LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10490/2019 proposto da:
A.M.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Tassinari Rosaria, giusta procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato il 20/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/10/2021 dal Consigliere Dott. Paola Vella.
RILEVATO
CHE:
1. Con ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35-bis, depositato il 16/01/2018, il cittadino ***** A.M.A., nato a ***** (*****) il *****, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento, notificatogli il 22/12/2017, con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, che egli aveva invocato allegando di aver dovuto lasciare il ***** il 4 giugno 2016, a causa della situazione familiare degenerata dopo la morte del fratello, il quale manteneva la famiglia col suo lavoro, poiché, a seguito della malattia del padre (colpito da ictus), egli stesso, scolarizzato fino alla terza elementare, era dovuto andare a lavorare come contadino presso terzi ed aveva dovuto contrarre un prestito per provvedere alle cure del padre, senza però riuscire a mantenere la famiglia (composta anche da una sorella non sposata e dalla madre malata di diabete), determinandosi perciò a rivolgersi agli usurai per andare a lavorare in Libia, dove però era rimasto solo 2 mesi e 25 giorni, per approdare infine in Italia il 7 settembre 2016.
1.1. All’esito dell’audizione personale del ricorrente, il tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo non credibile il suo racconto, per la genericità delle dichiarazioni relative alle minacce ricevute dagli usurai (non menzionate dinanzi alla Commissione territoriale) e per la non plausibilità del dedotto pericolo di vita in caso di rimpatrio, stante la mancanza di interesse degli usurai ad ucciderlo (poiché perderebbero così ogni possibilità di pagamento del debito).
1.2. In particolare, il collegio felsineo ha rilevato la mancata produzione di alcuna documentazione relativa ai prestiti contratti, pur dando atto espressamente dell’esibizione in udienza dell’originale contratto di prestito e della acquisizione di una non meglio specificata documentazione prodotta dal ricorrente.
1.3. Ha quindi rigettato sia le domande di protezione internazionale, sulla scorta di C.O.I. aggiornate a gennaio 2018, sia la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, perché, “anche in ragione della inattendibilità in generale e nel complesso delle dichiarazioni del ricorrente… non ricorrono situazioni di peculiare vulnerabilità”, avendo questi la propria famiglia in ***** e non rilevando che in Italia “abbia svolto attività lavorativa per alcuni periodi (peraltro con contratti a tempo determinato).. e abbia intrapreso lo studio della lingua italiana”, elementi insufficienti ad integrare un “radicamento sul territorio ostativo al suo rientro in patria”.
2. Il ricorrente ha impugnato il predetto decreto con tre motivi di ricorso per cassazione; il Ministero intimato non ha svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
2.1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al punto 3 dell’art. 360 c.p.c. nonché per difetto di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi”.
2.2. Il secondo mezzo prospetta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07 meglio conosciuta come Elgafaj”, richiamando “fonti non aggiornate in quanto risalenti al 2017”, senza tener conto delle “informazioni sul ***** disponibili nel rapporto di Amnesty International 2015-2016 e successivo, più attuale, rapporto Amnesty International 2016-2017.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la “Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 5, comma 6 (rectius 1998), per non avere il Tribunale di Bologna esaminato la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da Paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita ed incolumità”, tenuto conto delle specifiche vulnerabilità del ricorrente (che rischierebbe in caso di rientro in Patria “di essere sottoposto a violenze e sevizie da parte dell’usuraio che ha concesso il prestito”) e della documentazione prodotta a supporto della propria integrazione in Italia (buste paga relative a rapporto di lavoro dipendente; attestato di stima del datore di lavoro come “persona diligente e responsabile, con carattere buono e premuroso nel lavoro”; impegno nello studio della lingua italiana).
3. Il secondo motivo è infondato e va rigettato, in quanto il tribunale ha acquisito plurime C.O.I. qualificate e aggiornate al 2018, mentre quelle allegate dal ricorrente sono più risalenti.
4. Meritano invece accoglimento – limitatamente al profilo della protezione umanitaria – il primo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente alla luce del recente arresto nomofilattico circa la rilevanza, nelle cause in materia di protezione internazionale, della violazione dell’art. 8 CEDU, per cui, tra l’altro, “in presenza di un livello elevato d’integrazione effettiva nel nostro Paese, desumibile da indici socialmente rilevanti (…) saranno le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine ad assumere una rilevanza proporzionalmente minore” (Cass. Sez. U, 24413/2021).
4.1. Ai suddetti fini rileva anche la mancata considerazione della documentazione integrativa prodotta dal difensore del ricorrente nel termine appositamente concesso, come attestato a pag. 2 del decreto impugnato, ivi compreso il contratto di prestito usuraio della cui esibizione in originale lo stesso tribunale dà espressamente atto.
4.2. Inoltre, il giudizio di non credibilità del racconto è sostanzialmente circoscritto alle asserite aggressioni e minacce subite dal ricorrente e dai suoi familiari ad opera dei creditori usurai, senza investire la restante parte del narrato relativa alle condizioni di vita del richiedente e della sua famiglia.
4.3. E’ dunque mancata una completa valutazione comparativa tra le pregresse condizioni di vita del ricorrente in ***** e quelle attuali in Italia, necessaria nella valutazione della domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, riconoscibile ratione temporis secondo la disciplina antecedente al D.L. n. 113 del 2018 (la cui applicabilità è circoscritta alle domande amministrative presentate tra il 5 ottobre 2018 e il 21 ottobre 2020), trattandosi di domanda presentata in sede amministrativa prima del 5 ottobre 2018 (Cass. Sez. U, 29459/2019).
5. In definitiva, pur non essendo direttamente applicabile in questa sede la nuova disciplina del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19 – ed in particolare la disciplina sulla protezione della vita privata e familiare introdotta, mediante la sostituzione dell’art. 19 T.U.I., comma 1.1, dal D.L. 21 ottobre 2020 n. 130, art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173 (applicabile retroattivamente, ai sensi dell’art. 15, comma 1 D.L. cit., solo ai procedimenti pendenti alla data del 22 ottobre 2020 dinanzi alle commissioni territoriali, al questore e alle sezioni specializzate dei tribunali, esclusa l’ipotesi prevista dall’art. 384 c.p.c., comma 2, non anche dinanzi alla corte di cassazione) – la fattispecie deve essere comunque regolata in modo conforme ai criteri precisati nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 24413 del 2021, in base ai quali: i) l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria postula sempre, proprio per l’atipicità dei relativi fatti costitutivi, l’esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali; ii) a tal fine occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, pur non avendo rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia isolatamente ed astrattamente considerato; iii) tale valutazione comparativa deve essere svolta attribuendo alle condizioni soggettive e oggettive del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano; iv) in presenza di situazioni di deprivazione dei diritti fondamentali nel Paese di origine, quali la mancanza delle condizioni minime per poter soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, ossia quelli strettamente connessi al sostentamento ed al raggiungimento dei livelli minimi per un’esistenza dignitosa – situazioni per la cui dimostrazione processuale opera, secondo i condivisi approdi della giurisprudenza di questa Corte, il principio di cooperazione istruttoria (cfr. Cass. 4455/2018, 10/2021, 7778/2021) – il grado di integrazione del richiedente in Italia assume una rilevanza proporzionalmente minore e, in situazioni di particolare gravità (quali la seria esposizione alla lesione dei diritti fondamentali alla vita o alla salute, conseguente, ad esempio, a eventi calamitosi o a crisi geopolitiche che abbiano generato situazioni di radicale mancanza di generi di prima necessità) può anche non assumere alcuna rilevanza; v) l’integrazione sociale non costituisce una condicio sine qua non della protezione umanitaria, bensì uno dei possibili fatti costitutivi del diritto a tale protezione, da valutare, quando sussista, in comparazione con la situazione oggettiva e soggettiva che il richiedente ritroverebbe tornando nel suo Paese di origine, anche – con riguardo alla situazione soggettiva – sotto il profilo delle permanente sussistenza di una rete di relazioni affettive e sociali; vi) per contro, in presenza di un livello elevato d’integrazione effettiva nel nostro Paese, desumibile da indici socialmente rilevanti – quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento – saranno le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine ad assumere una rilevanza proporzionalmente minore.
6. Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio per un nuovo esame alla luce dei principi sopra enunciati, al Tribunale di Bologna in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo e terzo, rigetta il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022