Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.6219 del 24/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28617-2020 proposto da:

I.V., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO MARTELLI;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DI ***** SPA IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 100/2020 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 24/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’01/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 24 aprile 2020, la Corte d’appello di Messina rigettava l’appello di I.V. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato la domanda di accertamento del diritto all’inquadramento nel II livello dell’area operativa funzionale di “operatore ecologico” del CCNL del Settore Igiene Ambientale del 5 aprile 2008 e al pagamento delle relative differenze retributive maturate all’8 novembre 2013 nel rapporto di lavoro alle dipendenze di ***** s.p.a. in liquidazione (da cui assunto il 16 febbraio 2012 e fallita nel corso del giudizio di appello);

2. come il Tribunale, essa escludeva, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie ed in esito alla disposta C.t.u. contabile (in grado d’appello), la ricorrenza di un’adeguata prova della corrispondenza delle mansioni svolte alla superiore qualifica rivendicata rispetto a quella attribuita di I livello;

3. con atto notificato il 10 novembre 2020 il lavoratore ricorreva con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.; il Fallimento intimato non svolgeva difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 15 del CCNL del Settore Igiene Ambientale del 5 aprile 2008, per avere la Corte territoriale erroneamente e parzialmente letto la norma denunciata, concentrando l’attenzione esclusivamente sulla guida di mezzi con patente B (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 2103 c.c., art. 15 CCNL cit., per non avere la Corte esaminato i dati fattuali risultanti dalla prova testimoniale, completamente modificati per la superficialità dello scrutinio (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., art. 2937 c.c., comma 2, art. 15 CCNL cit., per avere la Corte messinese ritenuto insufficiente la prova delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, a causa dell’assoluta incertezza temporale della prestazione delle mansioni superiori e della genericità in ordine al tipo di automezzi da lui guidati (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 421,437 c.p.c., per non avere il giudice, nella conduzione della prova orale, esercitato il proprio potere di accertamento officioso della verità dei fatti (quarto motivo); violazione dell’art. 253 c.p.c., art. 15 CCNL cit., per avere la Corte territoriale ritenuto essenziale la prevalenza delle mansioni svolte, irrilevante ai fini di attribuzione della qualifica (quinto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. non si configura la violazione delle norme di legge e del CCNL denunciate, che postula un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa; ma neppure la falsa applicazione della legge, che consiste nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, ovvero nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851);

3.1. la Corte territoriale ha anzi correttamente applicato il procedimento cd. trifasico (consistente nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nella individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine con i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda: Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass. 27 settembre 2016, n. 18943): avendo essa comparato i livelli oggetto di controversia (illustrati all’ultimo capoverso di pg. 4 e al primo periodo di pg. 5 della sentenza), appuntando la propria attenzione sull’incidenza del possesso della patente di guida B, in riferimento alla frequenza della sua utilizzazione lavorativa (al primo capoverso di pg. 5 della sentenza), alla luce delle mansioni svolte dal lavoratore, in esito ad un critico ed argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (dall’ultimo capoverso di pg. 5 al secondo di pg. 7 della sentenza);

3.2. con le illustrate censure il ricorrente ha piuttosto dedotto un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

3.3. è risaputo che l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento siano riservate al giudice del merito: essendo insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, (anche) diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 28 gennaio 2004, n. 1554; Cass. 10 giugno 2014, n. 13054); e parimenti l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la credibilità di alcuni invece che di altri, come pure la scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, in quanto apprezzamenti di fatto riservati al medesimo giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza dover discutere ogni singolo elemento o confutare tutte le deduzioni difensive, dovendosi ritenere implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 31 luglio 2017, n. 19011);

3.4. neppure, inoltre, l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice può essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti, né tanto meno a supplire una carenza probatoria totale, in sostituzione degli oneri di parte (Cass. 11 marzo 2011, n. 5878; Cass. 27 ottobre 2020, n. 23605): non essendo, in ogni caso, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri officiosi previsti dall’art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito (come appunto nel caso di specie) lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. 23 ottobre 2014, n. 22534; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25374; Cass. 10 settembre 2019, n. 22628);

3.5. infine, è preclusa alla parte, in sede di legittimità, la possibilità di rimettere in discussione, proponendone una diversa interpretazione propria, la valutazione delle risultanze processuali né la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404);

4. il ricorrente deduce in ultimo la violazione dell’art. 92 c.p.c., per non avere la Corte tenuto conto, nella liquidazione delle spese giudiziali, della non manifesta infondatezza dell’appello e della propria qualità di parte debole, quale lavoratore (sesto motivo);

5. anch’esso è inammissibile;

6. non e’, infatti, sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di violazioni del criterio di soccombenza o di liquidazioni non rispettose delle tariffe professionali, con obbligo in tal caso di indicazione delle singole voci contestate, la liquidazione delle spese processuali, siccome rientrante nei poteri discrezionali del giudice del merito (Cass. 4 luglio 2011, n. 14542; Cass. 19 novembre 2014, n. 24635), salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4782; Cass. 4 marzo 2021, n. 6110): essendo irrilevante l’evidenziata posizione di parte debole del lavoratore, ai fini della corretta applicazione del regime di soccombenza;

7. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo la parte vittoriosa svolto difese e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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