LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28978/2015 proposto da:
***** S.r.l. In Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Orazio n. 30, presso lo studio dell’avvocato Pucci Stefano, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.F., nella qualità di curatore del Fallimento ***** S.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliata in Roma, via Bazzoni Giunio n. 15, presso lo studio dell’avvocato Femia Giuseppe, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Dott. P.A. di *****;
– intimato –
Avverso la sentenza numero 6241/2015 della Corte d’appello di Roma depositata il 10/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/01/2022 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO.
RILEVATO
CHE:
1. – ***** S.r.l. in liquidazione ricorre per un mezzo, nei confronti del Fallimento ***** S.r.l. in liquidazione, contro la sentenza del 10 novembre 2015, con cui la Corte d’appello di Roma ha respinto il suo reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento ed il coevo decreto di inammissibilità della sua domanda di concordato preventivo.
2. – Il Fallimento non spiega difese.
CONSIDERATO
CHE:
3. – L’unico complesso motivo denuncia “violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 160, commi 1 e 2, art. 161, art. 162 e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3”.
Il motivo:
-) esordisce affermando che la Corte d’appello avrebbe “erroneamente applicato il dettame normativo assegnando valenza a fatti che non potevano giustificare il giudizio di non fattibilità giuridica del proposto Piano Concordatario, ed ha omesso di valutare le risultanze ben evidenziate dal piano di concordato medesimo, e compiutamente richiamate nel reclamo (v. premesse al presente ricorso)” (pagina 19);
-) sostiene che, “inoltre”, la Corte d’appello avrebbe fatto proprie motivazioni che non erano presenti nel provvedimento del Tribunale ma erano contenute esclusivamente nella comparsa di costituzione del Fallimento nel procedimento di reclamo (pagine 19-21);
-) lamenta che la Corte d’appello avrebbe svolto considerazioni concernenti la fattibilità economica del piano ed avrebbe in tal modo invaso la sfera riservata dalla legge alla valutazione esclusiva del ceto creditorio (pagine 21-29).
In tale terza parte il motivo si spende in considerazioni sull’apporto di finanza esterna, per i fini della realizzazione della causa concreta del concordato, ed afferma nuovamente che il giudice di merito avrebbe “omesso di astenersi da valutazione di opportunità economica rimesse in via esclusiva al Ceto creditorio”.
RITENUTO CHE:
4. – Il motivo, e con esso il ricorso, è inammissibile.
4.1. – Il motivo è inammissibile anzitutto perché fondato sull’art. 115 c.p.c., il quale stabilisce che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati, e può tuttavia decidere sulla base del notorio: sicché una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 può porsi soltanto allorché si alleghi che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229; Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960).
E dunque il motivo è inammissibile giacché, alla sua lettura, non risulta alcuna indicazione di prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, sulle quali il giudice avrebbe fondato la propria decisione.
4.2. – Il motivo è inoltre nel complesso privo del requisito di specificità.
Difatti, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, oltre che di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745).
Ora, la sentenza impugnata contiene una motivazione piana e comprensibile: e cioè afferma che la proposta concordataria non era giuridicamente fattibile in ragione: a) della “manifesta inadeguatezza della relazione dell’attestatore”; b) delle “carenze dell’attestazione relative al ricorso alla finanza esterna”; c) del “declassamento dei crediti vantati dai professionisti”, sottolineando reiteratamente che i rilievi effettuati concernevano non già la fattibilità economica, come sostenuto dalla società ricorrente, bensì la sua fattibilità per l’appunto giuridica. Quanto alla finanza esterna, in particolare, la Corte d’appello ha evidenziato che le “lettere di impegno” provenienti da due persone fisiche, B. e D., aventi ad oggetto la vendita di loro immobili, con destinazione del ricavato al pagamento dei chirografari, dietro liberazione degli stessi B. e D. da tutte le garanzie personali rilasciate in favore di istituti bancari creditori della società, descrivevano un’obbligazione totalmente generica, sia in relazione al valore degli immobili, sia in relazione alle garanzie da estinguere, neppure identificate. Quanto al declassamento dei crediti dei professionisti, la stessa Corte d’appello ha osservato che era errata in iure l’affermazione della società secondo cui detto credito non era assistito da privilegio perché vantato da un’associazione professionale.
Questa essendo la motivazione addotta dal giudice di merito, la formulazione di una censura in diritto avrebbe richiesto: a) di individuare il criterio distintivo tra fattibilità giuridica e fattibilità economica; b) di indicare perché ed in qual modo la Corte territoriale avesse errato nel considerare come attinente alla fattibilità giuridica, invece che a quella economica, la circostanza che l’apporto di finanza esterna fosse del tutto indeterminato e che il declassamento dei crediti dei professionisti fosse in iure privo di base.
Nel ricorso invece non c’e’ nulla di tutto ciò, mentre sono svolte considerazioni prive di attinenza con la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione: il motivo difatti si limita per lo più a dire che, all’esito delle riforme della disciplina del concordato preventivo, sarebbe stata prevista la possibilità del ricorso alla finanza esterna, del che, in verità, il provvedimento impugnato non ha affatto dubitato, avendo viceversa posto in evidenza che in questo caso non si sapeva né a quanto ammontasse tale apporto di finanza esterna, né se fosse plausibile il consenso delle banche alla cancellazione delle garanzie, visto che non si sapeva neppure quali banche fossero e quali garanzie.
4.3. – Non è superfluo aggiungere che la stessa tesi di fondo posta a fondamento del motivo, secondo cui “il giudice deve astenersi da valutazioni di opportunità economica rimesse in via esclusiva al Ceto creditorio”, e’, come noto, eccentrica rispetto alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, il Tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano, con il limite, rispetto alla fattibilità economica (intesa come realizzabilità di esso nei fatti), della verifica della sussistenza, o meno, di un manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, desumibile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi, dovendo considerarsi gli elementi, significativi e rilevanti, originari o sopravvenuti, che influiscano sull’individuazione dell’entità del passivo e dell’attivo (da ultimo tra le tante Cass. 28 aprile 2021, n. 11216).
4.4. – Resta da dire della prima parte del motivo in cui si afferma che la Corte d’appello avrebbe “erroneamente applicato il dettame normativo assegnando valenza a fatti che non potevano giustificare il giudizio di non fattibilità giuridica del proposto Piano Concordatario, ed ha omesso di valutare le risultanze ben evidenziate dal piano di concordato medesimo, e compiutamente richiamate nel reclamo (v. premesse al presente ricorso)”: l’inammissibilità discende dalla semplice considerazione che la censura è incomprensibile, giacché non si intende in specifico di quali fatti la ricorrente vada discorrendo.
4.5. – Quanto infine alla censura concernente il fatto che la Corte d’appello avrebbe recepito una base motivazionale non contenuta nel provvedimento del Tribunale, ma nella comparsa di costituzione del Fallimento in sede di reclamo, il motivo è inammissibile, non solo perché la sentenza del Tribunale non è localizzata, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 ma anche perché la doglianza verte su un aspetto totalmente ininfluente, ove si consideri il carattere pienamente devolutivo del giudizio di reclamo fallimentare (ex multis Cass. 25 gennaio 2018, n. 1893), che consentiva perciò alla Corte d’appello di disattendere il reclamo anche sulla base di argomenti non considerati dal primo giudice.
5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022