Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.5978 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. DI GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17594/2021 R.G. proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. LUCENTE ALFREDO, con domicilio eletto in ROMA, via Paraguay 5;

– ricorrente –

contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE EMILIA ROMAGNA;

– controricorrente –

nonché

FALLIMENTO ***** SRL;

– intimato –

nonché

MO.TO., E F.R.;

– intimati –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio n. 45659 pendente davanti alla Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per l’Emilia Romagna;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Orilia Lorenzo, nella camera di consiglio dell’8.2.2022;

lette le conclusioni scritte del Sostituito Procuratore Generale Dott.ssa De Renzis Luisa, che ha chiesto affermarsi la giurisdizione della Corte dei Conti.

RITENUTO IN FATTO

1 M.G. ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione contro la Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Emilia-Romagna in relazione al giudizio introdotto da detta Procura contabile con atto di citazione notificatogli, quale amministratore di fatto della ***** srl, il 25.2.2021.

Nell’atto di citazione – diretto anche contro la società ***** srl ed altri esponenti della società Mo.To. e F.R. – il pubblico ministero contabile ha esposto le seguenti circostanze di fatto, per quanto rileva:

a) da un articolo di stampa del luglio 2019 la Procura Contabile era venuta a conoscenza di una misura cautelare personale emessa dal GIP presso il Tribunale di Ravenna nei confronti del Dott. M.G. per una vicenda di peculato relativa ai proventi derivanti della vendita dei biglietti di accesso ai siti UNESCO di ***** da parte della ***** srl, concessionaria del servizio e di cui il M. era amministratore di fatto;

b) con nota 8.11.2019 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna informava la Procura Regionale della Corte dei conti di avere esercitato l’azione penale nei confronti del M. e di altri soggetti per concorso in peculato;

c) con concessione del 21.10.2011 n. 285 era stata formalizzata una Convenzione per l’affidamento in concessione dei servizi aggiuntivi di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 117 descritti nell’allegato 1 con riferimento al Museo Nazionale, alla Chiesa di Sant’Apollinare in classe e al Mausoleo di Teodorico, tutti in *****;

d) la società ***** assumeva la gestione dei servizi di biglietteria, servizi editoriali, cataloghi, supporti audiovisivi ed informatici;

e) la società, ai sensi dell’art. 9 della Convenzione, era tenuta a corrispondere all’Amministrazione concedente: a) un corrispettivo fisso annuale pari a Euro 36.100,00 da versare in due rate semestrali di pari importo entro 15 giorni dalla scadenza del semestre di riferimento; b) una quota percentuale degli incassi delle biglietterie pari al 73,10% degli stessi da versare mensilmente; c) una quota percentuale (royalties) corrispondente all’8,20% del fatturato al netto dell’IVA conseguito nello svolgimento dei servizi di bookshop;

f) il concessionario era soggetto a specifici obblighi di rendicontazione;

g) da una verifica contabile era emersa la non corretta compilazione del conto giudiziale e l’accumularsi del debito a decorrere dal 2013, pari ad oltre 400.000,00 Euro;

h) nel periodo tra il 2013 e il 2017 la differenza tra le somme che la società doveva versare e quelle versate ammontava in particolare a Euro 462.385,17;

i) la società ***** srl era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Roma il 28.1.2019;

Sulla base di tali premesse in fatto, il Pubblico Ministero contabile, dopo avere dato atto che era stata notificata contestazione con invito a dedurre e che citava in giudizio la società, il M. e altri soggetti (che qui non rilevano), domandava il riconoscimento del danno erariale e la relativa condanna al pagamento della somma di 462.385,17, oltre rivalutazione e interessi. Secondo il Pubblico Ministero contabile, tra la società e l’Amministrazione si era instaurato per effetto della Convenzione un autentico rapporto di servizio idoneo a fondare la giurisdizione del giudice contabile sull’azione di responsabilità per danno erariale, in quanto l’attività del privato concessionario era inserita nell’ambito della più ampia organizzazione statale del servizio pubblico relativo alla fruizione dei beni.

Nel giudizio contabile il M. si è costituito opponendosi alla domanda.

2 La Procura Regionale resiste al regolamento di giurisdizione con controricorso del 30.6.2021.

Le altre parti (Curatela del Fallimento *****, Mo.To. e F.R.) non hanno svolto difese in questa sede.

3 Dovendo la decisione seguire con il procedimento ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., sono state richieste al Pubblico Ministero presso questa Corte le conclusioni (riportate in epigrafe) ed all’esito è stata fissata l’adunanza nell’odierna camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza, il ricorrente ha depositato una memoria difensiva.

4 Il ricorso per regolamento preventivo si articola in un’ampia esposizione preliminare delle vicende che hanno caratterizzato lo svolgimento del rapporto concessorio da cui origina la vicenda.

Riferisce in particolare il ricorrente i seguenti fatti (per quanto ancora interessa):

– regolare gestione dei siti dal 2002 al 2011;

– proroga dell’originaria concessione;

– certificazioni di regolarità della gestione;

– risoluzione del rapporto concessorio.

Denunzia poi:

– la presunzione, nel giudizio contabile, del debito per mancato pagamento dei canoni concessori senza neppure la produzione della Concessione;

– l’avvenuto “sezionamento chirurgico” dell’originario rapporto concessorio da parte della Procura Regionale, con devoluzione alla giurisdizione ordinaria della parte di concessione relativa al canone fisso annuale e carenza di giurisdizione della Corte dei Conti in relazione al pagamento dei canoni concessori;

– l’appropriazione, da parte della Procura regionale, dei punti b) e c) dell’art. 9 della Convenzione, “espropriando”, in tal modo, il diritto dell’Amministrazione di procedere all’attivazione degli ordinari rimedi contrattuali e “conquistando” lo spazio riservato in via esclusiva alle due giurisdizioni che l’ordinamento considera quale giudice naturale per le controversie relative alla fase di attuazione dei contratti pubblici, cioè la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa.

Si sofferma quindi sulla figura del rapporto concessorio con particolare riferimento alla concessione di servizi per la gestione di musei e siti archeologici.

Segnala che il Consiglio di Stato è intervenuto nella controversia con la sentenza n. 4183/2017 e richiama l’ordinanza di queste SSUU n. 12252 del 27.5.2009 con cui è stata affermata la giurisdizione del Giudice Amministrativo nella materia de qua.

Richiama ancora il principio del ne bis in idem e dichiara di essere stato assolto in un precedente processo penale dal Tribunale di Civitavecchia con la formula “perché il fatto non sussiste” e nega rilievo alla ordinanza n. 4314/2020 delle SSUU richiamata dalla Procura, in quanto relativa solo al passaggio in giudicato della sentenza intervenuta sul medesimo rapporto.

Analizza la concessione e si sofferma sulla vicenda penale.

Avanza poi istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE sulla base di tre quesiti.

Conclude per la sottoposizione alla Corte di Giustizia dei quesiti formulati e in ogni caso per il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti essendo la controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Rileva preliminarmente il Collegio che la notifica del decreto di fissazione dell’adunanza camerale unitamente alle conclusioni del pubblico ministero è finalizzata a consentire agli avvocati delle parti il deposito di memorie (cfr. 380 ter c.p.c.) e, nel caso di specie, tale facoltà è stata esercitata: il pieno raggiungimento dello scopo dell’atto rende pertanto superflua ogni considerazione sul rilievo preliminare posto dal ricorrente nella memoria (v. pagg. 1 e 2) in ordine al contenuto del decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

2 Ciò chiarito, si impongono alcune ulteriori considerazioni per esigenze di chiarezza espositiva.

2.1 Innanzitutto, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4183/2017 (richiamata a pag. 8 del ricorso) ha ad oggetto la controversia sulla decadenza dalla concessione e quindi è del tutto coerente la devoluzione della stessa al giudice amministrativo.

2.2 In secondo luogo, non è esatta l’affermazione (contenuta a pag. 10 del ricorso) secondo cui l’ordinanza di queste sezioni unite n. 4314/2020 “non enuncia alcun principio con valenza generale applicabile al caso in questione, bensì si basa sull’essenziale presupposto formale dell’avvenuto passaggio in giudicato di sentenza intervenuta sul medesimo rapporto e su tale fatto processuale basa le sue statuizioni”.

Ed infatti, da una lettura completa (e non frammentaria) della citata ordinanza – che ha deciso sul regolamento preventivo di giurisdizione proposto dalla ***** srl in vicenda analoga e relativa ad una azione di danno erariale promossa in relazione al mancato versamento degli importi dei biglietti di accesso ai siti culturali della Regione Siciliana – la questione della giurisdizione contabile sulla attività della concessionaria ***** srl è stata oggetto di approfondita disamina.

Come infatti si legge a pagg. 33 e ss dell’ordinanza citata, “la stessa ricorrente, là dove ha evocato Cass. Sez. Un., n. 12252 del 2009, non pone in dubbio che in relazione alla gestione dei beni e dei siti culturali, il c.d. servizio di biglietteria abbia ad oggetto la riscossione del prezzo che l’Amministrazione prevede debba essere pagato dal pubblico per la fruizione del bene o sito culturale. La somma di danaro oggetto di tale prezzo è certamente da qualificare di natura pubblica, cioè come danaro di pubblica spettanza, in quanto versata dal singolo per tale fruizione di un bene pubblico. Il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 110, comma 3, del resto, “fotografa” tale connotazione prevedendo vincoli di destinazione delle somme, il che, se ve ne fosse bisogno, rafforza quella qualificazione.

La prospettazione espressa dalla ricorrente nella parte finale del ricorso, in definitiva, sembrerebbe adombrare che questa spettanza e, dunque, la natura pubblica del danaro riscosso per il costo del biglietto, potrebbe subire l’incidenza di una scelta dell’Amministrazione su come affidare il servizio di biglietteria, nel senso che il danaro riscosso per la gestione del servizio di biglietteria cesserebbe di essere danaro di natura pubblica e, dunque, rilevante in termini di responsabilità erariale, in dipendenza della modalità con la quale l’Amministrazione conferisca detta gestione. E questa è stata anche la prospettiva che è stata assunta dal giudice penale – sebbene ai fini della responsabilità penale – nella vicenda conclusasi con la sentenza cui la ricorrente ha fatto riferimento. La cessazione della qualità pubblica del danaro riscosso per il costo dei biglietti si verificherebbe qualora l’Amministrazione affidi la gestione al privato in forma integrata, cioè congiuntamente alla gestione dei c.d. servizi aggiuntivi, per i quali il privato è titolare di una concessione di pubblici servizi (secondo la qualificazione della citata ordinanza del 2009). Viceversa, ove l’Amministrazione non proceda all’affidamento integrato, ma provveda ad affidare la gestione delle due tipologie di servizi separatamente e segnatamente affidi quella del servizio di biglietteria sulla base di un rapporto diretto a regolare soltanto tale gestione (eventualmente, dovrebbe ritenersi, anche allo stesso soggetto affidatario dei servizi aggiuntivi sulla base di un distinto rapporto), i proventi della riscossione dei biglietti resterebbero danaro pubblico. Questa prospettazione assegna ad un potere di scelta dell’Amministrazione circa la modalità dell’affidamento del servizio, potere certamente consentito dalla disciplina del D.Lgs. n. 42 del 2004, e, quindi, ad un potere di scelta in ordine alla modalità per assicurare sostanzialmente comunque e sempre una entrata per la fruizione del bene culturale pubblico, un valore che contraddice la stessa logica propria della qualificazione pubblicistica del prezzo per la fruizione del bene. Non è dato comprendere – una volta considerato che il prezzo del biglietto concerne il costo che, in base alla legge, dai singoli l’Amministrazione può pretendere per la fruizione del bene pubblico o (come nella specie) sito culturale, e dunque una utilitas derivante dalla natura del bene stesso e per tale ragione a sua volta di natura pubblica – come l’Amministrazione possa, con la scelta del modo dell’affidamento della gestione, escludere in concreto quella natura.

Tanto potrebbe avvenire solo se la stessa legge attribuisse alla modalità di gestione questo effetto. La ricorrente non evidenzia alcun riferimento normativo idoneo a giustificare una simile evenienza, ma nella sua prospettazione assume che sarebbe la scelta della gestione c.d. in forma integrata con i servizi aggiuntivi e, dunque, l’attrazione del servizio di biglietteria al regime concessorio proprio dei c.d. servizi aggiuntivi, come accaduto nella specie, a comportare la perdita della natura pubblica del danaro riscosso, in quanto l’obbligo del concessionario di riversare all’Amministrazione le somme riscosse per i biglietti, detratta la parte spettante per l’attività di gestione del servizio, assumerebbe la natura di obbligazione verso l’Amministrazione che, per il carattere integrato con le obbligazioni inerenti la gestione dei servizi aggiuntivi, si stempererebbe in una obbligazione di pagamento di somme che non sarebbero più pubbliche per il fatto che detta obbligazione si correlerebbe alle altre presenti nell’ambito del rapporto concessorio. Tale assunto lascerebbe l’Amministrazione arbitra della sorte della qualificazione ai fini della responsabilità erariale della gestione del costo della fruizione del bene pubblico con il pagamento del biglietto. Al di là di tale evidente incongruenza, la prospettazione della ricorrente non risulta in alcun modo condivisibile: alla collocazione dell’obbligazione di riversare le somme riscosse per il servizio di biglietteria (detratto il costo per l’assicurazione del servizio) nell’ambito del rapporto concessorio, non può attribuirsi rilievo ai fini della configurabilità della responsabilità erariale quasi che la collocazione di un’obbligazione in esso fosse decisiva nel senso di impedirne la configurabilità come obbligazione rilevante ai fini della possibilità di configurare una responsabilità erariale, nel presupposto che il concessionario non possa rivestire la qualifica di agente contabile. E, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: “In tema di azione di responsabilità per danno erariale, sussiste il rapporto di servizio, costituente il presupposto per l’attribuzione della controversia alla giurisdizione alla Corte dei conti, allorché un ente privato esterno all’Amministrazione venga incaricato di svolgere, nell’interesse e con le risorse di quest’ultima, un’attività o un servizio pubblico in sua vece, inserendosi in tal modo nell’apparato organizzativo della P.A, mentre è irrilevante il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi secondo gli schemi generali previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto o in parte.” (da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 21871 del 2019). Principio che riprende quello (enunciato a proposito della vecchia disciplina del giudizio contabile), secondo cui: “Elementi essenziali e sufficienti perché un soggetto rivesta la qualifica di agente contabile, ai fini della sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità contabile (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 74 ed R.D. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 178 e 610), sono soltanto il carattere pubblico dell’ente per il quale tale soggetto agisca e del denaro o del bene oggetto della sua gestione, mentre resta irrilevante, oltre che l’eventuale assenza, da parte di quel soggetto, di contestazione della responsabilità stessa, il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi indifferentemente secondo gli schemi generali, previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto od in parte.” (Cass., Sez. Un., (ord.) n. 13330 del 2010). La prospettazione della ricorrente, ancora ribadita nella memoria, in ordine al fatto che non sarebbe concepibile che nell’àmbito di una concessione e nella specie della concessione di servizi di cui trattasi il concessionario possa rivestire talvolta sì e talaltra no la qualifica di agente contabile non considera che l’esistenza o meno di tale qualifica si correla al tipo di obblighi assunti dal concessionario ed al loro oggetto. E non considera che anche somme che il concessionario deve corrispondere alla p.a. proprio in forza del conferimento della concessione ben possono rivestire natura di danaro pubblico. Al contrario di quanto assume la memoria anche il recente precedente di cui a Cass. Sez. Un., (ord.) n. 486 del 2019 non giova affatto alla sua prospettazione perché esso non mette in discussione la giurisdizione contabile ed anzi la afferma quando ricorre la condizione della violazione di obblighi afferenti all’attività ed alle funzioni svolte come “agente dell’amministrazione pubblica”. Del tutto inidonee ad assumere rilevanza ai fini della configurabilità dell’esistenza del rapporto contabile rilevante per la configurabilità della giurisdizione contabile risulta sia l’evocazione della norma dell’art. 117, comma 5 citato D.Lgs., là dove dispone che i canoni di concessione dei servizi sono incassati e ripartiti ai sensi dell’art. 110 D.Lgs., e quella di tale norma, là dove accomuna, sebbene per la gestione diretta di cui all’art. 115, comma 2 appunto i canoni di concessione e i proventi della riscossione dei biglietti ai fini della spettanza agli enti cui i beni appartengono. Tale ultima norma disciplina la ripartizione delle somme riscosse per il servizio di biglietteria nella gestione diretta, che può avvenire tramite strutture interne all’ente proprietario del bene culturale o in forma consortile (come dice il secondo inciso dell’art. 115, comma 2 D.Lgs.). Nel caso della gestione indiretta il riferimento alla ripartizione dei canoni di concessione, di cui all’art. 117, comma 5 e la previsione che la ripartizione debba avvenire ai sensi dell’art. 110 assume lo stesso significato, che riguarda l’assetto interno delle pubbliche amministrazioni eventualmente e non si comprende come possa essere considerata determinativa di conseguenze sulla natura delle somme riscosse per la biglietteria. Assolutamente priva di rilievo risulta, poi, la mancanza di previsione nell’accordo concessorio di un obbligo di rendiconto, atteso che tale obbligo si correla oggettivamente alla natura delle somme siccome derivante dalla legge, che è stata evocata dal ricordato giudicato penale. E così pure quella che da esso è stata definita come “sistema di rendicontazione atipica”. Elementi questi rilevanti ai fini della responsabilità penale, ma non certo rilevanti ai fini della responsabilità contabile, atteso che derivano dal modus operandi della stessa Amministrazione, i cui agenti, se tale modus fosse esiziale per l’erario, a loro volta potrebbero essere attinti da detta responsabilità.

La c.d. gestione integrata dei servizi di biglietteria non toglie, dunque, che le somme riscosse abbiano natura di danaro pubblico. Ne’ ai fini della configurazione della giurisdizione contabile assume rilievo la circostanza che nell’ambito del rapporto concessorio dei servizi aggiuntivi in quanto attraente, secondo la logica indicata da Cass., sez. Un., n. 12252 del 2009, anche il servizio di biglietteria appunto integrato, si configuri la giurisdizione amministrativa esclusiva: tale giurisdizione concerne le liti che riguardo alla gestione del rapporto insorgano fra il concessionario e la p.a. La posizione che in tali liti tutela la p.a. non è sovrapponibile a quella che trova tutela davanti alla giurisdizione contabile. Anche recentemente si è detto, infatti, che: “L’azione di responsabilità per danno erariale e quella di responsabilità civile promossa dalle singole amministrazioni interessate davanti al giudice ordinario restano reciprocamente indipendenti, anche quando investano i medesimi fatti materiali, essendo la prima volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria, e la seconda, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della amministrazione attrice; ne deriva che le eventuali interferenze tra i due giudizi integrano una questione non di giurisdizione ma di proponibilità dell’azione di responsabilità innanzi al giudice contabile, sempre che non sia contestata dinanzi a quest’ultimo la configurabilità stessa, in astratto, di un danno erariale, in relazione ai presupposti normativamente previsti per il sorgere della responsabilità amministrativa contestata dal P.G. contabile, nel qual caso si configura una questione di giurisdizione risolvibile dalle Sezioni Unite, essendo posta in discussione la “potestas iudicandi” del giudice contabile, la cui definizione è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario, non essendo la Corte dei conti “il giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela da danni pubblici” (Corte Cost., nn. 355/2010, 46/2008, 641/1987).” (Cass., Sez. Un., n. 4883 del 2019).

Nella specie, per quanto si è detto, l’esistenza del rapporto contabile si dovrebbe senz’altro ritenere, non senza che debba rilevarsi che nemmeno si è allegata l’esistenza di un giudizio civile o (in ragione eventualmente della estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) nel quale sia stata fatta valere una responsabilità da parte della p.a. contro la *****…… Dev’essere, conclusivamente, dichiarata la sussistenza della giurisdizione contabile”.

3 Sgombrato quindi definitivamente il campo da ogni dubbio sul contenuto dell’ordinanza richiamata dalla Procura Regionale, la n. 4314/2020 – che, come si è visto, ha trattato le stesse questioni oggi poste dal ricorrente, prendendo posizione anche sul precedente giudicato penale richiamato dalla società, e discostandosene quanto alla natura del rapporto – il Collegio non può che ribadire, sulla scorta del proprio consolidato orientamento che elementi essenziali e sufficienti perché un soggetto rivesta la qualifica di agente contabile, ai fini della sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità contabile (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 74 e R.D. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 178 e 610), sono soltanto il carattere pubblico dell’ente per il quale tale soggetto agisca e del denaro o del bene oggetto della sua gestione, mentre resta irrilevante, oltre che l’eventuale assenza, da parte di quel soggetto, di contestazione della responsabilità stessa, il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto o perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi indifferentemente secondo gli schemi generali, previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto od in parte (Ord. n. 4314/2020 sopra richiamata per esteso; Cass., sez. un., 1/05/2010, n. 13330; Cass., sez. un. 21/06/2010, n. 14891; v. anche Cass., sez. un., 10/04/1999, n. 232; Cass., sez. un., 28/03/1974, n. 846; v. anche recentemente Cass., sez. un., 29/05/2019, n. 14697, secondo cui il concessionario per l’attivazione e la conduzione operativa della rete telematica pubblica, destinata alla gestione del gioco lecito mediante gli apparecchi di cui al R.D. n. 773 del 1931, art. 110, comma 6, riveste la qualifica di agente contabile e, come tale, è tenuto a presentare il conto giudiziale, dovendo assicurare la corretta contabilizzazione del flusso di denaro proveniente dalle giocate, trattandosi di somme di diretta appartenenza pubblica; nonché Cass., sez. un., 30/08/2019 n. 21871 richiamata anche dalla citata ordinanza n. 4314/2020).

Nel caso all’esame, come pure evidenziato dal P.G. nelle sue conclusioni scritte, la società ricorrente è concessionaria di un servizio pubblico che comporta il maneggio di denaro pubblico e, indipendentemente da esplicite previsioni contrattuali, deve ritenersi tenuta alla rendicontazione.

Le argomentazioni del ricorrente sviluppate in ricorso ed approfondite in memoria, pur denotando un apprezzabile sforzo interpretativo, non sono idonee a scalfire l’orientamento consolidato delle sezioni unite.

4 Resta a questo punto da valutare la richiesta ai sensi dell’art. 267 TFUE di rimessione alla Corte di Giustizia, articolata su tre quesiti:

1 “Se gli artt. 43 CE e 49 CE (ora artt. 49 TFE e art. 56 TFUE) debbano essere interpretati nel senso che ostano all’applicazione di una normativa nazionale che impone a un concessionario di servizi aggiuntivi museali lo statuto giuridico di agente contabile ed un rapporto di servizio con l’ente concedente, i quali implicano per il medesimo concessionario una serie di oneri e obblighi contabili e amministrativi supplementari, nonché i rischi a questi connessi in materia di responsabilità contabile e amministrativa”;

2 “Se i principi di trasparenza e di certezza del diritto debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che impone obbligatoriamente a un concessionario di servizi aggiuntivi museali un rapporto e uno statuto particolari per l’esecuzione del contratto, i quali implicano una serie di oneri, obblighi e responsabilità supplementari, di cui non è dato rinvenire alcuna menzione né nel bando di gara, né nel capitolato d’oneri, né nell’atto di concessione stipulato tra le parti”;

3 “Se il diritto dell’Unione Europea, in particolare il diritto a un’effettiva tutela giurisdizionale e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, ostano – nel contesto di una concessione integrata di servizi aggiuntivi museali che include, oltre ai servizi aggiuntivi propriamente detti, anche un servizio accessorio di biglietteria – a una regola nazionale che riserva a un giudice la competenza a statuire su una domanda di risarcimento a favore dell’amministrazione concedente relativa alla gestione del solo servizio accessorio di biglietteria, sebbene un altro organo, le cui sentenze sono suscettibili di costituire titolo esecutivo, sia stato già investito di una controversia che verte sulla concessione unitariamente considerata e che riguarda, tra l’altro, una domanda di risarcimento a favore dell’amministrazione coincidente con quella nuovamente dedotta davanti al detto giudice, con il concreto rischio che il concessionario sia condannato, a esito del secondo procedimento, a risarcire due volte il medesimo danno e senza che gli sia consentito far valere la statuizione di condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni da lui subiti nel frattempo pronunciata dall’altro organo”.

La richiesta non può essere accolta.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia (cfr. da ultima, Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Grande Sezione – Sentenza 6 ottobre 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management) “un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno, può essere esonerato da tale obbligo solo quando abbia constatato che la questione sollevata non è rilevante, o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, oppure che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punto 21; del 15 settembre 2005, Intermodal Transports, C-495/03, EU:C:2005:552, punto 33, nonché del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (Anticipo d’imposta), C-416/17, EU:C:2018:811, punto 110)”.

E ancora (cfr. sentenza Corte di Giustizia 6.10.2021 cit.) “dal rapporto fra il comma 2 e il comma 3 dell’art. 267 TFUE discende che i giudici di cui al comma 3 dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell’Unione onde consentire loro di decidere. Tali giudici non sono pertanto tenuti a sottoporre una questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad essi se questa non è rilevante, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della controversia (sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punto 10; del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi, C-136/12, EU:C:2013:489, punto 26, nonché del 15 marzo 2017 Aquino, – C 3/16, EU:C:2017:209, punto 43)”.

Sempre con la citata sentenza 6.10.2021 la Corte di Giustizia ha ribadito che “il giudice nazionale è l’unico competente a conoscere e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale nonché ad interpretare e ad applicare il diritto nazionale. Spetta parimenti al solo giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, tanto la necessità quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (sentenze del 26 maggio 2011, Stichting Natuur en Milieu e a., da C-165/09 a C-167/09, EU:C:2011:348, punto 47 nonché giurisprudenza ivi citata; del 9 settembre 2015, X e van Dijk, C-72/14 e C-197/14, EU:C:2015:564, punto 57, nonché del 12 maggio 2021, Altenrhein Luftfahrt, C-70/20, EU:C:2021:379, punto 25)”.

Sul versante della giurisprudenza di legittimità, questa Corte ha affermato ripetutamente che non sussiste alcun diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE ogni qualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano espresse, ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (cfr. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19880 del 13/07/2021 Rv. 661726 Sez. L -, Sentenza n. 14828 del 07/06/2018 Rv. 648997; Sez. U, Ordinanza n. 20701 del 10/09/2013 Rv. 627458).

E ancora, si è affermato che non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ove la parte si limiti a censurare direttamente l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle conseguenze “di fatto” derivanti dall’interpretazione del diritto interno senza sollecitare un’interpretazione generale ed astratta di una normativa interna (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6862 del 24/03/2014 Rv. 630701).

Nel caso in esame:

– quanto al contrasto col principio di stabilimento, il diritto dell’Unione Europea ed in particolare i principi, direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri, elaborati dalla Corte di giustizia proprio in relazione alla libertà di stabilimento (art. 49 T.F.U.E.) non escludono una regolamentazione restrittiva ove fondata su principi di proporzionalità, su ragioni imperative d’interesse generale o di ordine pubblico (cfr. Sez. U, Sentenza n. 14697 del 2019, con riferimento a norme penali restrittive dell’attività di gioco lecito, ma il principio è di carattere generale e quindi può estendersi anche alle norme interne sulla repressione del danno erariale, essendo anch’esse improntate ad un principio di proporzionalità: infatti, si tratta anche in tal caso di finalità espresse della previsione del sistema, fondato sul rapporto concessorio, di esercizio di un’attività di cui l’autorità statuale vuole conservare la diretta titolarità e il controllo del maneggio del danaro riscosso, in virtù delle regole generali riguardanti il denaro pubblico e l’obbligo di rendiconto;

-quanto agli altri parametri, questa Corte ha da tempo ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti addirittura per le azioni di responsabilità amministrativa dirette a perseguire il danno arrecato all’erario Europeo; ha ribadito il principio generale della assoluta autonomia del giudizio amministrativo contabile e quindi dell’azione di responsabilità esercitata dal Procuratore presso la Corte dei Conti rispetto ai rapporti civili, amministrativi e disciplinari che possono intercorrere tra i soggetti passivi dell’azione contabile ed i soggetti danneggiati; ed ha desunto tale autonomia, tra l’altro, dalla nota sentenza 104/1989 (ribadita dalla pronuncia 1/2007) della Corte Costituzionale, la quale ha specificato che il Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi; ancora, ha ritenuto l’intervento della Corte dei Conti pienamente conforme al diritto comunitario (cfr. Sez. U, Ordinanza n. 20701 del 2013 ripresa poi da Sez. U, Ordinanza n. 26935 del 02/12/2013);

– infine – ed il rilievo tronca ogni ulteriore discussione sull’argomento – il ricorso non precisa neppure quale sia la norma interna che contrasterebbe con i principi del TFUE e tende in definitiva a censurare direttamente l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle conseguenze “di fatto” derivanti al ricorrente dall’interpretazione del diritto interno.

L’istanza va pertanto disattesa e va dichiarata la giurisdizione del giudice contabile.

La regolamentazione delle spese è rimessa al predetto giudice.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione della Corte dei Conti, dinanzi alla quale rimette le parti anche per il regime delle spese.

Così deciso in Roma, innanzi alle Sezioni Unite, il 8 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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