LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11545-2020 proposto da:
B.C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GRANITO DI BELMONTE 19, presso lo studio dell’avvocato ALDO PIRAS, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO TRIOLO, MAURO SFERRAZZA, MARIA PASSARELLI, VINCENZO STUMPO;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 9275/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 03/04/2019 R.G.N. 13225/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2022 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.
RILEVATO
CHE:
1. questa Corte, con ordinanza n. 9275 del 3 aprile 2019, in accoglimento del ricorso proposto dall’INPS nei confronti di B.C.P. e avverso la decisione della Corte di appello di Roma del 6 marzo 2013, n. 6556, ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda proposta da B.C. volta ad ottenere la condanna dell’INPS, quale gestore del Fondo straordinario di garanzia per il trattamento di fine rapporto, al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 42.429,00 a titolo di t.f.r. non versatogli dal datore di lavoro;
2. di tale decisione B.C.P. chiede la revocazione, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, fondando il ricorso su due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui ha resistito l’INPS, con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
3. con i motivi di ricorso si deduce che l’ordinanza di questa Corte n. 9275 del 2019 sarebbe suscettibile di revocazione, per errore di fatto, per avere la Corte di legittimità dichiarato tardiva l’azione giudiziaria proposta valorizzando, nel computo del termine iniziale decadenziale, la data di spedizione della domanda, a mezzo posta, all’INPS, anziché la diversa data, del protocollo INPS, attestante il ricevimento della stessa e, quindi, l’avvio del procedimento amministrativo, in palese violazione del principio di scissione dell’effetto della notificazioni per mittente e destinatario, non percependo che la giurisprudenza invocata nella motivazione – Cass. n. 3189 del 2001 – aveva espresso un principio di senso opposto alla lettura che di essa ha dato il Collegio, con la conseguenza che il termine inziale per il computo del decorso del termine decadenziale coincideva con il ricevimento della domanda (17/4/2007 come risultante dal protocollo INPS) o comunque con la diversa data (21/5/2007) in cui l’INPS aveva rivolto l’invito ad integrare la documentazione a corredo della domanda, e che l’azione era stata proposta tempestivamente entro l’anno e 300 giorni calcolati dal 17/4/2007 (primo motivo); erroneità e illegittimità della decisione per non avere il collegio giudicante rilevato che il diritto al t.f.r., fondato su sentenza passata in giudicato, era ormai incontestabile e comunque, per non essere mai stato contestato dall’INPS, ormai riconosciuto e non assoggettabile, pertanto, a decadenza ma soltanto a prescrizione (secondo motivo);
4. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni;
5. l’errore rilevante ex art. 395 c.p.c., n. 4 consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito;
6. muovendo da detta premessa, questa Corte ha evidenziato, in più occasioni, che l’errore non può riguardare l’attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (Cass. 5.7.2004 n. 12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; più di recente, Cass. 16.6.2021, n. 17206 ed ivi ulteriori precedenti);
7. nel solco dei richiamati principi, le pronunce delle Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. Un. 24.11.2020 n. 26674; Cass., Sez. Un. 10.11.2020 n. 25212; Cass., S.U. 27.11.2019 n. 31032; Cass., Sez. Un. 27.12.2017, n. 30994, Cass., Sez. Un. 16.11.2016 n. 23306) hanno rimarcato che restano fuori dal vizio revocatorio: gli errori formatisi sulla base di un’assunta errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico; l’erronea comprensione del contenuto giuridico-concettuale delle difese e l’inesatta qualificazione dei fatti ivi esposti; l’errato apprezzamento di un motivo di ricorso, perché siffatto tipo di errore, ove pure in astratta ipotesi fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto;
8. inoltre, con riferimento al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, e che non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass.16 settembre 2011, n. 18897);
9. quanto, poi, all’effettività della tutela giudiziaria, anche la Corte di Giustizia dell’UE riconosce la necessità che le decisioni giurisdizionali, divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per ricorrrere, non possano più essere rimesse in discussione, e ciò al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia l’ordinata amministrazione della giustizia (fra tante, Cass. Sez.U., 28 maggio 2013, n. 13181; Corte Giust., 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub; Corte Giust., 30 settembre 2003, in causa C224/01, Kobler; Corte Giust., 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer);
10. tali approdi nomofilattici trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 17 del 1986, n. 36 del 1991, n. 207 del 2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di sviste o di puri equivoci e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395 c.p.c., n. 4), anche rispetto alla svolta normativa in direzione di un più ampio controllo (L. 26 novembre 1990, n. 353; D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40);
11. in definitiva, è stato chiarito come “l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella costituzionalmente e convenzionalmente orientata, dell’art. 391-bis e art. 395, n. 4) portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia (cfr. Cass., sez. u., 27 dicembre 2017, nn. 30994 ed altre coeve) rispondendo la “non ulteriore impugnabilità in generale” all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass. 29.4.2016, n. 8472);
12. il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa (Cass., 7.5.2014, n. 9865), ivi compresa ogni ipotetica actio nullitatis;
13. resta, quindi, esclusa, dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass. 14.4.2017, n. 9673);
14. così, ad esempio, è stato escluso l’errore revocatorio per: l’inesatta considerazione degli effetti di una specifica riforma normativa (Cass. 3.6.2002, n. 8023); l’inapplicabilità dello jus superveniens (Cass., Sez.U., 23 gennaio 2009, n. 1666); l’applicazione di una normativa piuttosto che di un’altra (Cass. 29.3.2006, n. 7127); l’erronea comprensione del contenuto giuridico-concettuale delle difese (Cass.22.3.2005, n. 6198) e l’inesatta qualificazione dei fatti ivi esposti (Cass. 10.6.2009, n. 13367); l’omesso rilievo del litisconsorzio necessario (Cass.5.4. 2001, n. 5055); l’inesatta applicazione dell’art. 149 c.p.c. (Cass. 30.11.2005, n. 26074); l’erronea presupposizione del giudicato (Cass. Sez. U., 17 novembre 2005, n. 23242); l’omessa rilevazione officiosa di vizi (Cass. 10.11.2005, n. 21830); la violazione del diritto comunitario (Cass. 10.11.2005, n. 21830 cit.); il mancato rilievo di nullità della notifica del ricorso (Cass. 15.11.2013, n. 25654; per ulteriori precedenti cfr. Cass. Sez. U., n. 30994 del 2017, cit.);
15. anche in ordine all’applicazione dei principi in tema di scissione del momento perfezionativo della notificazione per il richiedente e per il destinatario, nel contesto della delibazione della tempestività del ricorso per cassazione, questa Corte ha già ribadito che risulta implicato lo svolgimento di un processo argomentativo logico-giuridico che, di per sé, esclude il presupposto stesso della revocazione (fra le altre, Cass. 9.7.2009, n. 16136 e Cass. 8.5.2017, n. 11202);
16. del pari, l’omessa percezione di un giudicato interno da parte della Corte di Cassazione si è ritenuto non rientrare nel novero dell’errore di fatto (Cass. 20.6.2017, n. 15346 ed ivi ulteriori precedenti);
17. ebbene, tanto premesso, dall’ordinanza della quale si chiede la revocazione si evince, con evidenza, che il controricorrente aveva contrastato l’impugnazione di legittimità propugnando la tesi difensiva della decorrenza del termine decadenziale dalla data di ricezione della domanda di prestazione o al più dalla data dei rilievi INPS sull’insufficiente documentazione presentata e, dunque, la disamina della Corte si è snodata, con la ratio decidendi riveniente dal vano decorso del termine decadenziale, muovendo dalla premessa di fatto della data di inizio del procedimento amministrativo, ravvisata, tra quelle indicate dal lavoratore, nella data di invio della raccomandata, e tanto esclude che si versi in ipotesi di errata percezione del fatto, tale da avere indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile;
18. neanche è idonea a supportare una censura in termini di revocazione per errore di fatto del provvedimento di legittimità, la ritenuta diversa lettura di un precedente di legittimità come esito di un’erronea percezione, da parte del Collegio, del principio emergente dal precedente (nella specie, Cass. n. 3189 del 2001), non trattandosi, all’evidenza, di denunzia inerente ad un errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità e che investirebbe l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa;
19. in altri termini, non solo non viene dedotta una svista percettiva immediatamente percepibile ma si sollecita un nuovo giudizio interpretativo;
20. né infine, alla stregua dei precedenti di questa Corte richiamati nei paragrafi che precedono, l’eventuale omessa percezione di un giudicato interno da parte della Corte di Cassazione rientrerebbe nel novero dell’errore di fatto;
21. in conclusione, il ricorso è da dichiarare inammissibile;
22. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;
23. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022