LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
C.O., rappr. e dif. dall’avv. Massimo Goti massimogoti.pec.avvocati.prato.it, elett. dom. in Prato, via Q.
Baldinucci n. 71, come da procura allegata in calce all’atto;
– ricorrente –
Contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr e dif. ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è
domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– costituito –
per la cassazione del decreto Trib. Firenze 8.6.2021, n. 3194/2021, R.G. 14427/2018;
udita la relazione della causa svolta dal relatore Dott. Massimo Ferro alla camera di consiglio del 1 febbraio 2022.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. C.O. impugna il decreto Trib. Firenze 8.6.2021, n. 3194/2021, R.G. 14427/2018, che ha rigettato il ricorso contro il provvedimento della Commissione Territoriale di Firenze 25.9.2018, la quale aveva negato la protezione internazionale, in tutte le misure, nonché il permesso di soggiorno per motivi umanitari;
2. il decreto qui impugnato ha ritenuto che: a) le dichiarazioni rese dal ricorrente, valutate nel loro complesso, risultano generiche, lacunose e inattendibili e la vicenda narrata non appare sufficientemente circostanziata; il ricorrente, nello specifico, ha riferito che, dopo essere venuto telefonicamente a conoscenza dell’uccisione dei genitori avvenuta in circostanze non adeguatamente dettagliate, ha deciso di fuggire immediatamente da *****, cittadina della regione nigeriana del Delta State, senza prestare soccorso ai genitori o denunciare l’accaduto alla polizia, per il timore di essere anch’egli ucciso dagli assassini dei genitori, in realtà mal celando la volontà di cercare, fuori dalla Nigeria, condizioni di vita più favorevoli; b) non sussistono i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, dal momento che i fatti rappresentati dal richiedente non sono rilevanti a tale scopo, non avendo lo stesso fatto menzione di alcuna propria affiliazione politica né partecipato ad attività per associazioni per i diritti civili e non essendo la sua figura riconducibile alle categorie esposte a violenze, torture o altre forme di trattamenti inumani; c) non emergono i presupposti per la concessione della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), attesa non solo la valutazione di non credibilità del richiedente in ordine ai fatti costitutivi ma anche la non attualità e l’ineffettività del pericolo paventato dal ricorrente di essere ucciso in caso di rientro in patria, considerato che dalla data dei presunti eventi e in ogni caso trascorso un considerevole lasso di tempo e che in sede di audizione non ha fatto riferimento a minacce concrete indirizzate alla sua persona, per le quali peraltro non ha mai chiesto l’intervento delle autorità di polizia locale; si deve, al pari, escludere, che nel Delta State, nonostante le tensioni registratesi, sia presente una situazione di violenza diffusa e indiscriminata tale da integrare gli estremi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); d) non sussistono le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, nella versione vigente ratione temporis anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 113 del 2018, posto che il ricorrente, attesa l’assenza di una condizione personale di vulnerabilità, non ha prodotto nessuna documentazione dalla quale risulti che svolga o abbia mai svolto attività lavorativa, ad eccezione di corsi di formazione e di volontariato e di corsi di lingua italiana per i quali non è stata rilasciata nessuna certificazione, con la conseguenza che non si ritiene raggiunto un significativo livello di integrazione socio-lavorativa che giustifichi e legittimi la concessione del permesso, anche in considerazione del permanere del richiedente all’interno del circuito di accoglienza;
3. il ricorso è su due motivi; ad esso resiste il Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, comma 1, lett. a), b) e c) e, all’altezza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente nell’area di provenienza del ricorrente (Delta State, in Nigeria) e all’inadempimento da parte del giudice territoriale dell’obbligo di cooperazione istruttoria, ritenendo che il tribunale ha illegittimamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria non considerando che nella regione del Delta State non sono presenti autorità statuali che siano effettivamente in grado di impedire il tratteggiarsi di un quadro di violenza diffusa e indiscriminata;
2. con il secondo motivo si contesta la violazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 286 del 1998 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonché del D.L. n. 130 del 2020 per l’omessa motivazione in merito al riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ritenendo che il tribunale non ha tenuto conto delle disposizioni recentemente introdotte dal D.L. n. 130 del 2020 e che la considerazione che il richiedente sia ancora inserito nel circuito di accoglienza non può fondare l’esclusione della sussistenza della sua integrazione socio-lavorativa;
3. preliminarmente va rilevato che il ricorso è inammissibile; difatti, in difformità rispetto a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, quarto inciso, la procura speciale alle liti rilasciata ai fini della presentazione del ricorso, pur essendo stata la sottoscrizione del ricorrente autenticata dal difensore a tal fine nominato, è tuttavia priva della certificazione da parte del medesimo difensore che il suo rilascio è avvenuto in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; si rende perciò applicabile il principio, disposto da Cass. s.u. n. 15177 del 1 giugno 2021, secondo cui “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui prevede che “La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima” ha richiesto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso”, nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore”; la predetta procura, pertanto, “deve contenere in modo esplicito l’indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l’autenticità della firma del conferente”.
4. facendo applicazione del principio di diritto qui ricordato, confermato anche da Corte Cost. n. 13 del 2022, il ricorso per cassazione proposto dal ricorrente è dunque inammissibile; nel caso di specie, infatti, la procura speciale rilasciata al difensore in calce al ricorso per cassazione – pur dettagliata nel contenuto con indicazione del decreto di rigetto adottato dal Tribunale di Firenze e della sua data – non contiene alcuna espressione dalla quale risulti che il difensore abbia inteso certificare che la data di conferimento della procura sia stata successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato, recando unicamente l’autenticazione della firma;
il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile; ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022