LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6202/2021 R.G. proposto da:
Y. BAH, rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Carotta, con domicilio eletto in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2045/20, depositata il 25 agosto 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre 2021 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.
RILEVATO
che Y.B., cittadino del Senegal, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 25 agosto 2020, con cui la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 25 febbraio 2018 dal Tribunale di Venezia, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;
che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
CONSIDERATO
che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per inesistenza o apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere la credibilità delle dichiarazioni da lui rese a sostegno della domanda, la Corte d’appello si è limitata a ribadire la valutazione compiuta dalla Commissione territoriale, connotata da inconsistenza, genericità e superficialità, disapplicando i criteri indicati dal citato D.lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed omettendo in particolare di tener conto del contesto sociale e culturale da cui egli proviene, nonché di porre a confronto la vicenda da lui narrata con le informazioni disponibili in ordine alla situazione del suo Paese di origine;
che il motivo è inammissibile;
che, nel censurare il giudizio d’inattendibilità espresso dalla sentenza impugnata in ordine alla vicenda personale allegata a sostegno della domanda, il ricorrente si limita infatti a lamentare la violazione dei criteri a tal fine indicati dalla legge, nonché l’inadeguatezza delle ragioni addotte a fondamento di tale valutazione, omettendo tuttavia di precisare in quale modo e con quali argomentazioni la Corte territoriale si sia discostata dai predetti criteri e quali siano gli aspetti della narrazione che avrebbero richiesto un inquadramento nel contesto di provenienza, nonché d’indicare le lacune argomentative o le incongruenze del ragionamento seguito per giungere alla decisione e le circostanze di fatto trascurate, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per inesistenza o apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e la violazione dell’art. 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, e art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, si è soffermata sulla fattispecie di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), senza peraltro valutare adeguatamente la situazione generale del suo Paese di origine;
che il motivo è inammissibile;
che, nel lamentare il vizio di violazione di legge, in riferimento alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), il ricorrente non si cura di illustrare la propria censura, limitandosi a richiamare la predetta disposizione, ed omettendo di spiegare il modo e le argomentazioni in cui si sarebbe consumata tale violazione, nonché di esporre le ragioni per cui ritiene errata la decisione;
che, nell’escludere la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), la Corte territoriale ha rilevato per un verso che il ricorrente non aveva fatto alcun cenno alla situazione generale del suo Paese di origine, quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità, richiamando per altro verso informazioni fornite da una fonte internazionale autorevole ed aggiornata, puntualmente indicata in motivazione, dalle quali ha desunto che nella regione di provenienza del ricorrente non sussiste una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato o da uno stato di anarchia;
che, nel censurare la predetta valutazione, il ricorrente si limita a denunciarne l’inadeguatezza e la contrarietà alla norma indicata, senza indicare le ragioni di tale contrasto né le lacune argomentative o le incongruenze del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, anche sotto tale profilo, una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità;
che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per inesistenza o apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 32, comma 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, artt. 11 e 29, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha omesso di procedere alla comparazione tra la sua attuale condizione di vita e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, non avendo preso in esame gli elementi comprovanti il livello d’integrazione da lui raggiunto in Italia e non avendo considerato che la ritenuta inattendibilità della vicenda narrata a sostegno della domanda di applicazione delle altre misure di protezione non preclude il riconoscimento di una condizione di vulnerabiltà personale;
che il motivo è inammissibile;
che, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha infatti rilevato che il ricorrente non aveva allegato alcun elemento idoneo ad evidenziare la sua esposizione a rischio ed a consentire di valutarne la presumibile durata;
che tale apprezzamento si pone perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di protezione internazionale, secondo cui l’attenuazione del principio dispositivo, derivante dal dovere di cooperazione istruttoria posto a carico del giudice dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, non riguarda l’allegazione dei fatti costitutivi del diritto alla protezione, la quale deve risultare adeguatamente circostanziata, ma la prova degli stessi, con la conseguenza che l’inosservanza da parte del richiedente dell’onere di dedurre fatti idonei a giustificare il riconoscimento della protezione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda, non potendo il giudice sopperire, mediante l’esercizio dei propri poteri ufficiosi, alle insufficienti allegazioni di parte (cfr. Cass., Sez. I, 31/01/2019, n. 3016; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336; 28/09/2015, n. 19197);
che, nel far valere l’omissione della necessaria comparazione tra la sua attuale condizione di vita e la situazione personale e familiare in cui versava prima dell’espatrio, il ricorrente si limita ad affermare di aver raggiunto un buon livello d’integrazione sociale ed economica in Italia, in virtù della frequentazione di corsi di lingua e di formazione professionale e dello svolgimento di attività di tirocinio, omettendo tuttavia di precisare in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito tali elementi siano stati allegati, nonché di fornire qualsiasi indicazione in ordine alla sua precedente condizione di vita;
che, in assenza di un’effettiva condizione di vulnerabilità, ricollegabile alla vicenda personale del richiedente, l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, non può considerarsi infatti sufficiente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, dal momento che, presi isolatamente, il livello di integrazione dello straniero in Italia ed il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani esistente nel Paese di provenienza non integrano di per sé i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina l’applicazione della misura in questione (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2019, n. 5358; Cass., Sez. VI, 28/06/2018, n. 17072);
che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022