LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6236/2013 R.G. proposto da:
D.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Napolitano e dall’Avv. Alessandra Militerno del foro di Roma, giusta procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso lo suo studio dell’Avv. Francesco Napolitano, in Roma, via Po, n. 9;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 263/2/2012, depositata il 25 luglio 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 gennaio 2022 dal consigliere Dott. D’Orazio Luigi.
RILEVATO
CHE:
1. La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino (n. 332/4/2010), che aveva accolto il ricorso presentato da D.R. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate, per l’anno 2004, ai fini Irpef, per incrementi patrimoniali D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38. In particolare, l’Agenzia delle entrate rilevava che, nonostante un reddito imponibile inesistente, la contribuente aveva stipulato il 9 maggio 2006 un contratto di mutuo per Euro 93.750,00, conferito denaro in società per Euro 600.000,00 con atto del 21 febbraio 2006 ed aveva acquistato azioni per Euro 25.000,00 con atto del 29 dicembre 2006, oltre a possedere un’autovettura ed essere comproprietaria 50% di 3 immobili, di cui nessuno adibito ad abitazione. Il giudice d’appello evidenziava che dal verbale di assemblea straordinaria della società Interservice s.r.l. emergeva che effettivamente la socia aveva versato il 75% dell’aumento del capitale sociale, con versamento avvenuto in tempi precedenti. La contribuente non aveva fornito la prova contraria.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente, depositando anche memoria scritta.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5". In particolare, la ricorrente deduce che solo erroneamente il notaio, nell’atto del 21 febbraio 2006, aveva affermato che il restante 75% del capitale sottoscritto era stato già versato nelle casse sociali, mentre, in realtà, solo il 25% era stato effettivamente versato, mentre il restante 75% sarebbe stato in futuro versato. A seguito di tale errore, l’Agenzia ha ricostruito la materia imponibile per tutta la quota sottoscritta, pari ad Euro 600.000,00, e non soltanto per quella realmente versata, pari ad Euro 150.000,00. La sentenza d’appello non tiene conto in alcun modo dell’atto pubblico notarile del 1 dicembre 2008, con cui è si era provveduto alla cancellazione dal verbale del 21 febbraio 2006 del seguente periodo”(…) Si deve, pertanto, ritenere dal predetto verbale cancellato il seguente periodo: per quanto riguarda il restante 75% il Presidente dichiara ed attesta che è già stato versato nelle casse sociali”.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, nonché dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 59-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
4. Deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
5. Risulta dagli atti che la contribuente si è avvalsa della definizione agevolata di cui al D.L. n. 193 del 2016, art. 6, comma 8, convertito nella L. n. 225 del 2016, e successivamente del D.L. n. 119 del 2018, art. 3, convertito nella L. n. 136 del 2018.
La contribuente, dunque, ha manifestato, nelle suddette istanze, l’intento di rinunciare al presente giudizio.
Con atto del 20 dicembre 2021 la ricorrente, avendo ricevuto la notifica delle cartelle di pagamento relative all’avviso di accertamento RE101T401299, per l’anno 2004, ed avendo provveduto al pagamento di cinque rate, con versamenti del 7 dicembre 2018, del 2 dicembre 2019, del 24 luglio 2019, del 30 luglio 2020, e del 29 ottobre 2021, pur “in attesa dell’integrale liquidazione delle somme dovute alla parte”, ha chiesto di prendersi atto della “rinuncia al giudizio” e di “dichiarare cessata la materia del contendere”.
6. Il D.L. n. 119 del 2018, art. 3 prevede che “i debiti, diversi da quelli di cui all’art. 5 risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, possono essere estinti, senza corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi di mora di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, comma 1, ovvero le sanzioni delle somme aggiuntive di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 27, comma 1, versando integralmente le somme”.
Al D.L. n. 119 del 2018, art. 3, comma 2, si prevede che “il pagamento delle somme di cui al comma 1 è effettuato: a) in unica soluzione, entro il 31 luglio 2019; b) nel numero massimo di 18 rate consecutive, la prima e la seconda delle quali, ciascuna di importo pari al 10% delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadenti rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2019; le restanti di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020”.
Al D.L. n. 119 del 2018, art. 3, comma 6, si stabilisce che “nella dichiarazione di cui al comma 5 il debitore indica l’eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e assume l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi, che, dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice”.
Si aggiunge, sempre nel medesimo D.L. n. 119 del 2018, art. 3, comma 6, che “l’estinzione del giudizio è subordinata all’effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti”.
7. Nella specie, è pacifico che la contribuente non abbia pagato l’integrale importo delle somme dovute, ma, ha comunque pagato le somme relative alle prime cinque rate.
8. La contribuente, con la memoria del 20 dicembre 2021, ha chiesto espressamente di dichiararsi “cessata la materia del contendere”.
9. L’Agenzia delle entrate, con la memoria del 13 gennaio 2022, ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere.
10. Le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno anticipate.
11. Nell’ipotesi di causa di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del ricorso per cassazione non sussistono i presupposti per imporre al ricorrente il pagamento del cd. “doppio contributo unificato” – fattispecie in tema di rinuncia al ricorso da parte del contribuente per adesione alla definizione agevolata di cui al del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 225 del 2016 – (Cass., sez. 5, 7 dicembre 2018, n. 31732).
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022