LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30026/2020 proposto da:
K.S., domiciliato in Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanbattista Scordamaglia;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza 1431/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO depositata il 21/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.
FATTI DI CAUSA
1. K.S., cittadino *****, ricorre a questa Corte avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro, attinta dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e art. 702-quater c.p.c., ne ha respinto il gravame avverso il diniego in primo grado delle misure di protezione internazionale ed umanitaria e ne chiede la cassazione sul rilievo 1) della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8,10 e 27 per avere il decidente negato il riconoscimento delle misure reclamate in ragione della divisata inattendibilità del ricorrente e senza far uso dei poteri istruttori d’ufficio segnatamente in relazione alla discriminazione di genere posta in essere in danno degli omosessuali nel contesto sociale di provenienza; 2) della violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 6,7 e 8 per avere il decidente negato il riconoscimento delle misure reclamate senza prendere atto delle circostanze di fatto che avevano indotto il ricorrente alla fuga (minacce di morte della famiglia con un figlio della quale il ricorrente aveva avuto una relazione) e senza valutare in questa prospettiva l’acclarato orientamento sessuale del ricorrente; 3) della violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3 e art. 14, lett. a) e b), per avere il decidente negato il riconoscimento delle misure reclamate senza aver considerato i rischi cui il ricorrente in ragione del suo orientamento sessuale sarebbe esposto in caso di rientro in patria, costituendo nel paese di provenienza l’omosessualità un reato, e senza aver valutato il rischio paese in forza di informazioni aggiornate; 4) della violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 per avere il decidente negato il riconoscimento della protezione umanitaria senza attenersi ai criteri di giudizio enunciati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte e senza considerare il favorevole percorso di integrazione compiuto dal ricorrente nel paese di accoglienza.
Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato non essendosi il medesimo costituito con controricorso ex art. 370 c.p.c. ma solo a mezzo di “atto di costituzione” ai fini della partecipazione all’udienza pubblica inidoneo allo scopo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo, il secondo ed il terzo motivo – quest’ultimo limitatamente all’addebito in punto di omessa considerazione dell’orientamento sessuale del ricorrente – valutabili congiuntamente in quanto riflettenti la medesima censura – sono affetti da pregiudiziale inammissibilità in quanto volti a sindacare il giudizio di non credibilità espresso dal decidente in ordine ai fatti narrati dal richiedente.
La Corte d’Appello ha invero motivato l’assunto decisorio dando atto delle circostanze in tal senso ritenute rilevanti (inattendibilità delle percosse e della mancanza di scandalo pur essendo il rapporto durato nel tempo) ed osservando, in chiosa ad esse, che le dichiarazioni rese dal ricorrente “non offrono elementi utili per il riconoscimento della protezione internazionale e riportano un racconto privo di riscontri e non attendibile nella parte in cui riferiscono il rapporto omosessuale con un amico e la scoperta dello stesso da parte dei familiari di quest’ultimo”, in tal senso intendendo rimarcare anche la debolezza dell’impianto fattuale a servizio della tesi ricorrente, segnatamente manchevole sotto il profilo dell’onere che, pur in un procedimento contrassegnato da un oggettiva attenuazione dell’onere probatorio, pur sempre compete all’interessato di dedurre i fatti costitutivi delle proprie pretese.
E’ perciò appena il caso di rimarcare, a fronte del giudizio di non credibilità esternato dal decidente, che si tratta di apprezzamento di fatto rimesso all’esclusivo responso del giudice di merito, non sindacabile altrimenti in questa sede se non nei ridotti limiti in cui ancora è praticabile il controllo di legittimità sulla motivazione (Cass., Sez. I, 5/02/2019, n. 3340), che, ancorché non evocato dal ricorrente, non sortirebbe qui effetto cassatorio alcuno perché rispetto all’unico fatto dedotto il negativo giudizio del decidente è congruamente motivato.
2.2. Se il giudizio così declinato dispensa il decidente dal dovere di fare uso dei poteri istruttori officiosi in relazione alle fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) (Cass., Sez. I, 29/05/2020, n. 10826), quanto al residuale addebito di cui si legge, con riferimento alla fattispecie di cui alla lett. c) del medesimo articolo, nel terzo motivo di ricorso (mancata valutazione del rischio paese), la censura ricorrente si rivela cedevole giacché non si perita, pur allegando una fonte informativa di asserita epoca successiva a quelle richiamate dal decidente, di riprodurne il contenuto ed in particolare di precisare per quali considerazioni essa, differenziandosi in ciò da quelle citate in sentenza, dovrebbe rappresentare un’evoluzione in senso peggiorativo delle condizioni interne del paese di provenienza tale da rendere apprezzabile il rischio per il ricorrente di essere esposto ad un danno grave per il solo fatto del rimpatrio.
3. Il quarto motivo di ricorso si espone anch’esso al medesimo rilievo ostativo al suo esame, da un lato, perché rispetto all’ampia motivazione con cui, nel solco dell’insegnamento tracciato dalla giurisprudenza di questa Corte, ha escluso la sussistenza in capo al ricorrente di una condizione di vulnerabilità argomentabile in relazione alla deprivazione dei diritti umani fondamentali cui il medesimo potrebbe essere esposto in conseguenza del suo rimpatrio, la doglianza ha valenza puramente meritale compendiando al suo interno unicamente un invito a rinnovare il giudizio di fatto esperito dal giudice del gravame; dall’altro perché gli elementi di fatto rapportati a comprova del favorevole percorso integrativo compiuto dal ricorrente nel nostro paese – in astratto costituenti fonti di utile apprezzamento secondo i dettami di SS.UU. 24413/2021 – non consta che siano stati debitamente rappresentati in sede di merito onde essi costituiscono allegazione nuova e, comunque, per il silenzio del ricorso sul quomodo ed il quando della loro deduzione, non autosufficiente.
4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
5. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022