LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14772-2014 proposto da:
T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VOGLINO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 712/2013 della COMM.TRIB.REG.LAZIO SEZ.DIST.
di LATINA, depositata il 28/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.
FATTI DI CAUSA
La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle Entrate con cui, accertata l’esistenza di due lavoratori “in nero”, individuava un maggior reddito di impresa nei confronti di T.M. e quindi una maggiore pretesa fiscale.
Il T. si opponeva a tale atto e la Ctp, ritendo corretto l’operato della Agenzia, in quanto le prestazioni di servizio di due dipendenti non erano registrate nelle scritture contabili, respingeva il ricorso. La Ctr, a seguito di appello del contribuente, confermava tale decisione.
Proponeva ricorso in cassazione il contribuente, affidandosi a tre motivi così sintetizzabili:
Omessa motivazione della sentenza di appello sulla dedotta erroneità ed improprietà dei dati e metodi di calcolo utilizzati nell’impugnato avviso di accertamento per la determinazione induttiva dei presunti maggiori redditi imputati al contribuente;
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 e degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione alla denunciata erroneità, infondatezza e illegittimità dell’impugnato avviso di accertamento per l’improprietà, incongruità, fallacia e inattendibilità dei dati, criteri, metodi, calcoli e risultati utilizzati per la rettifica.
Non si costituiva l’Agenzia, anche se presentava memoria di costituzione al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente rileva il vizio di omessa motivazione attesa le sbrigative affermazioni in essa contenuta.
In realtà con il suddetto motivo non è stata idoneamente censurata la motivazione adottata nell’impugnata decisione.
Emerge dunque evidente come il ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti utilizzando tale motivo impropriamente, una rivalutazione del merito della vicenda, comportante accertamenti di fatto preclusi a questa Corte sotto tale profilo. Nel caso il giudice di merito, a cui spettava il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, ha ritenuto che i lavoratori in nero erano due e da questo dato è poi arrivato alla conclusione che, quindi, erano stati anche occultati i maggiori ricavi da questi prodotti.
In definitiva il ricorrente critica non il ragionamento logico seguito dal giudice, ma che non vi fossero due dipendenti in nero e che gli stessi non avessero prodotto i ricavi maggiori individuati, e cioè critica l’interpretazione dei fatti operata. Una volta che dalla sentenza impugnata traspare il percorso argomentativo seguito, e nel caso faceva leva sul fatto che vi erano due lavoratori in nero, e che quindi anche i ricavi prodotti con le loro prestazioni fossero stati occultati, le argomentazioni del ricorrente circa la non sufficienza della motivazione in definitiva si traducono nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. (v. Cass., 21/4/2016, n. 8035; Cass., 17/11/2015, n. 23516; Cass., 17/6/2013, n. 15112; Cass. indi, 25/3/2005, n. 6478).
Con il secondo motivo, prospettato sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che il giudice avrebbe mancato di considerare fatti decisivi, in grado di inficiare la soluzione accolta.
Il ricorrente ha riportato, ai fini della autosufficienza, i passi del ricorso in primo grado e dell’appello in cui aveva dedotto come i lavoratori in nero che operavano nell’impresa T. era solo uno (e cioè C.M.L.), mentre il signore S., operava sì nell’azienda ma solo in quanto dipendente di una cooperativa che svolgeva prestazioni per il T. regolarmente fatturate. In particolare il ricorrente evidenziava che era stata approntata la definizione della pratica dell’emersione del lavoro in nero, peraltro sottoscritta dall’organizzazione sindacale, ed a cui ha partecipato l’Ispettorato del lavoro che ha asseverato l’ottemperanza a tale provvedimento da parte dell’impresa. Nel caso la sentenza della commissione regionale del Lazio non ha considerato tali fatti acquisiti al processo, non lasciando minimamente trasparire il percorso logico seguito per rigettare il motivo con cui si affermava da parte del ricorrente appellante che vi era un solo lavoratore in nero, e soprattutto perché i documenti prodotti formati anche con l’intervento di organi pubblicistici, non erano in grado di inficiare le affermazioni contenute nell’atto di accertamento. In particolare non indica la Ctr perché il S. dovesse essere considerato lavoratore in nero sebbene fosse dipendente di una cooperativa, a cui il T. aveva commissionato servizi come da fatture depositate. Del resto la motivazione dalla Ctr appare anche illogica visto che nell’esordio della motivazione si parla di due lavoratori in nero e poi nel prosieguo si parla di un solo lavoratore in nero, come del resto ammesso dallo stesso imprenditore in sede di emersione del lavoro in nero.
Poiché l’accertamento dei maggiori ricavi dipendeva dal costo dei lavoratori in nero, in base ad una formula utilizzata dall’agenzia e considerata corretta della Ctr, l’individuazione di uno o due lavoratori in nero incideva sul risultato finale in modo rilevante e decisivo, pertanto il motivo va accolto, rimanendo così assorbito il terzo motivo.
Pertanto in accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Ctr di Roma che riesaminerà i documenti inerenti al secondo lavoratore ( S.) al fine di valutare se debba o meno essere considerato in nero, visto che peraltro nel nostro ordinamento è possibile utilizzare il lavoro interinale o l’esecuzione di prestazioni da terzi in azienda, ipotesi che non rientrano nel fenomeno del lavoro “in nero”.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo, rimanendo assorbito il terzo, e per l’effetto cassa la decisione impugnata rinviando alla Ctr del Lazio in diversa composizione che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022