LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31098-2020 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
C.A., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dagli avvocati ESTER DE VITA, ANTONIO RAPOLLA;
– controricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE *****;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1959/5/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA, depositata il 28/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 26/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI MAURA.
FATTO E DIRITTO
Considerato che:
Con sentenza nr. 1959/2020 la CTR della Campania, sez. distaccata di Salerno, rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTP di Avellino con cui era stato accolto il ricorso di C.A. avente ad oggetto l’intimazione di pagamento emesso sulla base di due cartelle.
Il giudice di appello rilevava che anche a voler ritenere fondato il primo motivo di gravame (“giacché la cartella è risultata legittimamente formata da Equitalia s.p.a. in data 17.1.2017 quando non si era ancora estinta, mentre la relativa notifica effettuata in data 31.1.2018 si mostra altrettanto legittimamente riconducibile all’ente che è allo stesso succeduto”) il secondo relativo alla ritualità della notifica delle cartelle non poteva essere accolto.
Osservava in questa prospettiva che la notifica era stata eseguita presso un indirizzo che in base al certificato storico prodotto dalla contribuente non poteva ritenersi corretta sicché non era operante la presunzione di conoscenza prevista dall’art. 1335 c.c.
Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone due motivi illustrati da memoria cui resiste con controricorso la contribuente.
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, motivazione apparente per aver ritenuto irrituale la notifica eseguita presso un indirizzo diverso da quello risultante dal certificato storico senza rispondere fornire alcuna risposta alla questione giuridica posta dall’Agenzia in merito alla correttezza della notifica eseguita presso il domicilio fiscale dichiarato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.
Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58,59 e 60, in relazione al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR dato rilievo ai fini della verifica della ritualità della notifica alla sola residenza anagrafica invece che al domicilio fiscale quale risultante dall’Anagrafe tributaria.
Il primo motivo è infondato.
Deve escludersi il difetto assoluto di motivazione, dedotto con il primo mezzo di ricorso, non essendo ravvisabile, in relazione alle statuizioni contenute nella decisione impugnata, alcuna anomalia motivazionale destinata ad acquistare significato e rilevanza alla stregua delle pronunce a Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 del 2014 e n. 22232 del 2016.
Considerato, infatti, che ricorre il vizio di motivazione meramente apparente allorquando il giudice omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione e di specificare ed illustrare le ragioni che sorreggono il decisum e l’iter logico seguito per pervenire alla pronuncia assunta, onde consentire di verificare se abbia giudicato iuxta alligata et probata, non può non rilevarsi che il giudice di appello ha compiutamente esplicitato il proprio iter argomentativo, esaminando in modo esaustivo i fatti oggetto di discussione e chiarendo le ragioni del suo convincimento.
Nella specie, anche in base alla stessa prospettazione del mezzo, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, né tanto meno che sia stata costruita in modo tale da rendere impossibile un controllo sulla esattezza del ragionamento decisorio e, quindi, tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., sez. 1, 30/06/2020, n. 13248).
La CTR ha infatti fornito una risposta coerente alla questione giuridica che le era stata posta la ritualità della notifica eseguita presso il luogo di residenza la cui attualità era stata accertata sulla base di interrogazioni effettuate dall’Ufficio. La doglianza fatta valere dall’Ufficio e riprodotta in ossequio al principio di autosufficienza non fa riferimento al domicilio fiscale D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 60.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto con la censura de qua l’Amministrazione finanziaria ha introdotto per la prima volta in sede di legittimità una deduzione nuova relativa alla prospettata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.
L’Ufficio, come si evince dal motivo riprodotto nell’atto di appello e come emerge dallo stesso testo della sentenza, affermava la correttezza della notifica facendo esclusivo riferimento all’indirizzo di residenza e quindi individuando come fonte l’anagrafe comunale che secondo la sua prospettazione sarebbe stata esattamente identificata nell’indirizzo di via ***** sulla base di informazione che aveva allegato agli atti.
Nessun cenno viene fatto al domicilio fiscale che era stato dichiarato dalla contribuente.
Va peraltro osservato che la prospettata elezione del domicilio presso l’indirizzo a cui sono state inviate le cartelle non è riscontrata sul piano probatorio costituendo una mera allegazione non potendosi riconoscere ad una schermata inerente la presunta elezione di domicilio predisposta unilateralmente alcuna valenza in tal senso.
Il ricorso va rigettato con il favore delle spese per la contribuente secondo il principio della soccombenza e liquidate in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4100,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022