Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.6042 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 393-2021 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Guendalina Garau, presso il cui studio elettivamente domicilia in Cagliari, alla Piazza Giovanni XXIII n. 35.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza, n. cronol. 234/2020, della CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI, depositata in data 14/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 01/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 6/14 aprile 2020, la Corte di Appello di Cagliari respinse il gravame proposto da M.S. contro la decisione resa dal tribunale di quella stessa città reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne: i) i fatti narrati dal richiedente scarsamente attendibili e, comunque, inidonei a giustificare le sue richieste di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); i:) insussistenti, in Bangladesh, Stato di provenienza del ricorrente, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’appena menzionato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); parimenti insussistenti fatti o accadimenti giustificativi della invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Avverso questa sentenza il Molla ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che l’odierno ricorso risulta essere stato notificato al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura distrettuale di Cagliari, e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato. Trattasi di notificazione evidentemente nulla (cfr. Cass. n. 33253 del 2019; Cass. n. 20890 del 2018; Cass., SU, n. 608 del 2015), della quale, però, non vi è necessità di disporre la rinnovazione rivelandosi, prima facie, il medesimo ricorso insuscettibile di accoglimento Cass. n. 8774 del 2021; Cass. n. 6924 del 2020, resa proprio in fattispecie di vizio di notificazione del ricorso per cassazione; Cass. n. 33253 del 2019; Cass. n. 12515 del 2018).

2. Invero, il primo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: violazione di legge – violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – nullità della sentenza per radicale carenza di motivazione in ordine al rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale”, assume che la motivazione adottata dalla corte sarda per respingere le richieste dell’appellante volte ad ottenere lo status di rifugiato o il riconoscimento della protezione sussidiaria sarebbe “solo apparente, in quanto non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, ma generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame”.

2.1. Trattasi di censura palesemente infondata, posto che, da un lato, il vizio di apparente motivazione di un provvedimento decisorio sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 14620 del 2021; Cass. n. 2959 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012); dall’altro, un simile vizio – da apprezzare non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – e’, all’evidenza, insussistente nella specie, posto che la corte di appello ha adeguatamente esposto (cfr. amplius, pag. 5-15 della sentenza impugnata) le ragioni, sopra rammentate, che imponevano il rigetto della domanda del Molla di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

2.1.1. A tanto va solo aggiunto che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, – come innegabilmente avvenuto nella specie delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass. n. 20883 del 2019).

3. Il secondo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5, – Violazione e falsa applicazione di norme – travisamento e/ o omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, censura il mancato riconoscimento, in favore dell’appellante, del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3.1. Questa doglianza è complessivamente inammissibile perché: i) prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plutimis, Cass. n. 33348 del 2018; Cass. n. 19761, n. 19040, n. 13336 e n. 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. n. 26018 e n. 22404 del 2014); i:) la corte territoriale ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione. La censura si risolve, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre – affatto inammissibilmente in questa sede (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017; Cass. n. 7119 del 2020; Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022) – una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie. Nessun decisivo rilievo assume, infine, da sola, l’eventuale integrazione socio-lavorativa raggiunta dal richiedente, posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (r., nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 24413 del 2021, secondo cui “… occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano”; Cass., SU, n. 24959 del 2019. Cfr. anche Cass. n. 24104 del 2021, secondo cui “…lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni: i) perché la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”; ii) perché il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die; iii) perché la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Se. 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019). Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per contro, può essere solo uno dei fattori indizianti che, valutati unitamente a tutte le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo…”). A tanto deve solo aggiungersi che, come condivisibilrnente affermato da Cass. n. 24904 del 2020, “in tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perché non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi dOcoltà economiche e sociali”. Inoltre, la situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. Cass. n. 17787 del 2021, in motivazione).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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