LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15413-2017 proposto da:
S.B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO PICCININI;
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati DONATELLA MORAGGI, LAURA DAMIANI che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 123/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/04/2017 R.G.N. 670/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.
PREMESSO che:
1. Il Tribunale di Bologna, pronunciando sul ricorso proposto da S.B.G. nei confronti dell’INAIL, ha ritenuto la natura subordinata del rapporto conseguente a otto contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati nel periodo 10 gennaio 2006 – 30 gennaio 2013 per la realizzazione di progetti di bioingegneria presso il *****; con la condanna dell’Istituto al pagamento delle differenze tra quanto versato al ricorrente e la somma che questi avrebbe avuto diritto di percepire quale lavoratore subordinato.
2. La Corte di appello di Bologna, con la sent. n. 123/2017, pubblicata il 26 aprile 2017, ha, diversamente dal primo giudice, ritenuto nella specie insussistente la subordinazione, avuto riguardo alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, come desumibili da una rilettura del materiale probatorio.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ing. S., con tre motivi, cui ha resistito l’INAIL con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RILEVATO
che:
5. Con il primo motivo, deducendo la violazione dell’art. 2094 c.c., in combinato disposto con l’art. 2126 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso la natura subordinata del rapporto a causa del difetto di “etero-direzione” (e cioè di direttive penetranti e controlli assidui sul lavoro svolto, oltre che di esercizio del potere disciplinare): così, tuttavia, omettendo di considerare l’inserimento stabile e continuativo del prestatore nell’organizzazione produttiva altrui, la mancanza di capitale e di mezzi propri, la destinazione del risultato della prestazione all’esclusivo interesse del soggetto organizzatore e cioè trascurando di valutare gli indici elaborati dalla giurisprudenza ai fini del riconoscimento della subordinazione nelle attività ad elevato contenuto intellettuale.
6. Con il secondo motivo, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, e art. 61, e la mancata applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 7 e 36, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la legittimità dei successivi otto contratti di collaborazione coordinata e continuativa sulla base delle prime due norme, peraltro non estensibili alla pubblica amministrazione, e mancando invece di applicare le altre due, nonostante che i contratti fossero stati stipulati con espresso richiamo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, e il ricorrente avesse fatto specificamente rilevare, tanto in primo come in secondo grado, la violazione di quest’ultima norma.
7. Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole dell’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni formulata in via subordinata nelle conclusioni di primo e di secondo grado e motivata D.Lgs. n. 165 del 2001, ex artt. 7 e 36.
Ritenuto che:
8. Deve essere disattesa l’istanza di rimessione alla pubblica udienza, formulata da parte ricorrente.
8.1. Le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito, con la recente pronuncia n. 14437 del 2018, che nel giudizio di cassazione la rimessione di una causa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale prevista nell’art. 380-bis.1. c.p.c., è ammissibile in applicazione analogica dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3, rientrando la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza – e, in particolare, della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta – nella discrezionalità del collegio giudicante, che ben può escluderne la ricorrenza in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie.
8.2. Il caso in esame non presenta alcun tratto di novità rispetto alla giurisprudenza formatasi sulle questioni di diritto coinvolte dal giudizio, come verrà di seguito esposto con riguardo all’esame dei motivi.
9. Il primo motivo è infondato.
10. La Corte di appello, esaminate le risultanze istruttorie, ha rilevato come i collaboratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa non fossero tenuti al rispetto di un orario che non fosse quello di operatività del Centro; come fosse una prassi per i collaboratori di comunicare le assenze “per questione di coordinamento”, ma senza che vi fosse un obbligo in tal senso, e come egualmente per le ferie fosse richiesta soltanto una comunicazione, anche in questo caso per esigenze di semplice coordinamento, ma senza necessità di preventiva autorizzazione; come i collaboratori ricevessero il badge “per muoversi in sicurezza nel centro”, esclusa altra e diversa finalità e, in particolare, quella di predisporre uno strumento di controllo della prestazione.
11. La Corte ha poi valutato la circostanza che il ricorrente prestasse la propria attività nei locali dell’INAIL e utilizzando strumenti di lavoro di proprietà dell’Istituto, osservando, tuttavia, che la stessa non poteva costituire un elemento dissonante rispetto al contratto stipulato, per la necessità di coordinamento dell’attività del collaboratore con quella del committente e per l’elevato costo delle apparecchiature utilizzate in ipotesi di prestazioni accentuatamente tecniche e intellettuali, come quelle rese dall’ing. S. (cfr. sent. impugnata, p. 4).
12. La Corte ha infine esaminato, ai fini di un’eventuale qualificazione del rapporto come di natura subordinata, la valenza della partecipazione del ricorrente ad attività estranee al contenuto dei progetti di volta in volta pattuiti, concludendo per la genericità delle dichiarazioni rese sul punto da uno dei testimoni escussi e osservando, sulla base delle dichiarazioni di altro teste, come l’iniziativa della prestazione ulteriore provenisse dal medesimo ing. S., “come d’altronde pienamente ragionevole alla luce della natura estremamente tecnica e specializzata degli studi dallo stesso svolti rispetto ai quali la ricerca proseguita nella collaborazione con l’INAIL costituisce la naturale evoluzione” (cfr. P. 5).
13. Sulla scorta della “valutazione integrata delle risultanze istruttorie acquisite” la Corte di appello ha quindi conclusivamente affermato come “non possa ritenersi positivamente acquisito che il concreto atteggiarsi del rapporto di collaborazione abbia avuto modalità subordinate”.
14. Il fatto che la Corte abbia poi rilevato che “non risulta in alcun modo che il lavoratore fosse assoggettato a direttive stringenti ovvero ad un controllo puntuale da parte del datore di lavoro, ovvero che fosse assoggettato al potere disciplinare di quest’ultimo” (cfr. ancora p. 4), non esclude, tuttavia, che la stessa, avendo ben presente la peculiarità del caso concreto, abbia compiuto un accertamento specificamente allineato alla nozione di subordinazione attenuata, come emerge dal complessivo iter argomentativo (ove una valutazione globale dei diversi indici fattuali offerti dalla ricostruzione del rapporto) e dall’attenzione ripetutamente posta sull’elevato livello tecnico-professionale dell’attività svolta dal ricorrente.
15. E’ stato invero affermato da questa Corte che “Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come di lavoro subordinato il rapporto intercorso tra una insegnante di scuola privata e l’istituto ove essa insegnava, attraverso l’individuazione di rilevanti indici sintomatici, quali l’assoggettamento del lavoratore al potere di coordinamento e disciplinare del datore di lavoro, il suo inserimento nell’organizzazione aziendale, la fissazione dell’orario di lavoro e degli orari delle attività ausiliarie da parte del datore di lavoro, l’obbligo del rispetto dei programmi di insegnamento ministeriali, e la svalutazione, invece, dell’importanza della espressione formale della volontà contrattuale, riportata nella sottoscrizione di un modulo a stampa ove il rapporto veniva definito come autonomo)”: Cass. n. 9252 del 2010; conforme Cass. n. 6224 del 2004.
16. E’ stato altresì più volte affermato che “In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con una continuità regolare, anche negli orari, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato oppure autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – accordando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto”: Cass. n. 5886 del 2012; negli stessi termini, fra molte, Cass. n. 14573 del 2012.
17. A tali principi risulta essersi attenuta la Corte di merito nella sentenza impugnata, la quale – come già sopra rilevato – ha effettuato un’ampia e approfondita ricognizione delle caratteristiche del rapporto, quale concretamente sviluppatosi, ed esaminato in dettaglio i possibili indici di una sua eventuale subordinazione: indagine che ha, tuttavia, reso evidente la mancanza di qualsivoglia obbligo o vincolo per il collaboratore in ordine a orario, assenze e ferie, che non fosse collegato ad esigenze di naturale coordinamento con gli scopi della struttura, e più in generale l’assenza di mezzi di controllo dell’attività dallo stesso prestata, di cui viene, inoltre, sottolineata la natura estremamente tecnica e specializzata e il suo porsi come naturale evoluzione di specifiche ricerche universitarie.
18. La sentenza, pertanto, resiste alle critiche che con il motivo in esame le sono rivolte; risultano altresì manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale nei termini posti dal ricorrente nella propria memoria.
19. Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento.
20. Esso infatti, e in primo luogo, difetta di sufficienti allegazioni circa il carattere abusivo della successione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa oggetto del presente giudizio, né tale carenza di specificità è sostanzialmente superata mediante gli ulteriori apporti argomentativi contenuti nella memoria ex art. 380-bis.
21. In ogni caso, il motivo è infondato.
22. Al riguardo si deve richiamare il principio per il quale “In tema di pubblico impiego privatizzato, qualora la P.A. faccia ricorso a successivi contratti formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa e il lavoratore ne alleghi l’illegittimità anche sotto il profilo del carattere abusivo della reiterazione del termine, il giudice è tenuto ad accertare se di fatto si sia instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato e a riconoscere al lavoratore, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge per la reiterazione, il risarcimento del danno, alle condizioni e nei limiti necessari a conformare l’ordinamento interno al diritto dell’Unione Europea” (Cass. n. 10951 del 2018; conforme Cass. n. 29779 del 2018).
23. La motivazione della sentenza impugnata, pur nell’assenza di riferimenti al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, risulta comunque compatibile con le previsioni di tale norma, avendo la Corte territoriale accertato la specificità dei progetti di cui ai contratti, peraltro neppure oggetto di discussione fra le parti (cfr. sentenza, p. 3), e il carattere altamente specialistico della collaborazione richiesta all’ing. S., idonea a giustificare l’affidamento degli incarichi a personale esterno all’Istituto e la temporaneità degli stessi.
24. Quanto al terzo motivo, non è configurabile il denunciato vizio di omessa pronuncia in relazione alle domande risarcitorie connesse alla illegittimità dell’intercorso rapporto di collaborazione, dovendosene ritenere l’implicito rigetto, in ragione della sancita legittimità di tale collaborazione.
25. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
26. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022