Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.6465 del 28/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7000-2017 proposto da:

Z.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 30, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GIZZI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Z.C., CESARE MENOTTO ZAULI;

– ricorrente –

contro

T.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 129/2017 del TRIBUNALE di FORLI’, depositata il 07/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE L’avv. Z.C. ha proposto ricorso, sulla scorta di sette motivi, per la cassazione della sentenza con cui il Tribunale di Forlì ha rigettato l’appello da lui proposto avversi la sentenza del Giudice di Pace della stessa città che, pronunciandosi sulla sua domanda di pagamento di prestazioni professionali rese in favore del sig. T.R., aveva liquidato il suo compenso in Euro 600, compensando (recte: dichiarando irripetibili) le spese del giudizio.

In fatto, per quanto qui interessa, è pacifico che:

– il sig. T. – guardia giurata presso l’istituto di vigilanza privata Coopservice soc.c.oop.p.a. – aveva conferito all’avv. Z. un incarico difensivo relativo ai profili civili, penali e amministrativi delle impugnative che egli intendeva proporre avverso due provvedimenti prefettizi, emessi dai Prefetti di Reggio Emilia e di Ferrara, con i quali, a causa di un’indagine aperta a suo carico dai Carabinieri di Codigoro per il delitto di cui all’art. 378 c.p., era stata sospesa l’efficacia del decreto di approvazione della sua nomina a guardia giurata ed era stata revocata la licenza di porto d’armi a tassa ridotta di cui egli era titolare;

– con un contratto scritto di patrocinio dell’11 ottobre 2013, il sig. T. e l’avv. Z. avevano pattuito un compenso dell’importo di Euro 2.500 per lo studio del contenzioso e la predisposizione di due memorie difensive dirette ai Prefetti di Reggio Emilia e di Ferrara e per eventuali memorie ex art. 415 bis c.p.c.;

nel gennaio 2014 il sig. T. revocò l’incarico all’avv. Z. prima che costui avesse prodotto alcun atto.

In seguito al recesso dal rapporto d’opera professionale, il sig. T. non corrispondeva alcun compenso all’avv. Z., il quale, pertanto, lo conveniva davanti al Giudice di Pace di Forlì per sentirlo condannare all’adempimento delle obbligazioni sul medesimo gravanti in base al menzionato contratto di patrocinio. Il Giudice di Pace, nella contumacia del sig. T., riteneva dovuto all’avv. Z. solo il compenso per l’attività di studio preparatorio e, a tale titolo, liquidava in favore del medesimo la somma di Euro 600, dichiarando irripetibili, nella contumacia del convenuto, le spese dell’attore.

L’avv. Z. proponeva appello contro la sentenza di primo grado, contestando la liquidazione del compenso effettuata dal primo giudice e dolendosi del mancato riconoscimento delle sue spese di lite, giustificato dal Giudice di Pace sul rilievo che egli si era difeso in proprio.

Il Tribunale ha rigettato l’appello sul rilievo che, pur essendo stato il compenso definito contrattualmente tra le parti, l’attività prevista nel contratto di patrocinio era stata espletata solo in parte. Il giudice di appello ha inoltre condiviso la valutazione del primo giudice alla cui stregua doveva ritenersi congruo il compenso di Euro 600 per l’attività di studio svolta dal professionista prima della revoca del mandato ed ha confermato la compensazione delle spese del giudizio di primo grado in ragione dell’accoglimento soltanto parziale della domanda, oltre che della complessità della causa.

Al ricorso per cassazione dell’avv. Z. il sig. T. non ha replicato, restando intimato.

La causa è stata decisa nell’adunanza camerale del 4 novembre 2021, per la quale non sono state depositate memorie.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’avv. Z. deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 3, sostenendo che il compenso convenuto, documentato dalla scrittura contrattuale inter partes, gli spetterebbe nell’integrale misura concordata di Euro 2.500.

Il motivo non può trovare accoglimento, giacché l’assunto del ricorrente contrasta con il disposto dell’art. 2337 c.c., comma 1 alla cui stregua “Il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta”. Va qui pertanto ribadito il principio, espresso di recente in Cass. 29745/20, secondo cui “In materia di prestazioni professionali, il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che esso è dovuto non per tutta l’opera commessa, ma solo per l’opera svolta. Sicché, in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all’intero compenso”. Il giudice ha operato un apprezzamento di fatto in ordine alle prestazioni eseguite dall’avv. Z. (cfr. pag. 4 e 5 della sentenza) ed ha liquidato il compenso in una frazione del pattuito. Il ricorrente non muove alcuna specifica censura in ordine alla corrispondenza del rapporto proporzionale tra compenso giudizialmente riconosciuto (Euro 600) e compenso pattuito (Euro 2.500) con il rapporto proporzionale tra prestazione eseguita (studio del contenzioso) e prestazione pattuita (studio del contenzioso, predisposizione di due memorie difensive dirette ai Prefetti di Reggio Emilia e di Ferrara, eventuali memorie ex art. 415 bis c.p.c.). Donde l’infondatezza del motivo.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 1 e del D.M. giustizia n. 140 del 2012, nonché del D.M. n. 140 del 2012, art. 9. In particolare, il ricorrente sostiene che il giudice, nel determinare il compenso senza tenere conto del documento scritto, si sarebbe dovuto rifare ai parametri indicati dalle disposizioni sopra richiamate. Il motivo è infondato perché, alla stregua del principio di diritto enunciato dalla già citata sentenza di questa Corte n. 29745/20, il compenso dell’avv. Z. per l’attività di studio da lui svolta a favore del sig. T. non andava determinato, come argomentato nel motivo di ricorso in esame, con riferimento alle tariffe forensi, bensì in una percentuale del compenso convenuto inter partes proporzionata al rapporto tra attività svolta e attività convenuta.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta nuovamente la violazione dell’art. 2233 c.c., sostanzialmente sostenendo che il giudice di merito non avrebbe correttamente valutato la complessità delle questioni oggetto dell’attività professionale da lui svolta in favore del sig. T..

Con il quarto motivo, viene reiterata la doglianza sviluppata nel motivo precedente, affrontata, tuttavia, sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo.

Con il quinto motivo, il ricorrente assume che l’art. 2233 c.c., comma 2, sarebbe stato violato per effetto della liquidazione del compenso in un importo, a suo dire, praticamente simbolico.

In terzo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente, e vanno rigettati per la stessa ragione su cui si fonda il rigetto del secondo motivo, ossia perché, qualora il compenso di un’opera professionale sia stato convenuto tra le parti, la somma spettante al professionista in caso di recesso anticipato del cliente va liquidata in una percentuale dell’importo pattuito corrispondente alla proporzione tra l’attività effettivamente svolta e l’opera complessivamente affidata dal cliente al professionista; né il ricorrente sostiene – e, comunque, sarebbe manifestamente apodittico sostenere – che l’importo di 2.500 Euro convenuto per l’intera prestazione fosse inadeguato all’importanza dell’opera ed al decoro della professione.

Con il sesto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 384 c.p.c., comma 4, in cui il Tribunale sarebbe incorso là dove, pronunciandosi sul motivo di appello con cui l’odierno ricorrente aveva censurato la statuizione del Giudice di Pace che aveva escluso il suo diritto alla ripetizione delle spese del primo grado, ha rigettato la doglianza adottando, in assenza di appello incidentale del sig. T., una motivazione (la parziale reciproca soccombenza, ravvisata nell’accoglimento della domanda per una somma inferiore a quella richiesta) diversa da quella del primo giudice (l’essersi l’avv. Z. difeso in proprio). In tal modo, argomenta il ricorrente, il giudice di appello si sarebbe arrogato un potere – quello di correggere la motivazione del provvedimento impugnato, confermandone la decisione – che l’art. 384 c.p.c. assegna solo alla Corte di cassazione.

Il motivo è infondato perché l’effetto devolutivo dell’appello implica che il secondo giudice possa confermare la sentenza gravata per ragioni diverse da quelle spese dal primo giudice: cfr. Cass. n. 513/19 “In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice”.

Con il settimo, e ultimo, motivo viene ancora dedotta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., dell’art. 384 c.p.c. e si lamenta che il Giudice di Pace abbia escluso il diritto dell’attore alla ripetizione delle spese del primo grado in base alla sola circostanza il medesimo si era difeso in proprio.

Il motivo è inammissibile perché attinge una argomentazione sviluppata nella sentenza di prime cure e non riproposta nella sentenza qui impugnata.

Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a regolazione di spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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