LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13251-2017 proposto da:
L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO LUCIO APULEIO 11, presso lo studio dell’avvocato CESARE DELLA ROCCA, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA TAITI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO, 92, presso lo studio dell’avvocato SERGIO D’ALFONSO, rappresentato e difeso dagli avvocati NICCOLO’ FERDINANDO MARIA BRAMI, ALESSANDRO BACHINI, in virtù di procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 601/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 17/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie del ricorrente.
RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE 1. In accoglimento del ricorso proposto dall’Arch. L.F., il Tribunale di Arezzo – Sezione distaccata di Montevarchi, con decreto n. 288/09, ingiungeva a S.P. il pagamento della somma di Euro 278.423,09, oltre a interessi e spese. A sostegno della domanda monitoria era posta una scrittura privata, sottoscritta in data ***** dal S., con la quale questi incaricava il L. di eseguire le prestazioni professionali propedeutiche alla lottizzazione di alcuni terreni, con l’accordo secondo il quale il compenso sarebbe stato pagato dal S. medesimo quand’anche avesse venduto i citati terreni.
Avverso il decreto proponeva opposizione il S., deducendo di non aver prestato alcuna fideiussione per le prestazioni professionali successive alle operazioni propedeutiche alla lottizzazione. Il documento del *****, infatti, avrebbe obbligato il S. (sia direttamente che in garanzia, nel caso di successiva cessione dei terreni) soltanto in relazione ai compensi relativi alle prestazioni professionali propedeutiche, non invece ad altre e successive prestazioni rese dal L. a favore di un diverso soggetto (la Erregi Costruzioni s.a.) nel contesto di un rapporto negoziale del quale il S. non sarebbe stato parte.
Nella resistenza del L., il Tribunale adito, con sentenza n. 34/2011, rigettava l’opposizione, condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite.
A fondamento della decisione rilevava, in particolare, che il documento del ***** – ritenuto adeguata prova scritta del credito – obbligava il Sa. a riscuotere presso il terzo le somme da attribuire al L. a titolo di compensi professionali, essendo altresì affermata l’inopponibilità al professionista delle eccezioni derivanti dal rapporto causale. Avverso tale sentenza proponeva appello il S. e la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 601/2017, accoglieva l’appello, riformando la decisione di prime cure, con la revoca del decreto ingiuntivo. A fondamento della pronuncia la Corte fiorentina poneva la diversa lettura dei documenti prodotti dalle parti.
Risultava, infatti, che dalla scrittura del 23 maggio 2003 non fosse possibile quantificare le somme dovute al L., imponendo così di far riferimento ad altri documenti, dai quali invece emergeva che l’Arch. Sa. aveva conferito al L. l’incarico per l’esecuzione di prestazioni professionali successive a quelle propedeutiche alla lottizzazione e che analogamente altri incarichi erano stati conferiti al L. dalla Erregi Costruzioni, società poi resasi acquirente dei terreni originariamente appartenenti al S..
Tali incarichi, tuttavia, erano stati evidentemente commissionati da un soggetto diverso dall’opponente, che con la scrittura del ***** aveva conferito l’incarico solo in relazione alle menzionate attività propedeutiche.
La Corte d’appello ne desumeva “una chiara distinzione, anche sotto il profilo temporale oltre che documentale tra l’attività professionale prestata a favore del S. e quella a favore di Sa.En. e poi Erregi”.
Invero, l’incarico professionale del ***** individuava chiaramente l’oggetto delle prestazioni i cui compensi il Sa. era obbligato a corrispondere, consistenti “nelle prestazioni relative alla lottizzazione (…) e di quant’altro necessario al conseguimento dell’approvazione da parte delle competenti autorità”.
L’appellato non avrebbe pertanto potuto pretendere dall’appellante il pagamento di compensi professionali relativi a prestazioni cui questi era estraneo.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze propone ricorso per la cassazione L.F., sulla base di tre motivi, illustrati da memorie.
S.P. resiste con controricorso.
RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso il L. lamenta la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1988 c.c., in quanto il giudice di appello avrebbe negato la valenza di ricognizione del debito da attribuire alla scrittura del *****, dalla quale si ricava l’assunzione della controparte dell’obbligo di far fronte personalmente a tutte le obbligazioni derivanti dagli incarichi professionali esperiti dal ricorrente.
Per l’effetto, in ragione della regola posta dalla norma riportata in rubrica, si è determinata un’inversione dell’onere della prova che imponeva all’opponente di dover dimostrare l’insussistenza della propria obbligazione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1410 c.c., comma 2, in quanto avendo il S. ceduto il contratto di prestazione d’opera professionale concluso con il L., al soggetto poi resosi acquirente del terreno, in base a tale norma era tenuto a garantire l’adempimento del contratto da parte del cessionario.
La decisione gravata ha quindi negato l’applicazione di tale norma, sebbene la società divenuta proprietaria del terreno non avesse fatto fronte alle obbligazioni contratte con il ricorrente.
Con il terzo motivo di ricorso viene invece denunziato l’omesso esame, ex art. 360, n. 5 Codice di rito, di tre fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, alla quale sarebbe connessa “un’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove”, e precisamente la “scrittura privata di conferimento d’incarico”; il “preliminare di vendita” del 17 aprile 2004 tra il S. e il Sa. e la raccomandata a/r inviata dal S. al L. datata 24 marzo 2009.
2. In relazione ai primi due motivi di ricorso, parte controricorrente ne eccepisce l’inammissibilità in quanto, a suo dire, introdurrebbero delle nuove questioni rispetto a quelle già dedotte in sede di merito, atteso che entrambe le norme di cui si denuncia la violazione non sarebbero state poste a sostegno della domanda avanzata in via monitoria.
La deduzione è però priva di fondamento.
Infatti, pur dovendosi ribadire il divieto di proposizione in sede di legittimità di questioni, anche di diritto, nuove rispetto a quelle prospettate in sede di merito, ove il loro esame implichi nuovi accertamenti di fatto, tuttavia il carattere della novità è qui escluso atteso che lo stesso giudice di primo grado, come si ricava dai passaggi motivazionali riportati in ricorso, aveva autonomamente qualificato la vicenda nell’ambito di applicazione della ricognizione di debito, facendo altresì richiamo, a giustificazione dell’obbligazione gravante sul S., quanto all’incarico conferito successivamente alla scrittura del *****, alla disciplina in tema di cessione del contratto.
Va del pari disattesa l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso per difetto di specificità, perché non individuerebbe le parti della sentenza impugnate, occorrendo a tal fine evidenziare che le argomentazioni relative alle singole violazioni sono precedute in ricorso da una puntuale disamina delle sentenze dei due gradi di giudizio, chiaramente permettendo di individuare la focalizzazione delle censure fatte valere in questa fase di giudizio alla luce delle precedenti pronunzie.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente denunzia la violazione da parte del giudice dell’appello dell’art. 1988 del Codice civile, che disciplina l’efficacia delle promesse unilaterali, quali le dichiarazioni ricognitive del debito e le promesse di pagamento.
Sarebbero, infatti, stati disattesi i consolidati orientamenti di legittimità in materia, in particolare ignorando l’idoneità ad invertire la regola dell’onere della prova delle dichiarazioni unilaterali recettizie ex art. 1988 codice ed a liberare l’attore dall’onere di provare il rapporto fondamentale.
L’argomentazione del ricorrente non appare tuttavia cogliere nel segno, mostrando di non avere rettamente inteso le considerazioni della Corte d’appello di Firenze.
In tema di interpretazione delle dichiarazioni delle parti, al fine della qualificazione delle medesime come atti ricognitivi del debito, questa Corte ha statuito che “e’ riservata al giudice del merito e sottratta al sindacato di legittimità l’indagine sul contenuto e sul significato delle dichiarazioni della parte, al fine di stabilire se esse importino una ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c.” (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 20422 del 29/07/2019; cfr. anche Cass. n. 11433/2002, nonché Cass. 1653/1975, che a sua volta richiama precedenti statuizioni del giudice di legittimità).
Inoltre non deve trascurarsi che la promessa di pagamento, anche se titolata, diverge dalla confessione in quanto, mentre la prima consiste in una dichiarazione di volontà intesa ad impegnare il promittente all’adempimento della prestazione oggetto della promessa medesima, la seconda consiste nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante ed ha, perciò, il contenuto di una dichiarazione di scienza; è tuttavia possibile che, nel contesto di un unico documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista una confessione di fatti pertinenti al rapporto fondamentale la quale, avendo valore di prova legale (nella specie, circa l’esistenza del credito) preclude la prova contraria ex art. 1988 c.c. (nella specie, sull’inesistenza o sull’estinzione della prestazione promessa), salva la eventuale revoca della confessione per errore di fatto o violenza (cfr. da ultimo Cass. n. 23246/2017).
Inoltre, la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, da cui deriva una semplice “relevatio ab onere probandi” che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento (Cass. n. 20689/2016).
Infatti, la promessa di pagamento, come la ricognizione di debito, non costituisce fonte autonoma di obbligazione, ma spiega soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, ed anche quando è titolata, cioè contenente il riferimento al rapporto giuridico che sta alla sua base, produce il mero effetto dell’astrazione processuale dalla “causa debendi”, dispensando il promissario dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale che si presume fino a prova contraria, e deve essere, oltre che esistente, valido. Ne consegue che viene meno ogni effetto vincolante della promessa se si accerti giudizialmente che il rapporto non è sorto, è invalido o si è estinto (cfr. Cass. n. 10574/2007).
Orbene, avuto riguardo alla vicenda in esame, i giudici di appello nell’interpretate la scrittura del *****, che pacificamente è posta a fondamento della pretesa creditoria del ricorrente, hanno evidenziato con accertamento, non adeguatamente sindacato in questa sede, mancando una specifica censura volta a contestare l’erronea applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale, che la stessa aveva riguardo al solo rapporto professionale relativo alla prestazioni relative alla lottizzazione del terreno all’epoca di proprietà del S., e ciò in vista del conseguimento del relativo provvedimento favorevole da parte della PA.
Trattasi all’evidenza, quindi, nella prospettiva della ricognizione del debito, di una dichiarazione ricognitiva titolata, in quanto correlata alla specifica individuazione del rapporto dal quale scaturisce l’obbligazione e dei fatti sui quali si fonda l’obbligazione, ed è pertanto nei limiti segnati dalla stessa scrittura che è destinata ad operare l’inversione della regola dell’onere della prova scaturente dalla peculiare disciplina delle promesse unilaterali.
In particolare, e sempre con accertamento in fatto, la sentenza gravata ha sottolineato come invece il credito professionale oggetto della domanda monitoria fosse correlato alle diverse prestazioni professionali rese dal L. a seguito dell’incarico conferitogli, dapprima dall’arch. Sa. (socio accomandatario della Erregi S.a.s.) e, poi, dalla società con la scrittura del 20/9/2005. Ha però ritenuto che tale ulteriore incarico fosse distinto da quello oggetto della scrittura del *****, e ciò sia perché soggettivamente proveniente da committenti diversi, sia perché, oggettivamente, concerneva prestazioni successive alla pratica di lottizzazione già perfezionata, ma funzionali alla concreta costruzione degli appartamenti da edificare sui terreni poi acquistati dalla società.
Tale conclusione era altresì confortata dal rilievo che la somma richiesta in via monitoria trovava corrispondenza nel più elevato importo pattuito dal L. con il Sa. e la Erregi.
Risulta quindi insindacabile, sia perché trattasi di accertamento in fatto rimesso esclusivamente al giudice di merito, sia perché tale affermazione non risulta adeguatamente contrastata con i motivi di ricorso, che la dichiarazione ricognitiva asseritamente posta in essere dal S. facesse riferimento non a tutte le prestazioni professionali rese dal L., ma soltanto a quelle concernenti la pratica prodromica di lottizzazione, e che quindi in tale limitato ambito oggettivo potesse operare l’inversione dell’onere della prova e la responsabilità dell’ingiunto.
A fronte però di una pretesa monitoria riferita evidentemente ad un incarico cui il S. risultava essere estraneo, è stato consequenzialmente escluso che potesse invocarsi ex art. 1988 c.c., l’efficacia in chiave probatoria della dichiarazione del *****, il che rende evidente come non ricorra alcuna violazione della norma de qua.
4. Il secondo motivo di ricorso è del pari destituito di fondamento. La Corte di merito non è incorsa in alcuna violazione delle regole in punto di efficacia della cessione del contratto, ed in particolare in merito alla responsabilità del cedente in caso di inadempimento del contratto ceduto.
Al contrario, l’impossibilità di dare applicazione alla norma di cui all’art. 1410 c.c., comma 2 costituisce una piana conseguenza della ricostruzione dei fatti dedotti in causa, avendo la sentenza gravata escluso – con una succinta, ma chiara ed argomentata, motivazione – che, in relazione all’obbligazione vantata in sede monitoria, potesse ravvisarsi una cessione del contratto da parte del S..
Infatti, tenuto conto della distinzione tra le prestazioni oggetto della dichiarazione del 23 maggio 2003 (il cui compenso effettivamente il S. si era obbligato a corrispondere, anche per l’ipotesi in cui nelle more fosse intervenuta la cessione dei terreni) e le diverse prestazioni professionali dedotte nella scrittura privata del 21 settembre 2005, oggetto di accordo tra il L. e, da ultimo, la Erregi s.a.s., è stato coerentemente affermato che il S. risultava completamente estraneo a tale secondo rapporto negoziale, caratterizzato da parti e oggetto distinti.
Stante l’autonomia del secondo incarico professionale, al quale il controricorrente era rimasto del tutto estraneo, è evidente che non sussista alcun contratto che concerna tali prestazioni suscettibile di cessione da parte del S. in favore della società, essendo invece emerso che sia stata quest’ultima a concludere in proprio un distinto contratto d’opera intellettuale, il che denota come non possa in alcun modo ravvisarsi una pretesa violazione dell’art. 1410 c.c., comma 2, essendo altresì escluso che la dichiarazione del 23 maggio 2003 fosse suscettibile di estendere la propria efficacia a prestazioni successive e distinte da quelle in esso consacrate.
5. Anche il terzo motivo di ricorso e’, infine, immeritevole di accoglimento.
Infatti, quanto all’omessa disamina di fatti decisivi, in disparte il rilievo secondo cui a ben vedere il motivo denuncia più che l’omessa valutazione di fatti, piuttosto l’omessa considerazione di elementi di carattere probatorio, censura questa che non è permessa dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. sul punto Cass. S.U. n. 8054/2014), deve sicuramente escludersi che il giudice di merito non abbia valutato il contenuto della scrittura del *****, atteso che, per quanto sopra riportato, l’esito del giudizio di appello si fonda proprio sulla diversa interpretazione di tale scrittura offerta dai giudici di appello rispetto a quella invece fatta propria dal giudice di primo grado.
La critica appare, quindi, volta a sostenere la non condivisibilità dell’esito cui è pervenuta la Corte d’Appello, ma senza che tale critica sia sorretta da una puntuale individuazione delle violazioni delle regole di carattere ermeneutico commesse nella sentenza, risolvendosi quindi nella ritenuta non satisfattività per i propri interessi della soluzione raggiunta in secondo grado.
Quanto invece alla omessa valutazione del contenuto del preliminare del 14 luglio 2004 intercorso tra il S. ed Sa.Pa., all’epoca anche socio accomandatario della società, cui in sede di stipula del definitivo, i terreni sono stati trasferiti, si rileva che la denuncia persiste nell’assunto secondo cui il riferimento alle spese per la proposta lottizzazione, di cui si teneva conto ai fini della determinazione del prezzo, fossero anche quelle relative alla progettazione dei singoli appartamenti poi edificati dalla società acquirente, il tutto in contrasto con l’accertamento compiuto in sentenza circa la diversità oggettiva e soggettiva tra l’incarico di curare la lottizzazione e quello invece di procedere alla progettazione ed alla direzione dei lavori dell’attività edificatoria dei singoli appartamenti.
Infine, del tutto privo di decisività appare il contenuto della lettera raccomandata di risposta del S. alla richiesta di pagamento del L. del 24/3/2009, posto che l’invito rivolto dal S. a contattare l’arch. Sa., non implica alcun riconoscimento di essere obbligato anche per il compenso derivante dal successivo incarico, ma ben può essere intesa come finalizzata a ribadire la propria estraneità, con l’indicazione del soggetto cui rivolgersi, in quanto effettivamente obbligato.
6. Al rigetto del ricorso, consegue che le spese del giudizio debbano essere regolate in base al principio della soccombenza, come da dispositivo che segue.
7. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi 7.000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge se dovuti;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022