LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6172-2020 proposto da:
O.E.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ERCOLE BOMBELLI 29/B, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VERRASTRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO QUADRUCCIO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 1150/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/06/2019 R.G.N. 1331/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 16/11/2021 dal Consigliere Dott. PAGETTA ANTONELLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte di appello di l’Aquila pronunziando in sede di riassunzione conseguente a cassazione con rinvio ha confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria, di O.E.K., cittadino nigeriano;
2. dal provvedimento impugnato si evince che l’odierno ricorrente aveva motivato la fuga dal Paese di origine con il fatto che rimasto orfano aveva in ogni modo tentato di sopravvivere nel Paese di origine, avendo però dovuto assistere a violenze ed ingiustizie talmente gravi e ripetute da indurlo ad allontanarsi alla volta della Libia e quindi a raggiungere l’Italia; in particolare il richiedente aveva richiamato la gravità della situazione socio-politica in Nigeria, le iniziative del gruppo terroristico facente capo a Boko Haram nonché la diffusa violenza praticata dalle gang universitarie;
3. la Corte di merito, premesso che la storia del richiedente come esposta in sede amministrativa risultava estremamente scarna e priva di elementi storici destinati a consentire la contestualizzazione degli eventi, ha escluso sulla base delle informazioni acquisite la esistenza nella regione di provenienza, collocata nella parte Sud della Nigeria, di una situazione di violenza indiscriminata giustificativa della protezione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); neppure sussistevano i presupposti della protezione umanitaria che richiedeva la puntale individualizzazione del caso e non poteva essere giustificata mediante il richiamo a problemi di instabilità nel Paese di origine o di provenienza;
4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso O.E.K. sulla base di due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27, censurando la sentenza impugnata per violazione del dovere di cooperazione istruttoria nell’indagine relativa alla situazione della Nigeria, che asserisce fondata su fonti non aggiornate;
2. con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio censurando il rigetto della domanda relativa alla protezione umanitaria; argomenta in particolare che il riconoscimento della protezione umanitaria può essere collegato anche alla violazione di diritti fondamentali nel paese di origine e che era mancata la verifica comparativa tra la situazione personale vissuta prima della partenza e quella alla quale il richiedente si sarebbe trovato esposto in caso di rimpatrio;
3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;
3.1. secondo il giudice di legittimità in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. n. 26 728/2019);
3.2. parte ricorrente, in relazione alla protezione D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), l’unica fra quelle relative alla protezione sussidiaria, ancora sub iudice, non ha osservato tali prescrizioni limitandosi a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perché esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (v. tra le altre, Cass. n. 2563/2020); in particolare, l’accertamento della Corte distrettuale, fondato su una pluralità di fonti, puntualmente richiamate in sentenza e, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, aggiornate al momento della decisione (v. richiamo a rapporto COI Nigeria dell’anno 2019, sentenza, pag. 8), non appare incrinabile dalle prospettazioni fattuali del ricorrente; tali prospettazioni sono infatti argomentate sulla base di informazioni, tratte peraltro in maniera per così dire decontestualizzata rispetto ai vari rapporti citati, che già prima facie non risultano in chiaro contrasto con le conclusioni tratte dalla Corte distrettuale; men che meno a tal fine risultano dirimenti le informazioni fondate sul sito del Ministero degli Esteri “Viaggiare sicuri” il cui scopo e funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti nei procedimenti di protezione internazionale (Cass. n. 8819/2020);
4. il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la rilevata genericità di allegazione del richiedente in ordine alle vicenda individuale ed alle ragioni che lo avrebbero indotto ad abbandonare il Paese di origine, comporta la mancanza di una storia di base suscettibile di protezione;
4.1. la Corte di merito ha escluso la esistenza di una particolare situazione di vulnerabilità, che ha ritenuto non integrata dal generico riferimento alla situazione di povertà del richiedente e alla situazione economico- sociale del Paese di origine, e tale valutazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perché non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass. n. 3681/2019);
5. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo il Ministero dell’Interno, tardivamente costituitosi, svolto attività difensiva;
6. si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022