Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.6201 del 24/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANCINO Rossana – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5574-2015 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 519, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA BONELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati CONCETTA LEONE, ANTONELLA LEONE;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2149/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 11/02/2014 R.G.N. 1094/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2022 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato con diversa motivazione, la pronuncia del Tribunale di Locri, rigettando la domanda di P.G., lavoratrice di pubblica utilità (LPU) presso il Comune di Ardore dal 1999, diretta ad ottenere gli assegni al nucleo familiare per il periodo 6 maggio 2000 – 31 dicembre 2001.

La Corte d’appello ha ritenuto che la Regione, vocata in giudizio, non fosse tenuta a erogare la prestazione richiesta, in quanto ente finanziatore dei progetti, mentre, quello della corresponsione degli assegni al nucleo familiare costituiva un obbligo del Comune utilizzatore, tenuto a corrispondere la retribuzione ai LPU, necessariamente comprensiva ex lege degli assegni al nucleo familiare.

La cassazione della sentenza è domandata da P.G. sulla base di cinque motivi, tutti in vario modo riferiti al profilo del dichiarato difetto di legittimazione passiva della Regione.

La Regione Calabria è rimasta intimata.

Il P.G. ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente lamenta “Insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla dichiarazione di carenza di legittimazione passiva in capo alla Regione Calabria”, avendo, lo stesso giudice dell’appello riconosciuto che a carico dell’ente utilizzatore sussistono soltanto gli oneri economici relativi alli RCT e all’Inail e, quindi, avendo implicitamente ammesso che il Comune non aveva la disponibilità degli importi relativi all’assegno familiare.

Col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce “Falsa applicazione di norme di diritto”. Sostiene che il giudice dell’appello non avrebbe indicato la norma di legge dalla quale trae la conclusione che la Regione Calabria non sia il soggetto tenuto a erogare gli ANF. Afferma che il D.Lgs. n. 81 del 2000 assume che il Ministero abbia trasferito alla Regione i fondi con cui i Comuni utilizzatori avrebbero sussidiato il personale utilizzato in lavori di pubblica utilità, nei limiti delle risorse stanziate.

Col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione di legge segnatamente dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 111 Cost., violazione della L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 6, del D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, art. 8; della Convenzione n. 786 del 2000, art. 4; delib. giunta regionale 30 ottobre 2000, n. 733”. Il giudice dell’appello avrebbe mancato di terzietà e deciso ultra petita, avendo dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Regione Calabria, in difformità agli atti ai quali si è richiamato.

Col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “Mancata valutazione delle prove documentali esibite in giudizio”, segnatamente della nota 1.06.2000 diretta al Comune di Ardore, in cui la Regione Calabria, riferendosi alla convenzione stipulata tra Regione e Comune, implicitamente ha ammesso il proprio ruolo di ente finanziatore e controllore, ente intermediario che finanzia i progetti di utilizzazione presso le amministrazioni locali, chiedendo al Comune una serie di dati ai fini dell’accreditamento delle relative somme.

Col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso esame di un fatto decisivo”. Emergerebbe dagli atti che la Regione Calabria, contrariamente alle previsioni legislative, ha riconosciuto che non vi erano i fondi per gli assegni al nucleo familiare, sebbene con la convenzione n. 786 del 2000 fossero state a essa trasferite le somme, comprensive degli accessori e degli ANF, il che avrebbe dovuto far considerare radicata in capo alla regione Calabria la legittimazione passiva ad causam.

In ordine logico occorre iniziare dall’esame del secondo motivo di ricorso, il quale merita accoglimento.

Questa Corte, in ipotesi sovrapponibili (il principio di diritto è pacifico, fin da Cass. n. 6181 del 2016 e, da ultimo, è stato ribadito da Cass. n. 11118 del 2021), ha ritenuto la legittimazione passiva della Regione Calabria, individuando nell’amministrazione regionale, sulla base delle norme vigenti, nonché delle Convenzioni stipulate fra la Regione Calabria e il Ministero del Lavoro, la destinataria della pretesa creditoria del lavoratore il quale reputi che, in aggiunta all’emolumento a lui spettante, debbano essergli corrisposti gli assegni al nucleo familiare.

Sebbene la fattispecie in esame sia del tutto sovrapponibile a quella decisa nelle ordinanze richiamate, le quali hanno dato luogo ad un costante e coerente filone giurisprudenziale dal quale non si ha ragione di discostarsi, la Corte d’appello di Reggio Calabria non ha ritenuto di uniformarvisi e, pertanto, la decisione impugnata va riformata.

L’orientamento richiamato postula una corretta ricostruzione dei termini della fattispecie, e, segnatamente, del rapporto tra Stato e Regioni, alle quali il primo trasferisce attraverso Convenzioni risorse vincolate per progetti per lavori di pubblica utilità e tra Regione, Comuni utilizzatori e lavoratori di pubblica utilità.

In virtù di tale rapporto trilaterale, è stato stabilito che la Regione Calabria è destinataria della pretesa creditoria del lavoratore che voglia far valere che il corrispettivo a lui spettante è stato quantificato in violazione di legge, ciò, naturalmente a prescindere dalla fondatezza della domanda, sottoposta a successiva delibazione. Sull’ente utilizzatore, di contro, non gravano gli oneri per il pagamento dell’assegno, al di fuori di quelli relativi all’assicurazione obbligatoria presso l’Inail e per la responsabilità civile verso terzi nonché di quelli attinenti all’importo integrativo per le ore eccedenti rispetto a quelle remunerate con la prestazione a carico dell’Inps (Così Cass. n. 6670 del 2012).

Gli altri motivi, da esaminarsi congiuntamente per logica connessione, presentano vari profili d’inammissibilità.

Le censure che deducono il vizio di motivazione fuoriescono dal perimetro delineato dal codice di rito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; esse non fanno riferimento all’omesso esame “di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”(Sez. Un. 8053 del 2014).

Parte ricorrente finisce, invece, per attribuire, inammissibilmente, al vizio di motivazione, non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo nel senso richiamato dalle Sezioni Unite, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale.

Ancora le Sezioni Unite hanno precisato, in proposito, che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sìa stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. Un. 8053/2014).

Quanto al denunciato vizio di ultrapetizione, va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, la quale afferma che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018).

Il principio di diritto sopra richiamato va letto in correlazione con l’altro, secondo cui: “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito configura un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940 del 2017).

In definitiva, accolto il secondo motivo e dichiarati inammissibili gli altri, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione, anche riguardo alla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione, la quale statuirà anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, all’Udienza Pubblica, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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