LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Primo Presidente f.f. –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di sez. –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31599-2020 proposto da:
M.S., elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO BARCA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA FLORITA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del rispettivo Ministro pro tempore, domiciliatosi in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2315/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 07/04/2020;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere Dott. ANGELINA-MARIA PERRINO.
RILEVATO
che:
– nella controversia promossa da M.S., dirigente generale della Polizia di Stato, per l’impugnazione del provvedimento del Capo della Polizia-direttore generale della pubblica sicurezza con cui il ricorrente era stato promosso, il giorno antecedente alla propria andata in quiescenza, alla qualifica di dirigente generale di P.S., con la sola attribuzione degli effetti giuridici, ma non di quelli economici, il Consiglio di Stato, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’interno e da quello dell’economia e delle finanze, ha riformato la sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio aveva accolto il ricorso, accertando l’obbligo dell’Amministrazione di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione;
– il Consiglio di Stato, richiamata la normativa di riferimento (D.L. n. 78 del 2010, art. 9, comma 21) e la sentenza della Corte Costituzionale n. 200 del 2018, ha rilevato che, in materia, si era ormai consolidata la giurisprudenza amministrativa, statuendo i seguenti principi, dai quali non riteneva di discostarsi:
a.- il carattere di generalità, eccezionalità e temporaneità del blocco stipendiale, determinato da esigenze di contenimento della spesa, comporta un trattamento unitario nel periodo di blocco;
b.- il fluire del tempo differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile debba tener conto di quella spettante secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati prima e dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento;
– contro la sentenza M.S. ha proposto ricorso affidato a un unico motivo, cui i Ministeri dell’interno e dell’economia e finanze hanno risposto con controricorso;
– il ricorso è stato avviato alla trattazione, ex art. 380 bis.1 c.p.c., in camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
– con l’unico motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza del Consiglio di Stato ex art. 111 Cost., comma 8, per violazione dell’art. 362 c.p.c., comma 1, in relazione alla mancata osservanza dei limiti esterni della sua giurisdizione;
– secondo la prospettazione difensiva, il Consiglio di Stato, nel considerare applicabile al ricorrente “il blocco” dei meccanismi di adeguamento retributivo della progressione automatica per classi e scatti stipendiali, avrebbe illegittimamente esteso il richiesto riconoscimento dell’effetto economico, afferente al trattamento di fine servizio, al riconoscimento in materia previdenziale del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, travalicando i limiti esterni della propria giurisdizione ed esercitando la stessa nella materia pensionistica, riservata ex lege alla giurisdizione speciale della Corte dei conti;
– in relazione a fattispecie identiche queste sezioni unite (con ordd. nn. 21972 e 21987/21) hanno dichiarato l’inammissibilità dei relativi ricorsi, in base a considerazioni che integralmente si condividono;
– difatti, in quei casi, come in questo, il ricorrente, pur avendo enunciato, ma solo in rubrica, la mancata osservanza da parte del Consiglio di Stato dei limiti esterni della sua giurisdizione, tale violazione non esplicita se non per denunciare che il Consiglio di Stato avrebbe deciso in una materia, quella pensionistica, devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti;
– e’, allora, evidente l’inammissibilità del ricorso, alla luce dei principi reiteratamente affermati da queste sezioni unite, secondo cui allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rivelare d’ufficio il difetto di giurisdizione, in quanto tale questione è ormai coperta dal giudicato implicito (tra varie, Cass., sez. un., n. 10359/2021; nn. 25208 e 5587 del 2020);
– rimane altresì precluso all’attore, rimasto soccombente nel merito, contestare la giurisdizione di quel giudice che egli stesso ha adito (Cass., sez. un., n. 25367/20; n. 21260 /16);
– questi principi valgono anche quando è il ricorrente ad avere adito adito lui stesso il giudice amministrativo in primo grado, risultando vittorioso;
– la questione oggi all’esame attiene, infatti, esclusivamente alla devoluzione della domanda proposta (impugnazione del provvedimento amministrativo, nella parte in cui aveva limitato la promozione ai soli effetti giuridici, siccome ritenuto illegittimo) alla giurisdizione dello stesso giudice adito dal ricorrente (con prospettazione condivisa dal T.A.R.) e sulla quale, pertanto, si era formato il giudicato implicito, con la conseguenza che la stessa non poteva essere posta in discussione dinnanzi al Consiglio di Stato e neppure in questa sede;
– d’altronde, il ricorso neppure prospetta ulteriori violazioni dei limiti esterni della giurisdizione, nella nozione posta dall’art. 111 Cost., comma 8, quale esplicitata dalla Corte Costituzionale ed accolta dalla giurisprudenza delle sezioni unite (tra le altre Cass., sez. un., nn. 13488 e 2605 del 2021; n. 28385, n. 26387 e n. 23751 del 2020), consistendo e risolvendosi, come già detto, nella contestazione della giurisdizione del giudice amministrativo che era tuttavia divenuta incontestabile per effetto della scelta dello stesso attore;
– il ricorso e’, quindi, inammissibile e le spese seguono la soccombenza;
– poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a pagare le spese di giudizio, che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022