scappato dal Paese d’origine, per sfuggire ad uno zio paterno che voleva impossessarsi dei terreni di famiglia e le cui maledizioni avevano cagionato la morte del padre e di tre fratelli del richiedente) non integrava i presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); in ordine alla protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo era infondato perché non sussisteva in Nigeria, nel sud del Paese di provenienza del richiedente, una situazione di violenza indiscriminata (sulla base siti di informazione consultati, tra i quali: EASO 2017, Amnesty International, Human Rigths Watch); neppure ricorrevano i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, fondata sul rischio di contagio dal virus Ebola, atteso che tale rischio risultava ormai scongiurato.
Avverso la suddetta pronuncia, U.A. propone ricorso per cassazione, notificato l’8/1/2021, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatti decisivi rappresentati dalle dichiarazioni rese dal richiedente sulle ragioni della fuga dal paese d’origine; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,5,6 e 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8-27, in relazione al diniego di protezione sussidiaria a fronte del dedotto pericolo di un danno grave per via dell’impossibilità di ricevere adeguata tutela da parte delle Autorità locali del paese di provenienza; infine, con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione alla mancata comparazione tra la situazione personale del richiedente, in Italia (non meglio descritta), rispetto alla vulnerabilità conseguente al rientro forzoso nel Paese d’origine, considerata la grave crisi sanitaria in Nigeria ed il rischio di persecuzioni.
2. La prima e la seconda censura sono inammissibili.
La doglianza è inammissibile, in relazione alla situazione del Paese d’origine, perché mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).
Quanto alla mancata audizione del richiedente, la doglianza è inammissibile, ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo deciso la sentenza impugnata in modo conforme ai principi di diritto espressi da questo giudice di legittimità.
Al riguardo, questa Corte ha di recente affermato (Cass. 5973/2019) che “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorché non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.
Questa Corte ancora da ultimo (Cass. 21584/20) ha chiarito che “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile “. Si è poi, ulteriormente, precisato (Cass. 25312/2020) che il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura.
Nella specie, la Corte di merito ha rilevato che non erano stati allegati fatti nuovi in ricorso, con conseguente non necessità di nuova audizione.
Quanto, poi, alla lamentata omessa valutazione delle dichiarazioni rese, la Corte d’appello ha valutato i fatti specifici allegati, ritenendo che le invocate persecuzioni avevano un rilievo meramente familiare o sociale.
Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati dunque esaminati.
L’allegata mancata cooperazione istruttoria in ordine alle carenze presenti nelle forze di polizia locali risulta del tutto astratta, in rapporto alla vicenda narrata dal richiedente, che neppure aveva riferito di concrete intimidazioni o minacce subite da parte dallo zio materno e dell’inutile richiesta di intervento alle Autorità locali.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
Vero è che il giudice del merito era chiamato a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019), la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998 ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018).
Il ricorrente censura il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, lamentando genericamente che la Corte d’appello non avrebbe vagliato la condizione di particolare vulnerabilità cui sarebbe esposto il richiedente, in caso di rientro nel Paese, con riferimento alle carenze sotto il profilo del sistema sanitario e della tutela dei diritti fondamentali in Nigeria.
Ora la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.
Le Sezioni Unite (Cass. 24413/2021) si sono nuovamente pronunciate sul tema della protezione umanitaria, alla stregua del testo del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anteriore alle modifiche recate dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, e del contenuto della valutazione comparativa affidata al giudice, tra la situazione che, in caso di rimpatrio, il richiedente lascerebbe in Italia e quella che il medesimo troverebbe nel Paese di origine, già condiviso dalle Sezioni Unite, con la precedente sentenza n. 29459/2019, affermando il seguente principio di diritto: “In base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del T.U. cit., art. 5, per riconoscere il permesso di soggiorno”.
Il ricorso risulta del tutto generico anche in relazione all’integrazione effettiva in Italia del richiedente.
5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022