Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.6039 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 25806-2020 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., con sede in Siena, alla Piazza Salimbeni n. 3, in persona del procuratore speciale Avv. Maria Angela Fanetti, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Luisa Ranucci, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al viale delle Milizie n. 9.

– ricorrente –

contro

T.M..

– intimato –

avverso la sentenza, n. cronol. 9058/2020, del GIUDICE di PACE di ROMA, depositata in data 15/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non CAMPESE partecipata del giorno 01/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO.

FATTI DI CAUSA

1. La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis c.p.c., contro la sentenza del Giudice di pace di Roma del 9 aprile/15 luglio 2020 che, accogliendo la corrispondente domanda dell’Avv. T.M., l’ha condannata al pagamento, in favore di quest’ultimo, della somma di Euro 217,50, oltre interessi, da lui già corrisposta all’Agenzia delle Entrate per la registrazione della sentenza n. 4534/2015 resa, dal Tribunale di Roma, all’esito di un procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo dallo stesso instaurato e nel quale la medesima banca era rimasta soccombente. Il T. è rimasto solo intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e/ o falsa applicazione di legge relativamente alla insussistenza di interesse ad agire dell’Avv. T.M. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – artt. 100 e 474 c.p.c.)”. Si contesta al Giudice di pace capitolino di non aver rilevato la carenza di interesse ad agire del T. per essere lo stesso già in possesso di un titolo esecutivo legittimante la pretesa di recuperare l’importo della imposta di registro da lui corrisposta all’Agenzia delle Entrate per la registrazione della menzionata sentenza n. 4534/2015 del Tribunale di Roma;

II) “Violazione e/ o falsa applicazione di legge relativamente alla intervenuta violazione del principio del ne bis in idem (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.)”. Si ascrive alla decisione impugnata la violazione del principio del ne bis in idem essendosi pronunciata sul diritto del T. di vedersi restituire le somme corrisposte all’Erario per il pagamento dell’imposta di registro di precedente sentenza pronunciata inter partes malgrado il relativo diritto fosse stato implicitamente accertato nella sentenza stessa;

III) “Omesso esame dell’abusivo tentativo di riprodurre titoli esecutivi già esistenti e di parcellizzare il credito, da intendersi come fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”. Si intende far constare alla Suprema Corte l’omesso esame da, parte del Giudice di pace di Roma, “dell’abusivo tentativo” condotto dal T. di riprodurre titoli esecutivi già esistenti e di parcellizzare il proprio credito;

IV) “Violazione o falsa applicazione di legge relativamente alla entità delle spese di lite liquidate in favore dell’Avv. T.M. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – artt. 91 e 82 c.p.c.)”, censurandosi l’avvenuta liquidazione, in favore del T., di spese di lite di importo superiore al decisum in una controversia di valore inferiore ad Euro 1.100,00.

2. L’odierno ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto avverso una sentenza di primo grado emessa dal Giudice di pace.

2.1. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex aliis, Cass. n. 10063 del 2020; Cass. n. 4036 del 2012; Cass. nn. 10774-10775 del 2008; Cass. n. 13019 del 2007), qui condivisa, ha chiarito che: “Dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge con certezza assoluta che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria (art. 113 c.p.c., comma 2. Ndr), l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339 c.p.c., comma 3, è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso (se si esclude la revocazione per motivi ordinari). Tale conclusione – non desumibile esplicitamente da detta norma, posto che l’avverbio “esclusivamente” che in essa figura potrebbe apparire riferibile non al mezzo esperibile, bensì ai motivi deducibili con il mezzo stesso, onde l’interprete potrebbe avere il dubbio (peraltro per il solo vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) che contro la sentenza sia esperibile, prevedendolo altra norma, altra impugnazione ordinaria per i motivi esclusi e segnatamente il ricorso per cassazione – si giustifica, oltre che per un’elementare ragione di coerenza, che esclude un concorso di mezzi di impugnazione non solo per gli stessi motivi, ma anche per motivi che rispetto a quelli ammessi in riferimento ad un mezzo rappresenterebbero un loro allargamento, in forza della lettura dell’arì. 360 nuovo testo, là dove nel comma 1 prevede l’eiperibilità del ricorso per cassazione soltanto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado. Poiché la sentenza equitativa del giudice di pace non è una sentenza pronunciata in grado di appello né una sentenza pronunciata in unico grado (atteso che e’, sia pure per motivi limitati, appellabile e, dunque, è sentenza di primo grado), appare evidente che essa non è sottoponibile a ricorso per cassazione per i vizi diversi da quelli indicati dall’art. 339 c.p.c., comma 3, e particolarmente per quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne’, d’altro canto, è ipotizzabile la configurabilità del ricorso per cassazione per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sulla base dell’ultimo comma del nuovo testo dello stesso art. 360 c.p.c., che ammette il ricorso per cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti diversi dalla sentenza per i quali – a norma dell’art. 111 Cost., comma 7 – è ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge per tutti i motivi di cui al comma 1 e, quindi, nelle intenzioni del legislatore, anche per quello di cui al n. 5 citato. Invero, la sentenza del giudice di pace pronunciata nell’ambito della giurisdizione equitativa, essendo appellabile, sia pure per motivi limitati, sfugge all’ambito di applicazione del suddetto comma 7, che pertiene alle sentenze ed ai provvedimenti aventi natura di sentenza in senso cd. sostanziale, per cui non sia previsto alcun mezzo di impugnazione e non riguarda i casi nei quali un mezzo di impugnazione vi sia, ma limitato a taluni motivi e la decisione riguardo ad esso possa poi essere assoggettata a ricorso per cassazione (com’e’ quella resa dal giudice d’appello sulle sentenze del giudice di pace ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3, la quale, naturalmente, lo sarà con adattamento dei motivi di ricorso all’ambito di quelli devolvibili al giudice d’appello stesso)”.

2.2. In definitiva, quindi, come emerge agevolmente dalle riportate pronunce, la sentenza del Giudice di pace o è pronunciata in causa eccedente l’ambito della giurisdizione equitativa, ed allora è appellabile senza limiti, o è resa in causa rientrante nell’ambito della giurisdizione equitativa, ed allora è appellabile nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3; in nessuno di tali due casi, tuttavia, essa è ricorribile per cassazione.

2.3. Il Collegio conosce la differente decisione resa da Cass. n. 24646 del 2021 in controversia assolutamente analoga a quella odierna, ma esclude di potervi dare seguito non essendosi la stessa minimamente pronunciata sulla pregiudiziale questione di ammissibilità – li totalmente obliterata – del rimedio ivi esperito.

2.3.1. Del tutto inconferente, invece, si rivela il richiamo effettuato dalla banca ricorrente alla sentenza n. 206 del 2004 della Corte costituzionale, avendo quest’ultima, a tacer d’altro, investito un regime di impugnazione delle sentenze del Giudice di pace (all’epoca sancito dall’art. 339 c.p.c. nel testo anteriore alla modifica apportatagli dal D.Lgs. n. 40 del 2006) diverso da quello oggi vigente e, nella specie, applicabile ratione temporis.

3. Il ricorso, dunque, deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il T. rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13m comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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