Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.6009 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7202/2021 R.G. proposto da:

R.N.U., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabrizio NBH Ippolito D’A-vino, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 248/21, depositata il 2 febbraio 2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

RILEVATO

che R.N.U., cittadino del Pakistan, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 2 febbraio 2021, con cui la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 22 marzo 2020 dal Tribunale di Venezia, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base d’informazioni desunte da fonti non aggiornate e non riguardanti specificamente la sua regione di provenienza, trascurando precedenti giurisprudenziali ed informazioni più recenti, dai quali emergeva l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato;

che il motivo è infondato;

che, in tema di protezione internazionale, questa Corte ha infatti affermato costantemente che l’obbligo di motivazione posto a carico del giudice ai fini dell’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in funzione integrativa degli elementi e della documentazione forniti dal richiedente deve ritersi assolto mediante il richiamo ad informazioni precise ed aggiornate riguardanti la situazione generale del paese di origine, desunte dalle fonti privilegiate di cui alla medesima disposizione, da individuarsi puntualmente nel provvedimento, in modo tale da consentire alle parti la verifica della pertinenza e correttezza dei dati acquisiti, nonché la critica degli stessi in sede d’impugnazione, attraverso l’eventuale deduzione dell’esistenza di altre fonti più aggiornate e specifiche, sulla base delle quali il provvedimento impugnato sarebbe potuto pervenire a conclusioni diverse (cfr. Cass., Sez. I, 11/11/2019, n. 29056; 22/05/ 2019, n. 13897; 17/05/2019, n. 13449);

che tale dovere è stato correttamente adempiuto dalla Corte d’appello, la quale, nell’escludere la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha riportato, a sostegno della propria valutazione, informazioni desunte da fonti internazionali autorevoli e sufficientemente aggiornate, dalle quali ha desunto che nel Pakistan, ed in particolare nella regione del Kashmir, dalla quale proviene il ricorrente, non sussiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato;

che, nel censurare il predetto apprezzamento, il ricorrente deduce l’esistenza di fonti più aggiornate, riportandone testualmente il contenuto, che non può tuttavia ritenersi idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, risolvendosi nella segnalazione di un incremento degli scontri armati al confine tra Pakistan e India, con il coinvolgimento anche di civili, descritti peraltro come meri “incidenti”, ovverosia come fatti occasionali, e quindi insufficienti a far ritenere che tra i due Stati sia in atto un conflitto internazionale;

che a tal fine è infatti necessario un contrasto tra le forze armate di due o più Stati che si contendano il controllo militare del territorio, caratterizzato da un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rinviato nella regione di provenienza, corra il rischio di subire un danno grave per la sua sola presenza sul territorio (cfr. Cass., Sez. I, 2/03/2021, n. 5675; Cass., Sez. VI, 8/07/2019, n. 18306; 2/04/2019, n. 9090);

che inappropriato deve ritenersi anche il richiamo a precedenti giurisprudenziali riguardanti cittadini pakistani ai quali, diversamente da quanto accaduto nel caso in esame, è stata riconosciuta la protezione sussidiaria, dal momento che i motivi della decisione in tanto possono considerarsi viziati, in quanto risultino di per sé erronei, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta, e non in quanto si pongano eventualmente in contrasto con quelli addotti in decisioni riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche (cfr. Cass., Sez. II, 26/06/2017, n. 15846; Cass., Sez. lav., 17/03/1980, n. 1772);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per apparenza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte d’appello non ha tenuto conto dello svolgimento di attività lavorativa in Italia, risultante dalla documentazione prodotta in giudizio, essendosi limitata a richiamare le informazioni acquisite in ordine alla situazione del suo Paese di origine, senza verificare l’esistenza di eventuali violazioni dei diritti umani;

che il motivo è infondato;

che, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha infatti escluso la possibilità di desumere l’esistenza di una condizione di vulnerabilità personale sia dalle dichiarazioni rese dal ricorrente, richiamando il giudizio d’inattendibilità precedentemente espresso in ordine alle stesse, sia dalle informazioni acquisite in ordine alla situazione del Paese di origine, ritenute inidonee ad evidenziare un rischio di compromissione dei diritti umani in caso di rimpatrio;

che il rilievo conferito all’inattendibilità delle dichiarazioni trova conforto nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, pur postulando una condizione di vulnerabilità personale, la cui configurabilità deve costituire oggetto di una valutazione autonoma rispetto a quella dei presupposti richiesti per l’applicazione delle altre forme di protezione, non richiede specifici approfondimenti istruttori da parte del giudice di merito allorquando, come nella specie, quest’ultimo abbia già escluso la credibilità della vicenda personale allegata dal richiedente, e non siano state fatte valere ragioni di vulnerabilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle dedotte a sostegno della domanda di riconoscimento delle forme di protezione c.d. maggiori (cfr. Cass., Sez. I, 24/12/2020, n. 29624; Cass., Sez. I, 7/08/2019, nn. 21123 e 21129);

che, nel far valere l’omessa verifica di eventuali violazioni dei diritti fondamentali, il ricorrente non considera che la domanda di riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, in virtù del quale incombe al richiedente, in qualità di attore, l’onere di allegare i fatti costitutivi della pretesa azionata, non potendo il giudice introdurli d’ufficio nel giudizio, mediante l’esercizio dei propri poteri istruttori ufficiosi (cfr. Cass., Sez. I, 31/01/2019, n. 3016; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336; 28/09/2015, n. 19197);

che, in difetto dell’allegazione di una condizione di vulnerabilità personale o dell’esposizione al rischio di gravi violazioni dei diritti umani in caso di rimpatrio, deve ritenersi irrilevante la prova dell’avvenuto inserimento del richiedente nel tessuto economico-sociale italiano, la cui isolata considerazione non potrebbe in alcun modo condurre al riconoscimento della protezione umanitaria, ai fini della quale si richiede un raffronto tra il livello d’integrazione da lui raggiunto nel paese di accoglienza e la situazione soggettiva e oggettiva in cui egli versava prima dell’espatrio, e nella quale verrebbe nuovamente a trovarsi in caso di rientro nel paese di origine (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/ 2019, n. 29459; Cass., Sez. II, 17/07/2020, n. 15319; Cass., Sez. VI, 3/04/ 2019, n. 9304);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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