Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.5946 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – rel. Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28606/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Dopla spa;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 46/30/13, depositata il 23 aprile 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 febbraio 2022 dal Consigliere Enrico Manzon. letta la requisitoria scritta D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, del PG Dott. Mucci Roberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Treviso n. 75/1/11 che aveva accolto il ricorso di Dopla spa contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2005.

La CTR osservava in particolare che l’archiviazione del processo penale nei confronti del legale rappresentante della società contribuente per i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’assenza di evasione fiscale ovvero di indebiti vantaggi fiscali, le prove documentali prodotte dalla società contribuente, con particolare riguardo ai trasporti effettuati dalla Corallo sas, pretesa società “cartiera”, inducevano alla piena conferma della sentenza appellata.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo quattro motivi.

La società contribuente è rimasta intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – l’agenzia fiscale ricorrente deduce la violazione dell’art. 324 c.p.c., e dell’art. 329 c.p.c., comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 54, comma 2, poiché la CTR, in assenza di gravame incidentale della contribuente appellata, ha disatteso l’affermazione contenuta nella sentenza appellata che le società terze implicate nella fattispecie oggetto del processo fossero effettivamente delle “cartiere”.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “In materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all’esito finale della lite, sicché è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale o anche di merito” (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 18503 del 02/09/2014, Rv. 632108 – 01).

Poiché la CTP trevigiana aveva integralmente accolto il ricorso introduttivo della lite la società contribuente non aveva dunque l’interesse ad impugnare, nemmeno in via incidentale, tale decisione, ma soltanto l’onere, imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, di riproporre le domande ed eccezioni ritenute assorbite dal giudice di prime cure ovvero le sue difese.

Ciò è stato puntualmente fatto dalla Dopla per quanto risulta dalla lettura delle sue controdeduzioni di appello, come integralmente riprodotte nel ricorso agenziale ed in questi termini va intesa la sua richiesta di conferma della sentenza appellata.

Ne è derivato un effetto devolutivo pieno del gravame agenziale e quindi l’inesistenza di alcun effetto preclusivo da giudicato “interno” rispetto alla decisione di appello.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697,2727,2729,2909, c.c., dell’art. 654 c.p.p., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 41-bis, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 26, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c) e artt. 19, 21 e 54, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, della Dir. CEE 77/388, art. 17, della Dir. CEE 112/2006, artt. 167 e 168, del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 1, 20, poiché la CTR ha rigettato il suo appello sulla base della considerazione dell’intervenuta archiviazione del processo penale correlato al presente e del mancato assolvimento dei suoi oneri probatori, così attribuendo alla decisione penale un’efficacia contra legem ed invertendo le regole, generali e circa gli oneri probatori rispettivamente dell’Ente impositore e del contribuente.

La censura è complessivamente fondata.

Vanno ribaditi i seguenti principi di diritto:

– “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio” (Cass., n. 28174 del 24/11/2017, Rv. 646971 – 01);

– “Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (Cass. n. 2938 del 13/02/2015);

– “Nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della societa, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio” (Sez. 5, Sentenza n. 19786 del 27/09/2011, Rv. 619306 01);

– “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. n. 9851 del 20/04/2018);

– “In tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3, della stessa disposizione, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.(Nella specie la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che ritenuto “certo” il costo per la mera rappresentazione dello stesso in fattura, senza alcuna valutazione sulla inerenza dello stesso all’attività di impresa)” (Cass., n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 649801 – 01);

– “L’esenzione dall’I.V.A. per le cessioni di beni destinati all’esportazione, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 1, lett. a), richiede la dimostrazione da parte del contribuente dell’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale della Comunità. Tale prova, peraltro, può essere fornita esclusivamente con la documentazione doganale, ossia con la vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura, oppure, in caso di dimostrata ed obiettiva impossibilità di produrre tale documentazione, con qualsiasi altro mezzo, purché abbia carattere di certezza ed incontrovertibilità – quali sono le attestazioni di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana – mentre documenti di origine privata, come la polizza di carico marittima (cosiddetto “Bill of lading”), non possono costituire prova idonea allo scopo” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 25455 del 02/12/2014, Rv. 633790 – 01);

– “In tema di cessioni all’esportazione, lo “status” di esportatore abituale, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c), da cui deriva il riconoscimento della sospensione di imposta nei limiti del “plafond” disponibile così maturato, è acquisito dall’impresa che esporta o effettua vendite intracomunitarie di beni e servizi per almeno il dieci per cento avuto riguardo alle operazioni poste in essere nell’anno precedente, la cui dimostrazione grava sulla predetta senza che la relativa prova possa definirsi negativa, essendo essa tenuta a indicare la tipologia delle operazioni compiute e a riscontrare l’effettività del trasferimento del bene all’estero” (Sez. 5 -, Ordinanza n. 5500 del 28/02/2020, Rv. 657367 – 02).

Dal complesso di tali arresti giurisprudenziali, emerge, nei termini denunciati, l’erroneità giudirica complessiva della sentenza impugnata, poiché il giudice tributario di appello ha basato essenzialmente- le proprie statuizioni sull’acritico recepimento dell’archiviazione del processo penale nei confronti del legale rappresentante della Dopla per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2-8, e su di una non corretta attribuzione alle parti degli oneri probatori correlativi ai punti decisionali devolutigli.

Di conseguenza, partendo da tali errores in judicando, la CTR veneta ha completamente eluso il proprio compito valutativo della materia della contesa, sia con riguardo all’IVA sia con riguardo alle II.DD., in particolare rispettivamente in ordine alla natura fittizia delle operazioni imponibili e di quelle non imponibili (esportazioni) ed alla deducibilità dei costi derivanti da fatture per operazioni inesistenti.

L’accoglimento del secondo motivo è assorbente del terzo e del quarto motivo, deducenti, alternativamente ed in via gradata, vizi della motivazione della sentenza impugnata.

In conclusione, accolto il secondo motivo del ricorso, rigettato il primo motivo, assorbiti il terzo ed il quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR del Veneto per nuovo esame, che dovrà tener conto dei citati principi di diritto, ed anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale el Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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