LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11999/2016 R.G. proposto da:
D.P., rappresentato e difeso dall’Avv. FRANCESCO CATAPANO ed elettivamente domiciliato in Roma, via Livorno 61/a int.
7 presso MARIA OLGA CATAPANO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI BARLETTA ANDRIA TRANI, rappresentata e difesa dall’avv. COSIMO GUAGLIANONE, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. ANNAMARIA RIZZO in Roma, viale delle Milizie 96;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2988/2015 della Corte d’Appello di Bari, depositata il 9.2.2016, N. R.G. 1698/2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11.11.2021 dal Consigliere Dott. Belle’ Roberto;
RILEVATO
CHE:
1. la Corte d’Appello di Bari ha rigettato il gravame avverso la sentenza del Tribunale di Trani che a propria volta aveva disatteso l’impugnazione della sanzione disciplinare della sospensione per trenta giorni, irrogata dalla Azienda Sanitaria Locale di Barletta – Andria – Trani (di seguito, ASL) nei confronti di D.P., dirigente medico ginecologo presso l’U.O. di Ostetricia e Ginecologia, per essersi il medesimo allontanato dal servizio, in un certo giorno, alle ore 19,02, nonostante il suo turno terminasse alle ore 20,00 e nonostante fosse in atto una situazione critica di una paziente, culminata poi nella perdita del feto;
la Corte territoriale affermava espressamente di non voler indagare sul nesso causale tra il comportamento del medico e quanto accaduto alla paziente ed al feto;
tuttavia, pur ritenendo che il comportamento del medico non riguardasse in senso stretto un turno, tale non essendo la fascia pomeridiana e pur dando atto che il regime orario osservato aveva natura flessibile, la sentenza di appello affermava che tale flessibilità non potesse dirsi incondizionata e che pertanto, essendosi manifestata una situazione che richiedeva una particolare cura e diligenza, era dovere del medico il soffermarsi in ospedale e non allontanarsi senza accertare, come si era mancato di fare, che il collega destinato alla guardia notturna, per quanto già in servizio in sala operatoria, avesse ricevuto il tracciato della paziente delle ore 18.55, da cui emergeva una situazione tale da necessitare attenzione e diligenza;
secondo la Corte di merito, l’allontanamento aveva reso il ricorrente inosservante rispetto alla necessità di particolare cura, conseguente ad una situazione che stava manifestando elementi di criticità;
2. D.P. ha impugnato per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso della ASL;
il ricorrente ha infine depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. con il primo motivo il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 653 c.p.p., sostenendo, sul presupposto che la contestazione disciplinare e l’imputazione penale coincidessero anche nella loro formulazione letterale, l’erroneità della sentenza impugnata, per non avere valorizzato gli effetti di giudicato conseguenti alla sentenza di assoluzione in sede penale;
il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, individuato nel non avere la Corte di merito spiegato le ragioni per le quali essa ha ritenuto di discostarsi dalla sentenza penale passata in giudicato;
il terzo motivo assume infine la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) di norme di diritto (artt. 115 e 116 c.p.c.), per avere la sentenza impugnata totalmente ignorato le risultanze del supplemento di consulenza svolto in sede penale, pur essendo stata ammessa l’acquisizione agli atti della corrispondente produzione, effettuata con il ricorso in appello;
2. i motivi, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente, pur nella loro consequenzialità logica;
3. la Corte territoriale ha espressamente precisato di avere portato l’attenzione non sul nesso di causa tra la condotta del D. e la morte del feto poi determinatasi, ma sui comportamenti tenuti e contestati in ragione della diligenza cui era tenuto il medico, con riferimento al rapporto di lavoro e dunque al rilievo che le condotte tenute od omesse potessero avere sotto il profilo disciplinare;
in particolare, la Corte d’Appello ha ricostruito il regime orario vigente presso l’Unità Ospedaliera e, per quanto riguarda il servizio prestato quel giorno dal D., lo ha inquadrato come “pomeridiano”, dalle 14:00 alle 20:00, ma ha riconosciuto l’esistenza di una flessibilità di 60 minuti in uscita;
tale flessibilità è stata ritenuta dalla Corte territoriale non incondizionata, in quanto da calibrare sulle esigenze del servizio quali esistenti in quel momento, per concluderne che l’essersi il D. allontanato senza accertarsi che il collega del turno notturno, già in reparto ma impegnato in altro intervento, fosse stato informato del tracciato “cardio-tocografico” cui era stata sottoposta la paziente, non corrispondesse – si cita testualmente dalla sentenza – alla “particolare cura e diligenza” che la situazione, ove affrontata “con animo di previdenza” avrebbe imposto pur nell’esercizio della flessibilità oraria;
il senso della sentenza è dunque quello per cui quello perseguito è in realtà l’adempimento puntuale, prima dell’allontanamento dal luogo di lavoro, del dovere di assicurare il mantenimento del livello di assistenza e previdenza richiedibili – che è poi quanto addebitato con la contestazione sotto il profilo della continuità assistenziale – attraverso la certezza del flusso corretto e preciso di informazioni tra i due medici;
3.1 la Corte territoriale ha fatto riferimento ad un’assoluzione del ricorrente in sede penale “perché il fatto non sussiste”, mentre il D. afferma che si sarebbe trattato di un errore perché la formula sarebbe stata nel senso dell’assoluzione “per non aver commesso il fatto”;
a parte ciò, il punto è che gli argomenti della sentenza penale su cui ruota il ricorso per cassazione non sono sufficienti a delineare un giudicato ostativo ai sensi dell’art. 653 c.p.p., sotto la particolare angolazione interpretativa operata nella sentenza impugnata;
la sentenza penale è riportata solo per stralci, ma comunque risulta (sentenza impugnata pag. 3, righe 1-4) che l’unico medico imputato per l’abbandono del servizio fosse il ricorrente ed è pacifico che fosse stato lui ad essersi allontanato alle 19,00 dal luogo di lavoro;
d’altra parte, la forza del giudicato penale non può che riguardare i fatti quali penalmente rilevanti e su cui in quella sede si è deciso ai fini della responsabilità penale, in sé e anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo;
pertanto, oltre all’omicidio colposo, che non è stato oggetto di rilievo disciplinare, in ogni caso la contestazione disciplinare per come intesa dalla Corte d’Appello nella sentenza qui impugnata non riguarda il rifiuto (doloso) di atti dovuti o l’interruzione o turbativa (dolosa) di un servizio, quanto, come si è detto, l’inosservanza di regole di appropriatezza nell’uso della flessibilità oraria e nell’assicurazione di un adeguato livello di premura e continuità assistenziale e quindi profili indubbiamente di natura colposa, rispetto alla sollecitudine ed alla previdenza pretendibili nella situazione di fatto in essere ed alle sue possibili evoluzioni;
e’ del resto indubbio che, dal punto di vista disciplinare, si possano perseguire anche solo le modalità colpose con le quali sia stato lasciato il posto di lavoro ad un certo orario, in violazione di criteri di massima diligenza, mentre cosa diversa sono i fatti di reato con i quali intenzionalmente si abbandoni od ostacoli un pubblico servizio;
ne consegue che l’esclusione di responsabilità per quei fatti (dolosi) di reato non può di per sé sola escludere la ricorrenza di condotte colpose che la P.A., come datore di lavoro, intenda comunque perseguire rispetto ad un comportamento di uscita dal servizio ad un certo orario in sé pacificamente verificatosi;
non può pertanto affermarsi la ricorrenza della denunciata violazione del giudicato penale;
3.2 neppure può dirsi che gli elementi addotti e ripresi dalla pronuncia penale fornissero, al di là degli effetti di giudicato, apporti decisivi al fine di sovvertire gli esiti del giudizio civile, come sostenuto con il secondo motivo di ricorso;
a parte passaggi più generici o riguardanti sempre il profilo dell’omicidio colposo, come è per l’essere stata la paziente seguita da altri medici o l’irrilevanza del consiglio terapeutico del D. rispetto all’anticipazione nell’assunzione di un farmaco, l’unico spunto, tra quelli trascritti, di rilevanza sul piano meramente colposo è quello in cui si afferma, nella predetta sentenza penale, che “non è dato riscontrare alcuna anomalia comportamentale” ma, si legge immediatamente di seguito, “da parte degli odierni imputati”;
si è già detto, tuttavia, come fosse solo il D. ad essere interessato dall’addebito in ordine alla continuità del servizio, sicché l’impugnazione non evidenzia – o almeno non lo fa con sufficiente specificità e chiarezza, in contrasto con gli oneri di cui all’art. 366 c.p.c. – la riferibilità di quel passaggio, in cui l’uso del plurale può far pensare al riferirsi di esso all’addebito di omicidio colposo, anche al comportamento del ricorrente di allontanamento dal reparto in quanto tale ed alla diligenza pretendibile dal medico, di rilevanza anche solo sotto il profilo della debita diligenza rispetto al menzionato profilo della continuità assistenziale;
non diversamente, il D., nel ricorso come anche nella memoria finale, insiste sul fatto che non gli sarebbe stato mai sottoposto il tracciato o, aggiunge, che esso non avrebbe avuto rilevanza;
nel ricorso per cassazione non sono tuttavia trascritti passaggi della sentenza penale da cui risulti esplicitamente che al ricorrente non fosse stato “sottoposto” quel tracciato, né elementi che escludano con certezza che quanto registrato alle 18:55 rappresentasse, come afferma la Corte di merito, “l’indizio di una situazione che richiedeva una particolare cura e diligenza”;
e’ poi comunque pacifico, dalle stesse dichiarazioni rese dal D. in sede disciplinare e trascritte nel ricorso per cassazione (pag. 6 nota 3), che egli sapesse di quel tracciato in corso e dunque, avendo dato disposizioni sull’idratazione endovenosa, sull’ossigenazione della paziente e sul trasmettere tutto al medico del successivo turno (così sempre le sue dichiarazioni quali trascritte), non ne resta inficiata la sostanza delle valutazioni della Corte di merito, secondo cui il ricorrente doveva accertarsi, prima di andarsene, che il collega – per i fini di adeguatezza e continuità del livello assistenziale e di previdenza pretendibili, di cui si è detto – fosse stato informato della situazione di quella gestante, rispetto alla quale il ricorrente era stato pacificamente allertato, omissione in sé non smentita da alcuno degli elementi riportati dal ricorso per cassazione;
anche a prescindere dal fatto che la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di cui consiste il secondo motivo, dovrebbe riguardare l’omessa considerazione di una circostanza materiale e non di elementi documentali da interpretare, quali sono quelli provenienti da una sentenza nel suo complesso, in ogni caso, per quanto appena detto, l’essersi decisa la causa prescindendo da quella sentenza penale non può dirsi abbia trascurato concretamente fatti emergenti da tale pronuncia e debitamente resi oggetto di specifica argomentazione e trascrizione in questa sede, che fossero tali da sovvertire, secondo parametri di alta probabilità logica, l’esito della decisione;
3.3 del tutto generico è infine anche il terzo motivo, ove si lamenta il mancato esame di una consulenza tecnica penale prodotta in sede civile;
lo stralcio di tale c.t. riporta, per quanto qui interessa, l’affermazione secondo cui “nessuna condotta colposa sia da ascrivere al Dott. D.”, ma si tratta di affermazione che non è meglio contestualizzata con particolare riguardo al riferirsi di essa solo all’esclusione del concorso in omicidio colposo o se essa si estenda, e come, anche a quanto riguardante più in particolare l’addebito disciplinare qui oggetto del contendere e quindi all’osservanza della dovuta diligenza nella fruizione della flessibilità dell’orario di lavoro;
4. al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022
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