Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.6116 del 24/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25989/2018 proposto da:

Comune di Ladispoli, nella persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Dimitri Goggiamani, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Z.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudia Di Brigida, elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa, in Roma, via della Conciliazione, n. 10, come da procura speciale allegata al controricorso.

– controricorrente –

Coop. Edilizia S. Antonio a r.l., Coop. Edilizia Umanitaria 80 a r.l., Coop. Edilizia Ladispoli 75, Coop. Edilizia Valle del Sole di Ladispoli, nella persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese dall’Avv. Giuseppe Lo Mastro, presso il quale elettivamente domiciliano, in Roma, Viale delle Milizie, n. 9, giusta procura in calce al controricorso.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA, n. 3198/2018, pubblicata il 15 maggio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/12/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 15 maggio 2018, la Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Suprema Corte, ha determinato le indennità dovute dal Comune di Ladispoli a Z.C. in Euro 49.040,00, quanto all’indennità di espropriazione, e in Euro 27.230,00, quanto all’indennità di occupazione, oltre accessori, disponendo il deposito presso il Servizio Gestione Depositi del Ministero dell’Economia e Finanze delle somme liquidate, previa detrazione di quelle già corrisposte.

2. I giudici di secondo grado, disposta una nuova consulenza tecnica d’ufficio, hanno determinato le indennità di esproprio e di occupazione, tenuto conto della destinazione del fondo alla realizzazione di un programma di edilizia economica e popolare e con applicazione del metodo analitico, in mancanza di documentazione utilizzabile ai fini del metodo sintetico-comparativo, non potendo esservi nel giudizio di rinvio produzione alcuna, trattandosi di giudizio chiuso.

3. La Corte territoriale, inoltre, per quel che rileva in questa sede, ha disatteso espressamente i rilievi del consulente di parte del Comune sulla superficie del fondo espropriato e sulla sottostima dei costi posti dal consulente d’ufficio a fondamento dei propri calcoli.

4. Il Comune di Ladispoli ricorre in Cassazione con atto affidato a cinque motivi.

5. Z.C. resiste con controricorso, chiedendo la condanna del Comune ricorrente ex art. 96 c.p.c., comma 3.

6. Le società Coop. Edilizia S. Antonio a r.l., Coop. Edilizia Lasispoli 80 a r.l., Coop. Edilizia Ladispoli 70, Coop. Edilizia Valle del Sole di Ladispoli depositano controricorso, con il quale hanno aderito alle difese del Comune di Ladispoli.

7. Il Comune di Ladispoli e Z.C. hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione ex art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte d’appello escluso il metodo sintetico comparativo sull’errato presupposto che il giudizio in sede di rinvio dovesse considerarsi “chiuso” e sulla base di inesistenti preclusioni processuali, quanto sopra peraltro in un contesto in cui già dallo stesso piano di edilizia economica e popolare era sicuramente desumibile la presenza di dati per un confronto comparativo.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di diritti e facoltà attribuiti alle parti processuali in sede di rinvio a seguito dell’annullamento di una sentenza di primo grado (artt. 183 e 115 c.p.c., art. 111 Cost.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte d’appello errato a ritenere chiuso il giudizio di rinvio, in presenza di controversie decise in primo ed unico grado dalla Corte d’appello, con la conseguenza che le parti mantenevano la facoltà di produrre documenti non prodotti all’atto di costituzione in giudizio, ovvero successivamente venuti ad esistenti, come ad esempio la sentenza della prima sezione civile della Corte d’appello n. 5798 del 2017, passata in giudicato; che il valore dei terreni desumibili dalla accettazione e dalla cessione bonaria che era intervenuta con alcuni proprietari dei terreni interni al piano di zona ***** poteva costituire un parametro di riferimento “a portata di mano”.

2.1 I motivi, che vanno trattati insieme perché connessi, sono infondati.

2.2 E’ principio consolidato di questa Corte che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass., 14 gennaio 2020, n. 448) e che la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (Cass., 8 novembre 2013, n. 25244).

A tali principi si aggiunge quello secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (Cass., 19 febbraio 2018, n. 3955).

Parimenti consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass., 14 gennaio 2020, n. 448, citata; Cass., 7 agosto 2014, n. 17790).

2.3 Si tratta di principi che trovano applicazione anche nel caso in esame, avendo, peraltro, questa Corte affermato, con un orientamento pressoché costante e qui condiviso (cfr. Cass., 27 aprile 2017, n. 10446; Cass., 9 novembre 2016, n. 22844; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1587) che l’opposizione alla stima dell’indennità introduce un ordinario giudizio sul rapporto (e non si configura come un giudizio d’impugnazione dell’atto amministrativo e non si esaurisce nel mero controllo delle determinazioni adottate in sede amministrativa), diretto a stabilire il quantum dell’indennità, effettivamente dovuto, nel quale il giudice compie la valutazione in piena autonomia, nei limiti del principio della domanda, sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili ed indipendentemente non solo dalle deduzioni delle parti al riguardo, ma anche dai criteri seguiti dall’espropriante nel formulare l’offerta dell’indennità provvisoria, nonché da quelli adottati nel compiere la stima dall’organo a tanto deputato.

2.4 I motivi, tuttavia, sono anche infondati, perché, questa Corte ha ritenuto, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, regola conclusiva, non più contestata, quella che stabilisce che “rientra tra i compiti del giudice di merito stabilire se sussistono gli elementi occorrenti per la ricerca del presumibile valore comparativo dell’area; e se privilegiare quest’ultimo metodo, ovvero i criteri di stima cosiddetti analitici – ricostruttivi e che, in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili, la determinazione del valore del fondo può essere effettuata tanto con metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell’immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo, non potendosi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, e restando pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività” (Cass., 22 marzo 2013, n. 7288; Cass., 18 maggio 2007, n. 11643; Cass. 15 febbraio 2005, n. 3034). 2.5 Con la conseguenza che, come affermato da questa Corte, nella sentenza n. 4212 del 2012, è il giudice di rinvio che deve provvedere, avvalendosi dell’ausilio del consulente tecnico d’ufficio, al relativo accertamento, che ove venga in particolare utilizzato il criterio sintetico comparativo dovrà tener conto di tutto il complesso delle condizioni sopra indicate ed apprezzate dal mercato immobiliare che in base alla destinazione urbanistica della zona in cui l’immobile è compreso (e solo di essa) possano incidere sulla sua edificabilità di fatto ed indurre alla determinazione del suo effettivo valore venale; mentre, ove venga prescelto il metodo analitico ricostruttivo, diretto ad accertare il valore di trasformazione del suolo edificabile, dovrà considerare anzitutto la densità volumetrica esprimibile in base agli indici di fabbricabilità della zona omogenea in cui è incluso, al netto degli spazi assegnabili a standards, nonché delle spese di urbanizzazione relative alle opere che, poste in essere dall’amministrazione, assicurano l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area (cfr. pag. 7 della sentenza richiamata).

2.6 La sentenza impugnata si è attenuta a tali principi, poiché ha affermato che il Consigliere istruttore, nell’ordinanza del 7 febbraio 2013, con la quale era stata disposta una nuova consulenza tecnica, aveva stabilito che la valutazione da parte dell’esperto avrebbe dovuto essere effettuato in base al metodo analitico, tenuto conto dell’assenza di documentazione utilizzabile ai fini del metodo sintetico e non potendo esservi nel giudizio di rinvio produzione alcuna, trattandosi di giudizio chiuso.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione, errata applicazione ed errata interpretazione delle norme e dei principi che disciplinano l’acquisizione di immobili con decreto di esproprio (D.P.R. n. 327 del 2001) e non consentono il trasferimento di diritti reali non espressamente previsti nel provvedimento espropriativo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato la Corte d’appello a ritenere che erano state omesse materialmente nel decreto di esproprio le particelle ***** e che tale omissione meramente materiale non inficiava il concreto assoggettamento alla procedura di esproprio della maggiore superficie di mq. 3.501 individuata dal consulente tecnico d’ufficio.

3.1 Il motivo è infondato, pur non potendosi condividere interamente, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata, che va pertanto corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., risultando il dispositivo conforme al diritto.

3.2 Questa Corte, infatti, con la sentenza n. 4212 del 2012, aveva accolto il primo motivo del ricorso principale, nonché i ricorsi incidentali delle Cooperative ed aveva respinto il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale dello Z., avuto riguardo alla dedotta estensione del terreno pari a mq. 3.500 circa, non oggetto di alcuna censura, avendo il Comune ricorrente, con il primo motivo, formulato specifiche doglianze sull’errata valutazione della disciplina dei terreni oggetto di edilizia residenziale pubblica e sul conseguente effettivo valore di mercato, oltre che sul criterio sintetico comparativo utilizzato dal consulente tecnico d’ufficio.

3.3 In proposito, vanno richiamati i principi affermati da questa Corte secondo cui “in tema di giudizio di rinvio, il principio della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza, ancorché non dedotte o rilevate in quel giudizio, sicché il giudice di rinvio non può prendere in esame neppure la questione concernente l’esistenza di un giudicato esterno o (come nella specie) interno, qualora l’esistenza di quest’ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio” (Cass., 30 luglio 2015, n. 16171) e che “in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità” (Cass., 22 agosto 2018, n. 20887).

3.4 La Corte territoriale ha, quindi, errato laddove ha affermato che le particelle ***** erano state omesse nel decreto di esproprio per una mera omissione materiale, dando specifico rilievo al concreto assoggettamento alla procedura di esproprio della maggiore superficie di mq 3.501 individuata dal consulente tecnico d’ufficio, ovvero nell’affermare che le particelle ***** erano state effettivamente utilizzate per la sede stradale del comparto.

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano l’efficacia delle sentenze passate in giudicato (art. 2909 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Corte d’appello tenuto conto del proprio giudicato e, in particolare, della sentenza n. 5798 del 15 settembre 2017, nella controversia promosso dai signori C. e D.P., nella quale l’oggetto del giudizio e le questioni esaminate erano identiche.

4.1 Il motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza della censura sollevata, stante che nel giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’inesistenza del giudicato esterno deve, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Cass., 19 agosto 2020, n. 17310).

5. Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi che nella determinazione della indennità di espropriazione non prevedono un aumento del valore dei beni espropriati relativo a costi di opere di urbanizzazione posti a carico di soggetti assegnatari del diritto di superficie (L. n. 865 del 1971, art. 35, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato la Corte d’appello includendo, come valore aggiunto la quota di costi addebitati alle Cooperative assegnatarie del diritto di superficie per le opere di urbanizzazione e per i servizi posti a loro carico, ovvero l’aumento di valore per costi sostenuti dall’ente espropriante e/o da terzi beneficiari del diritto di superficie.

5.1 Il motivo è inammissibile per la novità della questione dedotta, che non risulta dal provvedimento impugnato, rilevandosi, sul punto, il ricorso privo di autosufficienza perché non rispettoso del noto principio secondo cui “Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio” (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).

5.2 Invero, la Corte d’appello, a pag. 3, della sentenza impugnata, con riferimento ai “costi posti dall’esperto a fondamento dei propri calcoli”, l’unica censura che riferisce essere stata sollevata dal consulente di parte del Comune ricorrente riguarda il fatto che detti costi sarebbero stati sottostimati.

6. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il Comune ricorrente e le società cooperative vanno condannati, in via solidale, al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente Z.C. e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento 7. Va rigettata la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, formulata dal controricorrente Z.C., che configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabili, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale, perché la sua applicazione richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass., 15 febbraio 2021, n. 3830), nel caso di specie assente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Ladispoli e le società cooperative Coop. Edilizia S. Antonio a r.l., Coop. Edilizia Umanitaria 80 a r.l., Coop. Edilizia Ladispoli 76, Coop. Edilizia Valle del Sole di Ladispoli, in via solidale, al pagamento, in favore del controricorrente Z.C., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del Comune ricorrente e delle società cooperative, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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