LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 23658/2016 proposto da:
C.A., C.C., C.G., tutti figli germani ed eredi legittimi di Ca.An., deceduto a *****, rappresentati e difesi dall’avv. Pasquale Mogavero, giusta mandati in calce al ricorso per cassazione, e con lo stesso elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Stefano Oliva, in Roma, via Lima, n. 23.
– ricorrenti –
contro
Regione Siciliana, l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana ed E.S.A. – Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Siciliana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1147/2015 della Corte di appello di PALERMO, pubblicata in data 20 luglio 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2022 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 20 luglio 2015, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’E.S.A. e ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo che aveva revocato il decreto ingiuntivo con il quale era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 83.395,44, oltre interessi e spese legali, a titolo di rimborso delle migliorie che Ca.An. sosteneva di avere apportato al terreno di cui al lotto n. *****, particelle *****, che gli era stato assegnato in occasione della riforma agraria per la formazione della piccola proprietà contadina, nell’ambito del P.R. 91/suppl., a seguito del conferimento della ditta Gagliardo di C.G..
2. La Corte territoriale, a sostegno della decisione assunta, ha affermato che: la L. n. 104 del 1950, aveva attribuito la materia della riforma agraria alla competenza dell’E.R.A.S., cui era subentrato in seguito l’E.S.A., enti titolari di personalità giuridica, con la conseguenza che nulla autorizzava a ritenere la sussistenza di competenze in capo all’Assessorato che gli attribuissero la legittimazione a contraddire; al pagamento dei miglioramenti dovevano provvedere i precedenti proprietari espropriati; nessun valore di riconoscimento di debito poteva attribuirsi agli atti prodotti a sostegno del ricorso monitorio, né agli altri documenti acquisiti nel procedimento come da illustrazione condivisa del valore probatorio degli stessi a pagina 12 della sentenza impugnata; il dirigente dell’Assessorato, peraltro soggetto non legittimato passivamente nel giudizio, non aveva alcun potere di disporre del diritto dedotto in giudizio, per cui non poteva condividersi la tesi che ravvisava una confessione stragiudiziale nella nota dell’Assessorato n. 2170 del 28 novembre 2003; la condanna al pagamento delle spese processuali era collegata alla soccombenza e non vi erano idonee ragioni per pervenire a ragioni diverse.
3. C.A., C.C., C.G., tutti figli germani ed eredi legittimi di Ca.An., hanno presentato ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
4. La Regione Siciliana, l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana e l’E.S.A. hanno depositato controricorso e memoria.
5. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato, in data 10 gennaio 2022, conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’Avv. Pasquale Mogavero, unico difensore del ricorrente, ha depositato istanza, in data 11 gennaio 2022, con la quale ha chiesto il rinvio dell’udienza alla prima data utile, rappresentando che in data 5 gennaio la moglie era risultata positiva al “SARS COV 2”, che egli si era dovuto porre in quarantena volontaria e che il collega di studio e codifensore dei C. nei precedenti gradi del giudizio, era stato ricoverato, con gravi sintomatologie polmonari ed epatiche e che doveva essere sottoposto ad ulteriori accertamenti.
1.1 L’istanza non può trovare accoglimento, poiché non risulta documentata, in quanto gli unici due allegati depositati riguardano l’Avv. Gabriele De Castillo, che non risulta difensore nel presente giudizio della parte ricorrente; la documentazione, peraltro, era necessaria alla luce delle nuove disposizioni dettate dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 229 (pubblicato sulla G.U. del 30 dicembre 2021) ed entrato in vigore il 31 dicembre 2021, secondo le quali in caso di contatto stretto con un soggetto positivo al COVID-19, la quarantena non si applica nel caso di persone che hanno completato il ciclo vaccinale primario (senza richiamo) da 120 giorni o meno; persone che sono guarite dal COVID-19 da 120 giorni o meno; persone che hanno ricevuto la dose di richiamo del vaccino (cosiddetta terza dose o booster) (cfr. art. 2, rubricato “”Ulteriori disposizioni in materia di contenimento della diffusione del COVID-19”).
2. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 112,113 e 115 c.p.c. e alla L.R. Siciliana n. 104 del 1950, L.R. Siciliana n. 29 del 1960, L.R. Siciliana n. 21 del 1965, L.R. Siciliana n. 33 del 1968 e all’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6), avendo la Corte di appello affermato che la L. n. 104 del 1950, aveva attribuito la materia della riforma agraria all’E.R.A.S., cui era subentrato l’E.S.A., enti titolari di personalità giuridica, con la conseguenza che non sussisteva la legittimazione in capo all’Assessorato regionale.
3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione, sotto diverso profilo, di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 112 e 113 c.p.c. e alla L.R. Siciliana n. 104 del 1950, L.R. Siciliana n. 29 del 1960, L.R. Siciliana n. 21 del 1965 e L.R. Siciliana n. 33 del 1968, e dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6), avendo errato la Corte nell’affermare che la materia del contendere concerneva le migliorie apportate dal C. durante il rapporto di affitto e prima della consegna del terreno avvenuta nel 1999, che non vi erano norme che attribuivano tale diritto e che gli eventuali pagamenti erano a carico dei proprietari espropriati.
4. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 112,113 e 115 c.p.c. e alla L.R. Siciliana n. 104 del 1950, L.R. Siciliana n. 29 del 1960, L.R. Siciliana n. 21 del 1965, L.R. Siciliana n. 33 del 1968, L.R. Siciliana n. 10 del 1990, L.R. Siciliana n. 23 del 1998, L.R. Siciliana n. 10 del 2000, nonché alla Legge Nazionale n. 142 del 1990, Legge Nazionale n. 241 del 1990, Legge Nazionale n. 127 del 1997 e all’art. 1988 c.c., art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6), avendo la Corte di appello erroneamente affermato che non avevano alcun valore di riconoscimento di debito agli atti prodotti a sostegno del ricorso monitorio, né agli altri documenti acquisiti nel procedimento, né era ravvisabile una confessione stragiudiziale nella nota dell’Assessorato n. 2170 del 28 novembre 2003, nota sottoscritta da un dirigente dell’Assessorato che era privo di legittimazione passiva e che non aveva alcun potere di disporre del diritto dedotto in giudizio.
5. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 112,113,115,116 c.p.c., alla L.R. Siciliana n. 104 del 1950, e L.R. Siciliana n. 21 del 1965 e all’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6) e specificamente le prove documentali relative alla legittimazione passiva dell’Assessorato Regionale, la nota del dirigente del 28 novembre 2003 e la nota del Commissario Straordinario dell’E.S.A. dell’1 settembre 2003.
6. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e costituzionali, la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 112,113,115,116 c.p.c. e all’art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2 e art. 164 c.p.c.; art. 1385 c.c., comma 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6) e la violazione di norme processuali rispetto all’esatta portata delle domande formulate in citazione e del diritto di difesa.
7. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione, sotto diverso profilo, di norme di diritto, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 91 e segg., artt. 112 e 113 c.p.c. e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6): i motivi di censura dedotti erano idonei per una diversa valutazione in ordine alla soccombenza e, di conseguenza, rispetto alla consequenziale statuizione sulle spese; la Corte aveva omesso di considerare sia il punto decisivo relativo all’assenza degli asseriti riferimenti normativi, sia il profilo relativo alla documentazione acquisita nel processo, sia le corrette valutazioni già censurate nei precedenti capitoli.
8. Va esaminata preliminarmente l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione sollevata nel controricorso.
8.1 L’eccezione è fondata.
Nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma dell’art. 155 c.p.c., comma 2, e art. 2963 c.c., comma 4, il sistema della computazione civile non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale; analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini, sicché per calcolare i termini di decadenza dal gravame non occorre tenere conto dei giorni compresi tra il primo e trentunesimo giorno di agosto di ciascun anno (Cass., 25 agosto 2020, n. 17640).
Analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini.
In tal caso, infatti, al termine annuale di decadenza dal gravame (ora semestrale) di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, devono aggiungersi i 31 giorni di tale sospensione computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1, e della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo e 31 agosto di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
Ne consegue che si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale 8.2 E’ utile precisare che, con la novella introdotta con del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 16, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, il periodo di sospensione dei termini per il periodo feriale, a partire dal primo gennaio 2015, è stato ridotto a 31 giorni.
8.3 Ora, nel caso concreto, dato che il ricorso è stato notificato a mezzo del servizio postale con raccomandate A.R. il 4 ottobre 2016 (ricevute in data 7 ottobre 2016) e a mezzo PEC il 3 ottobre 2016, esso è tardivo perché a un anno dalla pubblicazione, scadente il 20 luglio 2016, bisogna aggiungere 31 giorni di sospensione feriale, più altri 31 giorni di sospensione feriale (20 settembre 2016).
9. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va dichiarato inammissibile e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, sostenute dai controricorrenti e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, stante l’impedimento dell’estensore a causa della emergenza epidemiologica da COVID-19, sottoscrive il solo Presidente.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022
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