LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
N.I., cittadino gambiano, nato l'***** a Bundung (Gambia), elettivamente domiciliato in Milano, in Corso Venezia n. 24, presso lo studio dell’avvocato Filippo Bersani (pec:
filippo.bersani.miano.pecavvocati.it) che lo rappresenta e lo difende per procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
nei confronti di:
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 6170/2020 del Tribunale di Milano, depositata in data 15 settembre 2020, R.G. n. 11335/2019;
sentita la relazione in Camera di Consiglio del relatore cons. Di Marzio Mauro.
RILEVATO
che:
1. – Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35-bis, depositato 17 gennaio 2019, N.I., cittadino gambiano, nato a Bundung 1*****, ha adito il Tribunale di Milano, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
2. – Nel richiedere la protezione internazionale, il ricorrente esponeva di aver lasciato il Paese a seguito dei problemi avuti con la famiglia a causa della sua conversione al cristianesimo. In particolare, il ricorrente raccontava come, durante una accesa lite col padre, fedele musulmano coinvolto nelle attività delle moschea, questo fosse scivolato sbattendo la testa e perdendo i sensi. Mentre il padre veniva portato in ospedale, il ricorrente decideva di lasciare il Paese. Durante il viaggio un amico informava il ricorrente del decesso del padre. Il richiedente ha dichiarato di non poter fare ritorno in Gambia per paura del carcere a vita e della vendetta della sua famiglia. Al ricorso di primo grado il ricorrente allegava documentazione attestante sintomi di DPDS (disturbo da stress post traumatico) associato a sintomi di depressione maggiore e comportamento di ritiro sociale aggravato dai vissuti traumatici legati alla famiglia d’origine.
3. – Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione. In particolare ha ritenuto il racconto non credibile in quanto generico, vago e contraddittorio; ha ritenuto che la situazione in Gambia non fosse riconducibile, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), a un contesto di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di un effettivo radicamento in Italia. Rispetto alla situazione sanitaria del ricorrente, il Tribunale ha considerato come la mancata adesione del ricorrente alle cure e al percorso psichiatrico propostogli non rendesse il ricorrente meritevole di protezione.
4. – Avverso il predetto decreto il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi.
5. – L’intimata Amministrazione non ha svolto difese limitandosi al deposito di una irrituale comparsa di costituzione in vista dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.
6. – Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in Camera di Consiglio non partecipata del giorno 29 ottobre 2021 ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.
CONSIDERATO
che:
7. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, e artt. 7 e 8, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto non credibile la narrazione del richiedente, avvalendosi di una incompleta verbalizzazione dinanzi alla Commissione territoriale, senza disporre nuova audizione del richiedente medesimo.
Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14, 15 e 19, censurando il decreto impugnato per aver omesso una completa e ponderata valutazione circa l’effettiva situazione del Gambia.
Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, censurando il decreto impugnato la causa del diniego della protezione umanitaria.
Ritenuto che:
8. – Il ricorso è inammissibile.
8.1. – E’ inammissibile il primo mezzo.
In materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa -spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il fatto storico non valutato, il dato testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua decisività per la definizione della vertenza (Cass. 2 luglio 2020, n. 13578). Dunque, in caso di giudizio di non credibilità del richiedente, delle due l’una: o la motivazione è ” sotto soglia “, e allora si ricade nel n. 4 dell’art.; o la motivazione c’e’, e allora non resta se non sostenere che il giudice di merito, nel formulare il giudizio di non credibilità, ha omesso di considerare un fatto, che era stato allegato e discusso, potenzialmente decisivo, per il fine della conferma della credibilità.
Nel caso in esame: a) il giudizio di non credibilità è sostenuto da una motivazione senz’altro eccedente la soglia del minimo costituzionale, svolta in particolare alle pagine 3-4 del decreto impugnato; b) il ricorrente non individua alcuno specifico fatto decisivo e controverso che il giudice di merito non avrebbe considerato, ma fonda proprio censura sull’assunto secondo cui il Tribunale avrebbe ignorato “alcune frasi verbalizzate dalla Commissione territoriale”: e, però, quali siano tali frasi neppure si sa.
Quanto alla mancata audizione del richiedente in Tribunale, va fatta applicazione del principio secondo cui, nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (Cass. 7 ottobre 2020, n. 21584). Nessuna delle ipotesi considerate ricorre nella specie. D’altronde, il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Cass. 11 novembre 2020, n. 25312). Siffatta indicazione manca.
8.2. – E’ inammissibile il secondo mezzo.
Il giudizio di non credibilità del richiedente preclude l’accesso alla protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (tra le tante Cass. 29 maggio 2020, n. 10286). Per il resto il Tribunale ha espressamente citato le fonti internazionali tali da escludere la sussistenza, in Gambia, è una situazione riconducibile alla lettera c) della citata disposizione: a fronte di ciò il ricorrente non richiama fonti alternative, ma alla menta “una situazione economica e sociale fortemente in difficoltà, un sistema di giustizia e forze di polizia corrotti” (pagina 10 del ricorso) ossia un quadro che non ha nulla a che vedere con la situazione di conflitto armato cui si riferisce la norma in esame. 8.3. – Il terzo mezzo è inammissibile. Il suo contenuto difatti non chiarisce neppure approssimativamente in cosa consisterebbe la individuale condizione di vulnerabilità del richiedente, che seppure ricondotta esclusivamente alla sua vicenda personale prospettata nel giudizio di merito non è stata, come si è detto, ritenuta credibile dal Tribunale con una motivazione non sindacabile in sede di legittimità. 9. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022