LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7850-2016 proposto da:
I.S.P.O. – ISTITUTO PER LO STUDIO E LA PREVENZIONE ONCOLOGICA, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 18, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO RICHIELLO, rappresentato e difeso all’avvocato PAOLO STOLZI;
– ricorrente –
contro
B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 34, presso lo studio dell’avvocato FABIO PIACENTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA VERGINE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 603/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/10/2015 R.G.N. 854/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/11/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Firenze, adita da B.R., dirigente medico in servizio presso l’IPSO – Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica -, in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, ha respinto l’opposizione proposta dall’IPSO avverso il decreto ingiuntivo, chiesto ed ottenuto dalla B., la quale aveva agito in via monitoria per ottenere il pagamento della somma di Euro 36.307,50 richiesta a titolo di compensi per prestazioni di attività professionale rese in regime di intramoenia nel periodo luglio 2008/novembre 2009;
2. la Corte territoriale, rilevato che il giudice di prime cure aveva accolto l’opposizione valorizzando la mancanza di una espressa e formale autorizzazione, ha ritenuto non condivisibili dette conclusioni in quanto non era stata contestata l’attività consistita nella lettura diagnostica di esami radiografici in regime di convenzione con soggetti terzi, pubblici e privati, né era stato contestato che le prestazioni fossero state rese al di fuori dell’orario di servizio;
3. ha aggiunto che risultava per tabulas l’avvenuto incasso dagli enti terzi di compensi per l’attività svolta dall’equipe, attività che, iniziata prima del trasferimento delle funzioni dal CSPO – Centro Studi per la Prevenzione Oncologica – all’IPSO, era proseguita dopo il passaggio sicché doveva essere compensata anche in assenza di formale autorizzazione;
4. per la cassazione della sentenza l’IPSO ha proposto ricorso sulla base di due motivi ai quali ha opposto difese B.R. con controricorso, illustrato da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;
5. per la parte ricorrente ha depositato memoria l’ISPRO – Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica -, che ha precisato di avere assunto la nuova denominazione dopo avere incorporato ai sensi della L.R. Toscana n. 74 del 2017, art. 1, l’Istituto Toscano Tumori.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso l’Istituto denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e, richiamata la produzione documentale, evidenzia, in sintesi, che la Corte territoriale, nel ritenere che l’attività libero professionale fosse stata svolta in continuità con il regime pregresso, non ha in alcun modo considerato né la specifica regolamentazione adottata dall’Istituto né la tardiva richiesta di autorizzazione presentata dalla B. solo il 16 aprile 2009;
2. la seconda censura addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 4 e 15 quinquies, del D.Lgs. n. 254 del 2000, della L. n. 724 del 1994, art. 3, della L. n. 448 del 1998, art. 72, della L. n. 120 del 2007, del CCNL 8 giugno 2000, artt. da 54 a 57, per la dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale, del regolamento adottato dall’ISPO nonché della nota 29.8.2008;
2.1. sostiene l’istituto ricorrente che non poteva la Corte territoriale valorizzare unicamente circostanze di fatto e non tenere conto degli adempimenti imposti dal legislatore e dalle parti collettive ai fini del legittimo esercizio della libera professione intramuraria;
2.2. richiama il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale dal quale si desume che il pagamento di compensi ulteriori, in quanto di carattere eccezionale, è ammissibile solo a condizione che l’attività sia autorizzata e siano adottate tutte le misure necessarie a garantire la separazione con quella istituzionale;
3. il primo motivo è inammissibile perché la censura esula dai limiti posti dal riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, e confonde l’omesso esame del fatto, che la Corte territoriale ha valutato ed apprezzato, con l’omesso esame di documenti destinati a provare o smentire il fatto asseritamente decisivo;
3.1. le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 34476/2019 hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati in relazione alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ad opera del D.L. n. 83 del 2012 e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018, hanno evidenziato che:
a) il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;
b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;
d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
e) tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione;
3.2. quest’ultimo vizio, non riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, va denunciato ai sensi del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., e dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ed è ravvisabile solo qualora la carenza o la contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di un requisito essenziale della decisione;
3.3. è evidente che nella fattispecie, anche a voler ritenere non vincolante la formulazione della rubrica, la critica mossa alla sentenza impugnata non è sussumibile in alcuno dei due vizi in rilievo, perché i fatti storici sono stati esaminati dalla Corte territoriale, che ha ritenuto una sostanziale continuità del rapporto, svoltosi dapprima alle dipendenze del CSPO e poi proseguito con l’ISPO (ora ISPRO), e le affermazioni che si leggono nella sentenza impugnata, riassunte nello storico di lite, pur nella loro estrema sinteticità, non integrano il vizio motivazionale sussistente solo alle condizioni indicate nelle pronunce sopra richiamate;
4. e’, invece, fondato il secondo motivo;
4.1. occorre premettere che la L.R. Toscana n. 3 del 2008 (successivamente abrogata dalla L.R. Toscana n. 74 del 2017, ad eccezione del capo II, concernente la Gestione liquidatoria del Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica) ha istituito l’ISPO, espressamente qualificato dall’art. 1, comma 1, “ente del servizio sanitario regionale, dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile”;
4.2. contestualmente all’istituzione del nuovo ente il legislatore regionale ha dato avvio alla gestione liquidatoria del CSPO (art. 15), affidata ad un commissario straordinario, ed ha previsto, all’art. 19, che l’ISPO sarebbe subentrato al CSPO nei soli rapporti patrimoniali ed economici, ivi compresi quelli con il personale, individuati dalla Giunta Regionale con deliberazione da adottare entro il 30 giugno 2008, previa redazione da parte del Commissario di un piano di ricognizione della situazione patrimoniale ed economica del Centro (art. 14);
4.3. non si è verificata, pertanto, una successione a titolo universale dell’ISPO al CSPO, perché nella gestione liquidatoria sono confluite tutte le passività e le attività riferibili al CSPO nonché i rapporti relativi al contenzioso in corso, sia giudiziale che stragiudiziale (art. 15), e la successione è stata limitata solo ai rapporti espressamente previsti nella richiamata delibera di Giunta regionale;
5. VISPO, in quanto struttura pubblica inserita nel Servizio Sanitario Nazionale, è tenuto al rispetto delle disposizioni legislative che disciplinano le modalità di organizzazione del Servizio e, quanto ai rapporti di lavoro, all’applicazione della contrattazione collettiva di comparto nonché dei principi che regolano il rapporto dirigenziale, primo fra tutti quello di onnicomprensività della retribuzione, sancito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24;
5.1. al riguardo questa Corte ha già affermato, e l’orientamento consolidato va qui ribadito, che anche nella dirigenza medica il richiamato principio di onnicomprensività implica che le prestazioni, seppure eccedenti l’impegno ordinario, siano di norma destinate a rifluire nella disciplina della retribuzione per obiettivi, salvo che si tratti di “prestazioni aggiuntive”, specificamente previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva, come tali remunerabili ma solo in presenza delle condizioni richieste dalla fonte attributiva del diritto (cfr. Cass. n. 32264/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);
6. ciò premesso in linea generale va detto, quanto all’attività libero professionale intramuraria, che il legislatore, nell’intento di incentivare il rapporto di lavoro esclusivo e di potenziare, al tempo stesso, le capacità del sanitario, nell’interesse degli utenti e della collettività (così Corte Cost. n. 54/2015 alla cui motivazione si rinvia quanto alla ricostruzione della normativa succedutasi nel tempo), ne ha previsto lo svolgimento, ponendo specifici oneri a carico degli enti del servizio sanitario nazionale, ma ha anche dettato una serie di prescrizioni, volte principalmente ad impedire che l’intramoenia possa pregiudicare l’attività istituzionale;
6.1. non è possibile in questa sede esaminare in dettaglio la complessa normativa succedutasi nel corso degli anni e basterà, pertanto, sottolineare che il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 quinquies, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, dopo aver previsto al comma 2, le diverse tipologie di attività libero professionale, al comma 3 aggiunge “Per assicurare un corretto ed equilibrato rapporto tra attività istituzionale e corrispondente attività libero professionale e al fine anche di concorrere alla riduzione progressiva delle liste di attesa, l’attività libero professionale non può comportare, per ciascun dipendente, un volume di prestazioni superiore a quella assicurato per i compiti istituzionali. La disciplina contrattuale nazionale definisce il corretto equilibrio fra attività istituzionale e attività libero professionale nel rispetto dei seguenti principi: l’attività istituzionale è prevalente rispetto a quella libero professionale, che viene esercitata nella salvaguardia delle esigenze del servizio e della prevalenza dei volumi orari di attività necessari per i compiti istituzionali; devono essere comunque rispettati i piani di attività previsti dalla programmazione regionale e aziendale e conseguentemente assicurati i relativi volumi prestazionali ed i tempi di attesa concordati con le equipe; l’attività libero professionale è soggetta a verifica da parte di appositi organismi e sono individuate penalizzazioni, consistenti anche nella sospensione del diritto all’attività stessa, in caso di violazione delle disposizioni di cui al presente comma, o di quelle contrattuali.”;
6.2. il D.L. n. 223 del 2006, art. 22 bis, ha affidato alle Regioni il compito di controllare le modalità di svolgimento dell’attività intramuraria, stabilendone limiti quantitativi, e la L. n. 120 del 2007, art. 1, comma 5, ha imposto agli enti del servizio sanitario nazionale di predisporre un piano aziendale sul funzionamento delle singole unità operative e sui volumi da assegnare rispettivamente all’attività istituzionale ed a quella libero professionale (Ogni azienda sanitaria locale, azienda ospedaliera, azienda ospedaliera universitaria, policlinico universitario a gestione diretta ed IRCCS di diritto pubblico predispone un piano aziendale, concernente, con riferimento alle singole unità operative, i volumi di attività istituzionale e di attività libero-professionale intramuraria. Le medesime aziende, policlinici ed istituti assicurano adeguata pubblicità ed informazione relativamente ai piani, con riferimento, in particolare, alla loro esposizione nell’ambito delle proprie strutture ospedaliere ed all’informazione nei confronti delle associazioni degli utenti, sentito il parere del Collegio di direzione di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 17, e successive modificazioni, o, qualora esso non sia costituito, della commissione paritetica di sanitari di cui al presente art., comma 4. Tali informazioni devono in particolare riguardare le condizioni di esercizio dell’attività istituzionale e di quella libero-professionale intramuraria, nonché i criteri che regolano l’erogazione delle prestazioni e le priorità di accesso.);
6.3. analogamente la contrattazione collettiva ha dettato articolate disposizioni con le quali si è precisato, per quel che rileva in questa sede, che: a) le modalità di svolgimento dell’attività libero professionale intramuraria sono disciplinate dalle aziende nel rispetto dei criteri generali previsti dalle parti collettive; b) l’esercizio dell’attività professionale intramuraria non deve essere in contrasto con le finalità e le attività istituzionali dell’azienda e lo svolgimento deve essere organizzato in modo tale da garantire l’integrale assolvimento dei compiti di istituto e da assicurare la piena funzionalità dei servizio; c) a tal fine, l’attività libero professionale intramuraria non può globalmente comportare, per ciascun dirigente un volume di prestazioni o un volume orario superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali; d) l’azienda negozia in sede di definizione annuale di budget, con i dirigenti responsabili delle e’quipes interessate, nel rispetto dei tempi concordati, i volumi di attività istituzionale che devono essere comunque assicurati in relazione alle risorse assegnate e concorda con i singoli dirigenti e con le equipes interessate i volumi di attività libero-professionale intramuraria che, comunque, non possono superare i volumi di attività istituzionale assicurati, prevedendo appositi organismi paritetici di verifica ed indicando le sanzioni da adottare in caso di violazione di quanto concordemente pattuito (art. 54 CCNL 8 giugno 2000);
6.4. Il CCNL 3 novembre 2005, art. 4, per l’area della dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale ha, poi, riservato alla contrattazione collettiva integrativa i “criteri generali per la definizione dell’atto di cui al CCNL 8 giugno 2000, art. 54, comma 1, I biennio economico (attività libero professionale intramuraria dei dirigenti medici) per la disciplina e l’organizzazione dell’attività libero professionale intramuraria nonché per l’attribuzione dei relativi proventi ai dirigenti interessati”;
6.5. prescrizioni non dissimili sono state dettate dal D.P.C.M. 27 marzo 2000, che, all’art. 8, ha ribadito la necessità dell’atto aziendale, da adottare previo confronto con le organizzazioni sindacali, al fine di stabilire i limiti minimi e massimi delle prestazioni nonché le modalità di attribuzione dei compensi (sul punto si rinvia anche alle motivazioni di Cass. n. 22692/2018 e Cass. n. 32264/2019);
7. dal complesso delle disposizioni normative e contrattuali sopra richiamate si ricava che l’attività libero professionale intramuraria in tanto può essere svolta e retribuita, in quanto sia resa nel rispetto delle condizioni sopra richieste, sicché ha sicuramente errato la Corte territoriale nel valorizzare circostanze di mero fatto, che non assumono rilievo nella fattispecie, sia in ragione della diversità del soggetti giuridici coinvolti (si è già detto dell’autonomia dell’ISPO rispetto al CSPO) sia in considerazione della necessaria negoziazione annuale dei limiti prestazionali nonché dell’imprescindibilità delle ulteriori condizioni alle quali è subordinata la corresponsione del compenso;
8. in accoglimento del secondo motivo di ricorso, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, da condurre nel rispetto del principio di diritto enunciato nel punto che precede e tenendo conto del complessivo quadro normativo e contrattuale;
9. al giudice del rinvio è anche demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
10. non sussistono le condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022
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