LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15362-2016 proposto da:
A.R.E.A. AZIENDA REGIONALE PER L’EDILIZIA ABITATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE, 104, presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSANNA PATTA;
– ricorrente principale –
contro
C.P.I.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati GUIDO RIMINI, CESARE BOSCHI;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
E contro
A.R.E.A. AZIENDA REGIONALE PER L’EDILIZIA ABITATIVA;
– ricorrente principale – controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 61/2015 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 14/12/2015 R.G.N. 229/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/12/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.
RILEVATO
che:
Con sentenza del 19 ottobre 2015, la Corte d’Appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda avanzata da C.P.I.A. nei confronti dell’Azienda Regionale Edilizia Abitativa (A.R.E.A.) condannando l’Azienda a corrispondere alla lavoratrice la somma di Euro 2.101,68 quali differenze retributive corrispondenti alla differenza di inquadramento, nell’anno 2005, tra la categoria D3 e la categoria D4 del C.C.R.L. Regione Sardegna, respingendo le ulteriori doglianze avanzate avverso la decisione di primo grado;
in particolare, la Corte ha evidenziato che la Dott.ssa C., dipendente del Comune di *****, con inquadramento nella posizione economica 194 del CCNL Regioni – Enti locali, avvalendosi delle procedure di mobilità interna, era transitata con decorrenza 16 settembre 2002, alle dipendenze dello I.A.C.P. e che il Comune aveva informato che, con decorrenza 1.1.2002, la ricorrente era stata inquadrata in posizione economica D5;
erroneamente, quindi, non era stata riconosciuta alla lavoratrice la progressione orizzontale in quanto tale diritto avrebbe potuto essere negato soltanto ove la mobilità fosse intervenuta prima della decorrenza della progressione orizzontale;
per la cassazione della sentenza propone ricorso A.R.E.A., affidandolo a quattro motivi;
resiste, con controricorso, C.P.I.A. e spiega, altresì, ricorso incidentale affidato ad un motivo.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo nonché violazione del CCNL Enti locali, art. 27;
con il secondo motivo si allega ancora la violazione della medesima norma contrattuale nonché della L.R. Sardegna n. 31 del 1998, artt. 31 e 47, nonché del D.P.R. n. 268 del 1987, art. 69, oltre che degli artt. 2697, 115 e 414 e 416 c.p.c.;
con il terzo motivo si deduce la violazione della L.R. Sardegna n. 31 del 1998, artt. 31 e 47, nonché del D.P.R. n. 268 del 1987, art. 69;
con il quarto motivo (rubricato come V) si deduce la violazione del CCNL 14 settembre 2000, art. 27, e della L.R. Sardegna n. 31 del 1998, art. 47, comma 9-ter;
tutti e quattro i motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, non possono trovare accoglimento;
relativamente alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., va osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar modo in quanto, pur veicolando parte p ricorrente la censura per il tramite della violazione di legge, essa, in realtà mira ad ottenerci) una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;
quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre evidenziare che, secondo ciò che è stato statuito recentemente dalle Sezioni Unite, per la violazione delle disposizioni che presiedono all’ammissione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre anche che una violazione dell’art. 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960); con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, va rilevato, invero, che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 – che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”- al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017; si veda altresì, quanto statuito da SU n. 8053 del 2014);
appare evidente, dalla piana lettura del ricorso introduttivo, che pur veicolando parte ricorrente le proprie censure per il tramite della violazione di legge o del vizio di motivazione, mira, in realtà, ad una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali che deve ritenersi inammissibile in sede di legittimità;
deve aggiungersi a ciò che parte ricorrente nel porre in discussione, attribuendole rilievo, alla circostanza dell’assenza, nell’ambito dello I.A.C.P., di un Ufficio Avvocatura, in quanto soppresso presso la sede di Sassari, non si confronta con la decisione di secondo grado nella parte in cui ha accolto, ritenendole fondate, le doglianze della ricorrente esclusivamente per essere stata negata alla stessa la progressione orizzontale spettantele in quanto maturata prima dell’espletamento della procedura volontaria di mobilità dall’I.A.C.P. ad A.R.E.A.: tale progressione risultava del tutto svincolata dalla presenza di uno stabile Ufficio Legale;
deve, infine, puntualizzarsi, riguardo al quarto motivo (si ripete, rubricato come quinto) che non può parlarsi di omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla dedotta mancata pronunzia circa la compensazione delle some eventualmente accertate come dovute dall’Azienda con gli emolumenti percepiti dalla C. a titolo di retribuzione di risultato; le cesure, invero, oltre ad essere inammissibilmente formulate in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale, nella misura in cui ha ritenuto che detti emolumenti fanno parte della retribuzione del dipendente che svolga per l’Ente l’attività di avvocato tanto è vero che sostituiscono le retribuzioni di risultato se superiori ad esse o vengono integrate se inferiori;
va quindi, escluso che ci si trovi di fronte ad una omessa pronunzia per come descritta da parte ricorrente che pur in rubrica deduce una omessa motivazione su un fatto decisivo in ordine alla quale, comunque, vanno ribaditi i limiti anzidetti inerenti alla censurabilità in cassazione del vizio di motivazione (sul punto, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017; si veda altresì, quanto statuito da SU n. 8053 del 2014);
deve, pertanto, concludersi che parte ricorrente non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso principale deve essere respinto;
con l’unico motivo di ricorso incidentale, si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. quanto al principio di non contestazione, assumendosi che, con riguardo alle somme riscosse dall’Ente ed ai relativi emolumenti spettanti alla lavoratrice, non essendovi contestazione dell’Azienda, erroneamente la Corte abbia ritenuto che, a fronte di una richiesta di circa 11.000,00 Euro, in assenza di contestazione specifica di ciascuna somma, dovesse riconoscersi il pagamento di almeno la metà essendo i provvedimenti di cui all’elenco depositati e muniti di formula esecutiva, talché doveva reputarsi presumibile che almeno metà delle somme fossero state riscosse;
orbene, premesso che la motivazione della Corte era volta a neutralizzare la pretesa della Azienda e non atteneva alla richiesta della lavoratrice, va rilevata la incensurabilità del percorso argomentavo seguito dal giudice di secondo grado atteso che lo stesso è giunto a reputare dimostrata l’acquisizione di determinati emolumenti da parte dell’Ente in base ad un ragionamento fondato sull’id plerumque accidit non avendo rilievo la contestazione delle somme quanto, a monte, la ritenuta sussistenza dell’an circa la percezione delle somme (risultanti da titoli esecutivi indicati nell’elenco prodotto dalla ricorrente) aspetto, questo, sul quale non incide la assenza di contestazione venendosi su una valutazione inerente lo stesso diritto vantato da parte ricorrente;
tale valutazione, immune da vizi logici, non può essere oggetto di nuovo esame in sede di legittimità;
alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, anche il ricorso incidentale deve essere respinto;
la reciproca soccombenza induce alla compensazione integrale delle spese di lite;
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 -bis, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022
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