Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.6468 del 28/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 4981/2018) proposto da:

R.A., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Ignazio La Russa, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Fabio Alberici, in Roma, v. delle Fornaci, n. 38;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, (C.F.: *****), in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avv.ti Antonello Mandarano, Ruggero Meroni, e Donatella Silvia, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Lepore, in Roma, via Polibio, n. 15;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3240/2017 (pubblicata in data 11 luglio 2017);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2022 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata dal controricorrente ai sensi dell’art.

380-bis.1. c.p.c.

RITENUTO IN FATTO

1. R.A. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Milano, avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 6846/2014/8/1/1 del 26 agosto 2014, con la quale il Comune di Milano gli aveva irrogato la sanzione amministrativa del pagamento della somma di Euro 115.360,00 in ordine alla violazione reiterata dell’art. 4, comma 12 del Regolamento comunale sulla pubblicità, per aver effettuato pubblicità elettorale in assenza della prescritta autorizzazione in un periodo antecedente i trenta giorni precedenti il primo indicato per la votazione.

Nella costituzione del Comune opposto, il Tribunale adito, con sentenza n. 12073/2016, rigettava l’opposizione quanto alla contestazione sulla sussistenza della citata violazione ma, in accoglimento parziale della stessa, riduceva la sanzione inflitta all’importo di Euro 8.652,00, applicando la L. n. 689 del 1981, art. 8-bis, comma 4.

2. Decidendo sull’appello avanzato dal Comune di Milano, cui resisteva l’appellato, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3240/2017 (pubblicata l’11 luglio 2017), lo riteneva fondato e, pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, confermava l’opposta ordinanza-ingiunzione emessa nei riguardi del R., condannandolo al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte milanese rilevava che, nel caso di specie, non poteva trovare applicazione il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 8-bis, comma 4, non essendo ravvisabile, con riferimento agli illeciti contestati al R., un’unicità di condotta di durata nell’affissione dei manifesti di cui era stata accertata l’abusività, atteso che si versava nell’ipotesi di comportamenti plurimi posti in essere in diverse zone della città di Milano, come risultava dal prospetto acquisito agli atti e sulla base dei plurimi e distinti verbali di accertamento elevati a suo carico, e ciò si era venuto a verificare anche nell’ambito della stessa giornata, ragion per cui era sicuramente ravvisabile una pluralità di condotte, che, perciò, escludeva l’applicazione della suddetta norma.

3. Avverso detta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a due motivi, lo stesso R.A.. L’intimato Comune di Milano si è costituito con controricorso, illustrato da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e l’erronea applicazione della L. n. 212 del 1956, art. 8 sul presupposto che, nella fattispecie, si sarebbe dovuta applicare la normativa sulla propaganda elettorale e non quella riguardante la pubblicità commerciale ovvero riguardante la pubblica affissione, il cui presupposto per l’applicazione della prevista imposta consiste nella diffusione del messaggio promozionale di un’attività, per l’appunto, commerciale.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione od erronea applicazione dei principi propri dei procedimenti amministrativi e, in particolare, l’errata applicazione dell’istituito del cumulo giuridico di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 8 e 8-bis deducendo che, nel caso in questione, alla stregua della caratteristiche della consumazione della complessiva condotta così come ascritta ad esso ricorrente, la stessa avrebbe dovuto essere considerata in termini unitari.

3. Rileva il collegio che il primo motivo è inammissibile dal momento che sulla natura giuridica della violazione oggetto di accertamento e sulla disciplina normativa effettivamente applicabile deve ritenersi formato il giudicato interno, in quanto con la sentenza di primo grado era stata ritenuta sussistente la violazione ricondotta all’art. 4, comma 12, del regolamento comunale sulla pubblicità (come effettivamente contestata all’odierno ricorrente) e su questa statuizione non risulta che il Comune avesse proposto un motivo di appello principale né che il R. avesse formulato uno specifico motivo di appello incidentale, ragion per cui l’allegazione di tale questione in sede di cassazione si prospetta come nuova e da considerarsi, perciò, ormai preclusa perché coperta da giudicato.

4. La seconda censura è infondata e deve, pertanto, essere respinta.

Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, nella materia delle sanzioni amministrative, allorché siano poste in essere inequivocabilmente più condotte realizzatrici della medesima violazione, non è applicabile in via analogica l’istituto della continuazione di cui all’art. 81 c.p., comma 2, ma esclusivamente quello del concorso formale, in quanto espressamente previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 8 il quale richiede l’unicità dell’azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni. La disciplina stabilita dal citato art. 8 non subisce deroghe neppure in base alla successiva previsione di cui all’art. 8-bis medesima legge (inserito dal D.Lgs. n. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 94, comma 1), che, salve le ipotesi eccezionali del comma 2, ha escluso, sussistendo determinati presupposti, la computabilità delle violazioni amministrative successive alla prima solo al fine di rendere inoperanti le ulteriori conseguenze sanzionatorie della reiterazione (v., per tutte, Cass. n. 26434/2014 e Cass. n. 10890/2018).

Pertanto, nell’attuale quadro normativo, l’unificazione, ai fini dell’applicazione della sanzione – nella misura massima del triplo di quella prevista per la violazione più grave – in ordine a plurime trasgressioni di diverse disposizioni o della medesima disposizione, riguarda, ai sensi dell’art. 8, comma 1 in questione, esclusivamente l’ipotesi in cui la pluralità delle violazioni discenda da un’unica condotta e, quindi, non opera nel caso di condotte distinte, quantunque collegate sul piano dell’identità di una stessa intenzione plurioffensiva (al di fuori, in via di eccezione, delle violazioni attinenti alla materia previdenziale ed assistenziale, indicate nel comma 2), nella cui ipotesi, perciò, trova applicazione il criterio generale del cumulo materiale delle sanzioni.

E’ opportuno puntualizzare che il citato nuovo art. 8-bis inserito nel corpo della L. n. 689 del 1981 ha individuato un regime normativo che conferisse rilievo pure all’aspetto concernente la reiterazione delle violazioni amministrative, nell’ottica di garantire un certo equilibrio tra il soddisfacimento di un’esigenza afferente al decongestionamento del sistema penale e la realizzazione di quella riconducibile al potenziamento dell’efficacia dissuasiva del complesso sanzionatorio amministrativo. In effetti, l’istituto della reiterazione nell’illecito, previsto in detta norma, rappresenta il corrispondente in materia amministrativa di alcune forme della recidiva penale (specifica ed infraquinquennale, come previsto dall’art. 99 c.p., comma 2, nn. 1 e 2), fungendo da circostanza aggravante nei casi espressamente previsti dalla legge. Pertanto, esso non opera quale elemento unificante ai fini della sanzione del precedente L. n. 689 del 1981, art. 8 secondo il modello proprio della continuazione (art. 81 c.p., comma 2), e non ha modificato il principio generale, desumibile dallo stesso art. 8, secondo cui la sanzione più grave aumentata sino al triplo non può essere irrogata, fatte salve – come già evidenziato – le ipotesi eccezionali indicate nel comma 2 (violazioni delle norme previdenziali ed assistenziali), che nei soli casi di concorso formale (corrispondente all’art. 81 c.p., comma 1).

Pertanto, la previsione di cui al medesimo L. n. 689 del 1981, art. 8-bis, comma 1 relativa alle “violazioni amministrative commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria”, è dettata al solo fine di escludere l’effetto aggravante che deriverebbe dalla reiterazione e non in funzione di unificazione della sanzione (cfr. Cass. n. 17347/2007, Cass. n. 5252/2011 e Cass. n. 10890/2018, cit.).

Alla stregua di quanto esposto consegue che, nel caso di specie, come correttamente ritenuto con l’impugnata sentenza, non sussistevano le condizioni né per l’applicazione dell’art. 8 né per quella del successivo L. n. 689 del 1981, art. 8-bis in quanto non poteva rilevarsi nelle condotte ascritte al R. un comportamento unico ed unitario, siccome l’affissione abusiva dell’accertato rilevantissimo numero di manifesti elettorali era stata consumata attraverso plurime condotte poste in essere in zone diverse del territorio comunale ed in tempi diversi, tanto è vero che esse avevano costituito oggetto dell’elevazione di una pluralità di verbali di accertamento tra loro differenziati, essendo altresì pacificamente inapplicabile – per quanto già evidenziato – la disciplina della continuazione e non sussistendo, altresì (in base a quanto in precedenza spiegato), neanche le condizioni per l’applicazione dell’art. 8-bis, comma 4 stessa legge.

5. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta del valore della causa e delle attività compiute dal controricorrente.

Infine, in virtù del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario ed ulteriori accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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