LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27536-2015 proposto da:
CONSORZIO DI GESTIONE E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE DEI LIQUAMI IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO CONTI ROSSINI 13, presso lo studio dell’avvocato IVAN CANELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI TREMANTE;
– ricorrente –
contro
G.F. e C.A., in qualità di eredi di C.G., CA.GI., c.c., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PASQUALE STANISLAO MANCINI 2, presso lo studio dell’avvocato MICHELANGELO CAPUA, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO FELUCA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4136/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/06/2015 R.G.N. 6489/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stato accertato il diritto di C.G., c.c. e Ca.Gi., dipendenti del Consorzio di Gestione e Manutenzione degli Impianti di Depurazione dei liquami in liquidazione, al compenso per il prolungamento dell’orario di lavoro pari a 30 minuti per ogni giorno di effettiva fruizione dei buoni pasto, da quantificarsi in separato giudizio con riferimento al quinquennio precedente alla richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso il Consorzio di Gestione e Manutenzione degli Impianti di Depurazione dei liquami in liquidazione sulla base di tre motivi; gli intimati c.c. e Ca.Gi., nonché G.F. e C.A., questi ultimi due quali eredi di C.G., hanno resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8, di attuazione della Dir. n. 93/104/CE e della Dir. n. 2000/34/CE, in tema di diritto del lavoratore ad una pausa per la ipotesi di prestazione superiori al limite delle sei ore; evidenzia che in assenza di regolamentazione da parte del contratto collettivo il Consorzio, in conformità del dettato normativo, aveva comunque garantito ai propri dipendenti un lasso temporale per la consumazione del pasto giornaliero direttamente sul posto di lavoro, stabilendo dei turni tra i dipendenti medesimi; la sentenza impugnata si poneva in contrasto con la “citata normativa di legge contrattuale e collettiva” ritenendo irrilevante che in base all’organizzazione lavorativa in atto presso il Consorzio, ciascun dipendente avrebbe potuto ricavarsi una propria pausa per consumare il pasto; il contratto collettivo non contemplava alcun obbligo a carico della parte datoriale in merito alla istituzione di una turnazione mensa; la Corte di merito aveva errato nel trascurare la concreta indagine della situazione e porre a base della statuizione circostanze non provate documentalmente dai lavoratori né risultanti dagli atti;
2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 38 c.c.n.l., relativo al personale del Comparto Regioni ed Autonomie Locali 2000 applicato ai dipendenti del Consorzio, alla stregua del quale le prestazioni di lavoro straordinario sono dirette a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionale e non possono essere utilizzate come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro e devono essere autorizzate dal dirigente; tale ricostruzione evidenziava l’errore del giudice di merito in quanto o l’operato del Consorzio, il quale aveva garantito ai propri dipendenti una pausa di 30 minuti per la consumazione del pasto, pausa recuperata poi come orario normale era conforme al D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8, oppure il lavoro prestato in più in assenza di preventiva autorizzazione dirigenziale non era remunerabile;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., per avere ritenuto tale previsione idonea a fondare la pretesa dei dipendenti, in assenza dei relativi presupposti ed in particolare in assenza di una norma specifica di natura imperativa a tutela del lavoratore che sarebbe state violata;
4. il ricorso è infondato;
4.1. la sentenza impugnata ha ritenuto: a) essere pacifico che a seguito della introduzione del nuovo sistema sostitutivo del servizio mensa il Consorzio non aveva provveduto a predisporre i turni di sospensione dell’orario di lavoro pur essendone obbligato a mente del chiaro tenore della deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. ***** del ***** la quale statuiva che l’erogazione del buono pasto era subordinata al recupero della pausa pranzo, pari a 30 minuti, per ogni giorno di effettiva presenza e per l’intero turno lavorativo, demandando ai responsabili del servizio consortile il compito di disciplinare la pausa pranzo; b) che la mancata predisposizione dei turni di sospensione dell’orario di lavoro, a causa dell’inadempimento dell’impegno datoriale assunto con tale deliberazione, non aveva consentito ai lavoratori di fruire della pausa lavorativa nella misura concordata così determinando il venir meno della corrispettività tra pausa non lavorata e recupero della stessa, pacificamente richiesto a ciascun lavoratore nella misura di 30 minuti giornalieri; c) in tale contesto era irrilevante la circostanza che in base all’organizzazione lavorativa ciascun dipendente avrebbe potuto, al di fuori di qualsiasi disciplina e regolamentazione, con iniziativa unilaterale allontanarsi dal luogo di lavoro e dalla propria postazione per utilizzare una pausa al fine della consumazione del pasto, con il rischio di esporsi a rilievi disciplinari; d) la pretesa del Consorzio di recuperare la pausa pranzo era ingiustificata in quanto non corrispondente ad una regolare perché autorizzata e disciplinata – sospensione della prestazione;
5. tanto premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza delle censure articolate con le effettive ragioni della decisione. Il giudice di appello non nega, infatti, in linea di principio la possibilità accordata dal legislatore di prevedere la sospensione del lavoro per la fruizione della pausa, anche sul posto di lavoro, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, la cui collocazione deve tenere conto anche delle “esigenze tecniche del processo produttivo”, come previsto al D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8, comma 2, ma esclude che in concreto ciò sia avvenuto e tanto in ragione dell’inadempimento datoriale alla delibera del Consorzio, inadempimento concretatosi nella mancata predisposizione dei turni di sospensione del lavoro finalizzati ad assicurare ai lavoratori la fruizione della pausa pranzo; in altri termini, la decisione non riposa sulla esclusione, in contrasto con le richiamate discipline, della astratta possibilità di fruizione della pausa pranzo sul posto di lavoro, ma sul concreto accertamento, non incrinato dalle deduzioni del ricorrente, che il Consorzio non aveva in alcun modo dato seguito alla delibera che gli imponeva di disciplinare le modalità di fruizione della pausa pranzo e che tale fruizione non poteva essere rimessa all’iniziativa individuale del lavoratore, in quanto la interruzione del lavoro per l’effettuazione della pausa pranzo al di fuori di qualsiasi regolazione da parte del soggetto datore, avrebbe esposto il dipendente a conseguenze disciplinari;
6. il secondo motivo di ricorso è infondato; è vero che secondo la disposizione pattizia invocata dal ricorrente (di incontroversa applicazione al rapporto di lavoro in questione), lo svolgimento di prestazioni eccedenti l’orario d’obbligo non sarebbe da solo sufficiente a radicare il diritto alla retribuzione, altrimenti, si determinerebbe l’equiparazione del lavoro straordinario autorizzato con quello per il quale non è intervenuto alcun provvedimento autorizzativo, ma occorre considerare che nell’ipotesi in esame vi è stata la pretesa del Consorzio di recuperare l’orario di lavoro e cioè di prolungare l’orario di lavoro di trenta minuti nei giorni di effettiva fruizione dei buoni pasto; a fronte di tale pretesa vi era stata, dunque, una doverosità del comportamento dei lavoratori i quali, lungi dallo svolgere in fatto un’attività non rispondente ad alcuna necessità, si erano limitati ad adempiere ad una precisa richiesta datoriale;
7. il terzo motivo di ricorso è da respingere; l’accoglimento della pretesa dei lavoratori trova fondamento nel disposto dell’art. 2126 c.c., comma 2, che riconosce il diritto alla retribuzione in ipotesi di lavoro prestato in violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, norme che nello specifico sono rinvenibili, nell’art. 36 Cost., in tema di diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato, nell’art. 2094 c.c., in tema di naturale onerosità della prestazione di lavoro e nell’art. 2018 c.c., che riconosce il diritto in ipotesi di lavoro straordinario ad un aumento della retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario;
8. in base alle considerazioni che precedono e in continuità con la giurisprudenza di legittimità che si è già espressa in fattispecie analoga a quella in esame (Cass. n. 29946 del 2018), il ricorso deve essere respinto;
9. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza nella misura stabilita in dispositivo che, fermo lo scaglione di riferimento desumibile dal valore indeterminabile della causa, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, e successive modificazioni, tiene conto della non particolare complessità della (unica) questione giuridica trattata, del contenuto numero dei motivi di ricorso articolati dal Consorzio, della identità delle posizioni dei controricorrenti;
10. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022
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