LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
D.G.F., in proprio e quale esercente la potestà
genitoriale sulla minore V.C., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO MONTANINO;
– ricorrente –
contro
V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SANT’ANGELA MERICI N. 16, presso lo studio dell’avvocato ALVARO SPIZZICHINO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO FENIZIA;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 525/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato il 04/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di L’Aquila con provvedimento in data 4/8/2020, in sede di giudizio di rinvio da cassazione del precedente provvedimento pronunciato tra le stesse parti, in riferimento al mantenimento della minore C., nata fuori dal matrimonio, ha riformato il decreto pronunciato dal Tribunale di Sulmona in data 11/10/2017 ex art. 337 ter c.c. ed in particolare ha ridotto da Euro 700,00 ad Euro 400,00 Euro l’assegno di mantenimento per la figlia C. a carico del padre lasciando altresì immutate le ulteriori statuizioni.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso in cassazione D.G.F. affidato a quattro motivi e memoria. V.S. resiste con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.c. e art. 112 c.p.c. perché la Corte di Appello, in sede di giudizio di rinvio da cassazione del precedente provvedimento pronunciato tra le stesse parti in riferimento al mantenimento della minore C., nata fuori dal matrimonio, ha riformato il decreto pronunciato dal Tribunale di Sulmona in data 11/10/2017 ex art. 337 ter c.c. ed in particolare ha ridotto da Euro 700,00 ad Euro 400,00 Euro l’assegno di mantenimento della figlia C. da parte del padre, mancando di attenersi a quanto statuito dalla Suprema Corte nell’ordinanza 7134/2020.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 316 bis c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto il giudice territoriale ha deciso in modo del tutto arbitrario l’entità dell’assegno di mantenimento ed erroneamente determinato il contributo già percepito dalla minore da parte del padre, consistente in Euro 500,00 mensili oltre al pagamento del canone della casa di Sulmona.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto che il V. guadagnò i primi tre mesi del 2016 3.700,00 Euro mensili.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 bis e ter e 316 bis c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto il giudice territoriale ha violato il principio di parità tra figli legittimi e naturali dato che il figlio maggiore del V. nato da precedente matrimonio percepisce un mantenimento di 1.000,00 Euro mensili come stabilito dal Tribunale di Roma con sentenza 25509 del 2013.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto. Il decreto impugnato nel ridurre da Euro 700,00 ad Euro 400,00 Euro l’assegno di mantenimento della figlia C. da parte del padre ha congruamente motivato la decisione in quanto entrambi i genitori, non sposati, lavorano e sono dotati di idonea capacità reddituale. Il padre, ufficiale dell’esercito dispone di circa 2.400,00 al mese mentre la madre è avvocato e può contribuire al mantenimento della minore nata nel 2013 nella misura del 50%. La circostanza che dalla relazione della GDF risulta un reddito superiore del marito di Euro 3700 e non Euro 2400 non appare decisivo in quanto tale maggiore reddito è stato percepito solo per i primi tre mesi dell’anno.
Le censure riguardano questioni di merito poiché la sentenza è ampiamente e congruamente motivata, ben oltre il “minimo costituzionale”, essendo pervenuta a determinare l’assegno di mantenimento, comparando le condizioni economiche dei genitori: la ricorrente è avvocato e percepisce Euro 6.000,00 all’anno circa mentre il padre è ufficiale dell’esercito e dispone di un reddito mensile di circa 2.400,00 Euro.
Il motivo è altresì inammissibile in quanto censura la valutazione di merito della Corte di Appello la quale non rinvia acriticamente alla decisione di prime cure, essendo la Corte pervenuta al convincimento di stabilire una somma di 400,00 Euro come assegno di mantenimento all’esito di una comparazione delle condizioni reddituali di entrambi i coniugi.
In tema di valutazione delle prove, invero, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. Pertanto non può il giudice di legittimità riesaminare gli atti ed i documenti in base ai quali la Corte distrettuale ha stabilito la misura dell’assegno, trattandosi di valutazione di merito incensurabile, una volta escluso il vizio di motivazione.
Il quarto motivo è inammissibile in quanto i figli hanno madri diverse con redditi diversi e quindi, nella specie, i differenti giudici hanno accertato e quantificato le somme in modo effettivamente diverso stante le differenti posizioni reddituali delle madri.
Alla luce dei richiamati principi il ricorso è pertanto infondato in ordine a tutti i motivi e deve essere respinto con condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ove dovuto.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022