LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
U.S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco Lanzilao, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al Viale Angelico n. 38;
– ricorrente –
nei confronti di:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto, n. cron. 1823/2020, del TRIBUNALE DI CALTANISSETTA, depositato il 16/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del giorno 25/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35-bis, U.S., nativo del Bangladesh, ha adito il Tribunale di Caltanissetta impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
1.1. Nel richiedere il riconoscimento delle invocate protezioni, il ricorrente ha esposto: i) di essere fuggito dal Bangladesh per timore di essere ucciso a causa della lotta politica tra BNP e Awami League; ii) che, nel corso di uno sciopero di protesta, alcuni manifestanti avevano fatto irruzione nel negozio di frutta da lui gestito insieme al fratello, uccidendo quest’ultimo; iii) che si era salvato poiché non presente in quel momento, ma aveva, a sua volta, subito un’aggressione nel corso delle stessa manifestazione riuscendo a mettersi in salvo con l’aiuto di alcuni vicini; iv) che aveva lasciato il suo Paese nell’aprile 2017 ed era giunto in Italia nel novembre 2019.
1.2. Nel corso della sua audizione, ha integrato le dichiarazioni rappresentando le cause dell’aggressione e della morte del fratello; la perdita del negozio; la morte della madre a causa del Covid-19 e l’apporto al mantenimento della sua famiglia da parte delle sue sorelle rimaste in Bangladesh.
2. Il tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di qualsivoglia forma di protezione.
2.1. In particolare, quel giudice: i) ha ritenuto il racconto del ricorrente non credibile, evidenziandone gli elementi contraddittori (in particolare, l’aver il ricorrente riferito tre diverse versioni relativamente alle cause di morte del fratello) e poco plausibili (tra cui la circostanza che il ricorrente sarebbe fuggito dopo due anni dalla morte di quest’ultimo, nonostante il trasferimento suo e della sua famiglia a Dacca solo perché alcuni amici lo avevano consigliato in tal senso); ii) ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale maggiore, nonché dei requisiti per quella ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base delle COI consultate e menzionate; iii) ha negato, infine, la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, o per il riconoscimento del cd. diritto di asilo o protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1 e 1.1., in considerazione della mancata allegazione relativa all’integrazione in Italia e dell’omessa indicazione di circostanze di particolare vulnerabilità soggettiva, ritenendo insufficiente, in tal senso, l’eccepita emergenza epidemiologica esistente in Bangladesh.
3. Avverso il predetto decreto U.S. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Sulla credibilità”. Si ascrive al tribunale di avere omesso di valutare compiutamente il vissuto del ricorrente, sia ai fini della valutazione della protezione sussidiaria sia di quella umanitaria, sulla base dell’erroneo presupposto della sua inattendibilità. Viene censurata la valutazione di non credibilità perché effettuata in spregio alle norme dettate in materia. Ciò che doveva essere oggetto di accertamento, da parte del giudice del merito, era, da una parte, l’appartenenza politica del fratello, che era membro del partito che si opponeva a BNP, e, dall’altra, la possibilità che a causa di tale situazione potesse effettivamente discendere un danno ingiusto;
Il) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni documentate portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente. Omessa cooperazione istruttoria. Omessa valutazione delle prove”. Si assume che il tribunale non ha valutato la documentazione depositata in sede di audizione innanzi alla Commissione Territoriale, in particolare quella attestante la distruzione del negozio dell’odierno ricorrente per mano di ignoti. Erroneamente la medesima Commissione ha ritenuto che, in considerazione delle diffuse pratiche di contraffazione la documentazione prodotta, essa non poteva considerarsi autentica. Ne’ il Ministero, non costituito, aveva contestato tale documentazione, peraltro nemmeno sottoposta a verifica della sua autenticità. Una valida affermazione di inattendibilità, dunque, non poteva ritenersi integrata sulla base delle considerazioni generiche della corruzione o del ricorso alla contraffazione nel Paese di origine del richiedente asilo;
III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Difetto di motivazione e travisamento dei fatti”. Si lamenta la mancata cooperazione istruttoria nella valutazione della protezione umanitaria, in quanto il tribunale ha escluso la ricorrenza dei presupposti con una motivazione insufficiente, senza effettuare il doveroso bilanciamento tra la situazione del ricorrente nel Paese di origine e quella in Italia. Si evidenzia l’assoluta assenza di istruttoria relativa alla situazione socio-economica del Paese di origine;
IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. il Tribunale ha omesso ed errato a non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Omesso esame delle fonti relativamente alle condizioni socio/ economiche del Paese. Omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza”. Si contesta nuovamente il mancato riconoscimento della protezione umanitaria e l’omessa valutazione comparativa delle condizioni soggettive ed oggettive del ricorrente come risultato dell’assenza di istruttoria in merito agli elementi necessari.
2. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.
2.1. Invero, il tribunale nisseno: i) ha negato attendibilità al racconto del richiedente protezione, quanto alle ragioni che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, così conseguentemente disattendendo la richiesta di riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a) e b); ii) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili ed aggiornate fonti di informazioni, delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che nel Paese (Bangladesh) di provenienza del ricorrente sia attualmente riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 4 e ss., del decreto impugnato); iii) quanto alla invocata protezione umanitaria, ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione, nonché dell’avvenuta, effettiva sua integrazione in Italia.
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:
i) il tribunale predetto ha esaurientemente esposto le ragioni del proprio convincimento circa la non credibilità di parte del racconto dell’odierno ricorrente (cfr. amplius, pag. 3 e ss. del decreto impugnato);
ii) la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (r., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014;
iii) quanto al diniego della protezione sussidiaria, giova ricordare pure che la valutazione di inattendibilità del racconto del dichiarante osta al riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche di quest’ultima quanto alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, debitamente aggiornate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, nel Bangladesh, non si segnala attualmente una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Va solo rimarcato che, come chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il giudice di merito renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. Nella specie, però, non vi è prova alcuna, né è stato specificamente dedotto dal ricorrente, di aver sottoposto all’attenzione del tribunale le fonti oggi richiamate in ricorso. A tanto deve solo aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitatì è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 9842 del 2019; Cass. n. 30105 del 2018);
iv) la censura complessivamente afferente il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari si rivela inammissibile, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione. Nessun decisivo rilievo assume, infine, da sola, l’eventuale integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente (ma concretamente esclusa dal tribunale), posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr., nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 24413 del 2021, secondo cui “… occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano”; Cass., SU, n. 24959 del 2019. Cfr. anche Cass. n. 24104 del 2021, secondo cui “…lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni: i) perché la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”; ii) perché il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die; iii) perché la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019). Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per contro, può essere solo uno dei fattori indizianti che, valutati unitamente a tutte le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo…”). A tanto deve solo aggiungersi che, come condivisibilmente affermato da Cass. n. 24904 del 2020, “in tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perché non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi dOcoltà economiche e sociali”. Inoltre, la situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti, come nel caso di specie, è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. Cass. n. 17787 del 2021, in motivazione);
v) il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (cfr., ex multis, Cass. n. 3746 del 2021; Cass. n. 19176 del 2020; Cass. n. 10686 del 2012);
vi) a fronte di tale corretta operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso in esame investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originane o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022