LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16893/2016 R.G. proposto da:
B.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Longo, con domicilio eletto in Roma, viale Liegi, n. 32, presso lo studio dell’Avv. Marcello Clarich;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ DI PROGETTO BREBEMI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. V.C., rappresentata e difesa dagli Avv. Jacopo Sanalitro, e Luigi V. Damone, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e CONSORZIO BBM, e C.A.L. – CONCESSIONI AUTOSTRADALI LOMBARDE S.P.A.;
– intimati –
avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Milano depositata il 14 maggio 2015 e l’ordinanza n. 2025/16, depositata il 2 giugno 2016;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. La Società di Progetto Brebemi S.p.a. convenne in giudizio B.D., il Consorzio BBM e la C.A.L. – Concessioni Autostradali Lombarde S.p.a., proponendo opposizione alla stima dell’indennità determinata ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 21 in relazione all’espropriazione, disposta con decreto dell'*****, di un fondo di proprietà del B. sito in parte nel Comune di *****, e riportato in Catasto al foglio *****, ed in parte nel Comune di *****, e riportato in Catasto al foglio *****.
A sostegno della domanda, l’attrice contestò il valore di mercato attribuito al fondo, avente destinazione agricola, nonché la determinazione delle indennità di asservimento, occupazione temporanea ed occupazione d’urgenza, dell’indennità di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 e dell’indennità per il soprassuolo, sostenendo inoltre l’inapplicabilità dell’art. 33 cit. ai fini della compensazione del pregiudizio arrecato ai fabbricati.
Si costituì il B., ed eccepì il difetto di legittimazione dell’opponente, in qualità di autorità espropriante, chiedendo in via riconvenzionale la rideterminazione delle indennità di espropriazione, asservimento ed occupazione.
1.1. Con ordinanza non definitiva del 14 maggio 2015, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata dal convenuto, osservando che, anche nell’ipotesi di concorso di più enti nella realizzazione dell’opera pubblica, parte del rapporto espropriativo e obbligato al pagamento dell’indennità è il soggetto espropriante, vale a dire quello in favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione.
1.2. Con ordinanza definitiva del 2 maggio 2016, la Corte ha poi determinato l’indennizzo complessivamente dovuto in Euro 2.414.486,31.
Premesso che l’indennità di espropriazione dev’essere determinata tenendo conto delle caratteristiche del bene al momento dell’emissione del decreto di espropriazione e dell’incidenza dei vincoli non aventi non aventi natura espropriativa, la Corte ha richiamato la stima compiuta dal c.t.u. nominato nel corso dell’istruttoria, il quale aveva accertato la natura agricola del fondo espropriato e ne aveva determinato il valore complessivo in Euro 784.134,75, sulla base del prezzo medio di mercato e della superficie acquisita. Ha poi determinato in Euro 70.271,11 l’indennità dovuta per l’asservimento, in Euro 87.440,04 quella dovuta per l’occupazione temporanea, protrattasi dal 6 giugno 2011 al 30 novembre 2015, in Euro 239.188,53 l’indennità di occupazione d’urgenza dovuta per le aree espropriate ed in Euro 295.073,71 quella dovuta per le aree asservite. Considerato inoltre che il proprietario rivestiva la qualifica di coltivatore diretto, e rilevato che alla data di apposizione del vincolo i terreni situati a sud della strada provinciale ***** erano destinati alla produzione di legname, avente carattere transitorio ed integrante il ciclo produttivo aziendale, mentre gli altri terreni avevano natura seminativa irrigua, ha liquidato l’indennità aggiuntiva in Euro 424.258,17, in base al valore agricolo medio relativo alla regione agraria in cui è situato il Comune di Liscate. Preso atto che le parti avevano raggiunto un accordo in ordine al valore del soprassuolo, ha liquidato la relativa indennità in Euro 126.150,00, determinando invece in Euro 387.970,00 il deprezzamento conseguente all’espropriazione parziale, riguardante un sesto dell’intera superficie del fondo, in considerazione della divisione del fondo in due porzioni e dell’aumento dei costi gestionali determinato dalla riduzione dell’estensione complessiva. Precisato infine che i fabbricati erano destinati in parte all’attività agricola, in parte ad uso abitativo, ha escluso che la realizzazione dell’autostrada ne avesse comportato una svalutazione, osservando che gli svantaggi connessi alla vicinanza dell’opera erano compensati dall’agevolazione del collegamento viario con la città di Milano.
3. Avverso le predette ordinanze il B. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in nove motivi, illustrati anche con memoria. La Brebemi ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in otto motivi, anch’essi illustrati con memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione, sollevata dalla difesa della controricorrente in relazione all’intervenuta accettazione da parte del ricorrente dell’indennità determinata all’esito della procedura di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21 che ne avrebbe precluso la contestazione in via riconvenzionale, anche in considerazione della intervenuta scadenza del termine per l’opposizione.
In quanto avente ad oggetto la liquidazione effettuata dai tecnici, in ordine alla quale era stata proposta opposizione da parte della Brebemi, l’accettazione dell’indennità da parte del B. non precludeva a quest’ultimo la facoltà di resistere alla domanda, quanto meno al fine di ottenere la conferma dell’importo determinato dai tecnici, la cui riduzione da parte della Corte di merito, traducendosi nella soccombenza in giudizio, impone, in conformità delle regole generali, il riconoscimento in favore del ricorrente della legittimazione ad impugnare la relativa ordinanza. Nessun rilievo può assumere, a tal fine, l’avvenuto decorso del termine per l’opposizione alla stima, dal momento che la tempestiva proposizione della domanda ad opera di uno dei soggetti del rapporto espropriativo comporta il venir meno dell’efficacia vincolante della stima anche nei confronti degli altri, con la conseguenza che ciascuno di essi può legittimamente svolgere, in giudizio, le sue difese in ordine alla determinazione dell’indennità di esproprio. L’unica limitazione, per il convenuto, è rappresentata dalla necessità, in presenza di una stima a carattere definitivo, di formulare un’apposita domanda, da proporsi nelle forme e nei termini previsti per la domanda riconvenzionale, ove intenda ottenere la determinazione dell’indennità in misura inferiore (per l’espropriante) o superiore (per l’espropriato) a quella liquidata in sede amministrativa (cfr. Cass., Sez. I, 20/05/2005, n. 10668; 9/07/2003, n. 10790; 2/03/2001, n. 3048).
2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 3, 27 e 54 e degli artt. 81 e 100 c.p.c., censurando l’ordinanza non definitiva per aver escluso il difetto di legittimazione della Brebemi, senza considerare che la stessa, in qualità di ente espropriante, non è inclusa tra i soggetti ai quali l’art. 54 cit. attribuisce la facoltà di proporre opposizione alla stima. Premesso che nella specie la veste di promotore dell’espropriazione spetta al Consorzio BBM, in qualità di contraente generale incaricato della realizzazione dell’opera, osserva che il capitolato allegato al contratto stipulato tra lo stesso e la Brebemi pone a carico del Consorzio tutte le attività necessarie per l’acquisizione delle aree, ivi compresa la liquidazione ed il pagamento delle indennità e dei corrispettivi comunque dovuti. Aggiunge che nel giudizio di opposizione alla stima l’ente espropriante può rivestire soltanto la qualità di legittimato passivo, e non anche quella di legittimato attivo, spettando ad esso la determinazione dell’indennità di esproprio, che costituisce oggetto del giudizio di opposizione, e l’autorizzazione del pagamento, mentre la titolarità del rapporto giuridico controverso spetta al promotore dell’espropriazione, tenuto alla corresponsione dell’indennità. Sostiene infine che, anche a voler riconoscere la legittimazione dell’opponente, la domanda avrebbe dovuto essere proposta entro trenta giorni dalla data di comunicazione della relazione del collegio dei tecnici.
2.1. Il motivo è infondato.
Com’e’ noto, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 invocato dalla difesa del ricorrente, è stato abrogato, nella parte riguardante la disciplina del giudizio di opposizione alla stima, e sostituito dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29 già in vigore alla data di emissione del decreto di espropriazione, il quale, nell’individuare i destinatari della domanda, distingue, al comma 4, a seconda che l’attore sia il proprietario del bene o il promotore dell’espropriazione, richiedendo nel primo caso la notifica all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione (definito dal D.P.R. n. 327, art. 3, comma 1, lett. d), come “il soggetto, pubblico o privato, che chiede l’espropriazione”) e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione (inteso, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c, cit., come “il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di espropriazione”), e nel secondo caso all’autorità espropriante (da intendersi, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b, come “l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma”) e al proprietario del bene. La norma, che riproduce testualmente i commi terzo e quarto dell’art. 54 cit., aggiunge, al secondo periodo, che, nel caso in cui il pagamento dell’indennità sia stato affidato al concessionario, il ricorso dev’essere notificato anche a quest’ultimo.
La formulazione di tale disposizione, non del tutto perspicua, in quanto orientata principalmente all’individuazione dei legittimati passivi, dev’essere interpretata alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in riferimento alla disciplina anteriore al D.P.R. n. 327 del 2001, e ribadito in gran parte anche a seguito dell’entrata in vigore di quest’ultimo, che ne costituisce in qualche modo una codificazione, sia pure piuttosto imprecisa. In linea generale, è stato infatti affermato che il soggetto tenuto al pagamento dell’indennità di espropriazione, e legittimato a resistere in sede di opposizione alla stima, dev’essere individuato esclusivamente nel beneficiario dell’espropriazione, come indicato nel provvedimento ablatorio, non potendosi considerare parte del giudizio l’autorità espropriante, in quanto estranea alla controversia di carattere patrimoniale tra il beneficiario e l’espropriato (cfr. Cass., Sez. I, 11/10/1999, n. 11370; 13/06/1998, n. 5924; Cass., Sez. I, 14/05/2010, n. 11768; 16/01/2004, n. 539). Tale principio viene ritenuto applicabile anche nell’ipotesi in cui la realizzazione dell’opera pubblica sia il risultato del concorso di più enti, a meno che dal decreto di espropriazione non emerga che il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti e di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative sia stato conferito ad altro ente: a tal fine, si ritiene tuttavia insufficiente un mero accordo interno tra l’espropriante e l’affidatario, richiedendosi che l’affidamento trovi fondamento in una previsione di legge o in un atto amministrativo a rilevanza esterna (delegazione amministrativa, affidamento improprio, concessione traslativa), che abbia trasferito al privato non solo il compito di effettuare le attività preparatorie all’emissione degli atti ablatori, o la facoltà di chiedere all’autorità amministrativa l’emissione degli atti del procedimento amministrativo, ma anche il compito di porre in essere tali atti, direttamente in nome e per conto proprio (cfr. Cass., Sez. I, 25/07/ 1997, n. 6959; 28/05/1991, n. 6029; da ultimo, Cass., Sez. I, 15/ 03/2021, n. 7143; 9/01/2020, n. 214): soltanto in tali ipotesi, infatti, si ritiene che, agendo il privato in qualità di organo indiretto dell’Amministrazione, la sua azione produca nei confronti dei terzi i medesimi effetti che determinerebbe l’azione diretta dell’Amministrazione, alla quale il privato viene sostituito in virtù del trasferimento di poteri, restando pertanto obbligato al pagamento dell’indennità (cfr. Cass., Sez. I, 14/06/2016, n. 12260; 28/10/2011, n. 22523). Diversamente, nel caso in cui l’affidamento abbia avuto ad oggetto esclusivamente il compito di promuovere gli atti del procedimento ablatorio o abbia comportato soltanto l’attribuzione del potere di agire in nome e per conto del delegante (cfr. Cass., Sez. I, 10/07/2020, n. 14780; 29/10/2013, n. 24355), o ancora si sia risolto nel mero accollo degli oneri economici del procedimento espropriativo (cfr. Cass., Sez. I, 20/03/2017, n. 7104; 21/03/ 2007, n. 6807), si ritiene che l’obbligo di provvedere al pagamento delle indennità resti a carico del beneficiario, qualificato pertanto come unico legittimato a resistere in sede di opposizione alla stima.
E’ in quest’ottica che dapprima il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 ed in seguito il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 hanno previsto come parti invariabili del giudizio di opposizione il proprietario, l’autorità espropriante ed il promotore dell’espropriazione, cui può aggiungersi, nel caso in cui la domanda sia proposta dal proprietario, il beneficiario dell’espropriazione, nonché, nel caso in cui il pagamento dell’indennità sia stato affidato al concessionario, anche quest’ultimo: in particolare, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, l’individuazione del promotore, quale figura distinta dal beneficiario ed autonomamente legittimata a proporre l’opposizione alla stima o a resistere alla stessa, può assumere un significato soltanto nelle ipotesi, precedentemente indicate, in cui la gestione del procedimento espropriativo risulti interamente demandata ad un soggetto diverso da quello in favore del quale dev’essere pronunciato il provvedimento conclusivo, a carico del quale sia posto anche il pagamento delle indennità dovute agli espropriati, in forza di una norma di legge o di un atto amministrativo avente efficacia esterna (cfr. Cass., Sez. I; 14/10/2019, n. 25848). Al di fuori delle predette ipotesi, tale figura è destinata a confondersi con quella del beneficiario, cui spetta, in correlazione con l’obbligo di provvedere al pagamento dell’indennità, la legittimazione non solo a resistere all’opposizione, ma anche a proporla, e ciò tanto nel caso in cui sia un soggetto distinto dall’autorità espropriante, quanto nel caso in cui coincida con la stessa. In tal senso depongono alcune sentenze della Corte costituzionale, con cui fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12, comma 5, e art. 20, comma 4, nella parte in cui non prevedevano che l’espropriante (da intendersi all’epoca come il beneficiario dell’espropriazione), in alternativa al pagamento delle indennità accettate dall’espropriato, potesse proporre opposizione alla stima delle indennità di espropriazione ed occupazione (cfr. sent. n. 173 del 1991 e 365 del 1992), mentre fu dichiarata infondata, ma solo perché originata da una lettura forzatamente riduttiva della norma impugnata, la questione di legittimità costituzionale della L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 51 e 69 nella parte in cui non riconoscevano anche alla Pubblica Amministrazione, che avesse proceduto all’occupazione provvisoria o all’espropriazione di un’area, il diritto di opporsi alla stima dell’indennità dovuta al proprietario del fondo espropriato od occupato (cfr. sent. n. 135 del 1994). A fondamento di tali pronunce, fu infatti precisato che il principio del giusto indennizzo dev’essere operante, in base all’art. 42 Cost., comma 3, non soltanto nei confronti dei soggetti passivi dell’espropriazione, ma anche dei “soggetti che la promuovono e che, di conseguenza, hanno un interesse a che l’indennizzo non travalichi la giusta misura prescritta dalla norma costituzionale”; fu altresì richiamato il già citato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che, in riferimento alla disciplina dettata dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, riconosceva espressamente all’espropriante la legittimazione a proporre opposizione alla stima eseguita dal perito, proprio in considerazione dell’obbligo, ordinariamente posto a suo carico, di provvedere al pagamento dell’indennità.
Non merita pertanto censura, nella specie, l’ordinanza non definitiva impugnata, la quale, premesso che il decreto di espropriazione prevedeva il trasferimento della proprietà del fondo in favore della Brebemi, ha ritenuto che la stessa dovesse considerarsi parte del rapporto espropriativo e soggetto obbligato al pagamento dell’indennità, come tale legittimata non solo a resistere all’opposizione alla stima, ma anche a proporla, in qualità di beneficiaria dell’espropriazione. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza fatta valere dal ricorrente, che l’espropriazione non sia stata promossa dalla Brebemi, ma dal Consorzio BBM, in qualità di generai contractor incaricato della realizzazione dell’Autostrada: se è vero, infatti, che in linea generale, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 6, comma 8, l’Amministrazione titolare del potere espropriativo può delegarne in tutto o in parte l’esercizio sia al concessionario che al contraente generale cui sia stata affidata la realizzazione dell’opera, è anche vero però che nella specie tale delega è stata disposta in favore non già in favore del Consorzio, ma della Brebemi, la quale ha provveduto, in qualità di concessionaria, all’emissione del decreto di esproprio, in tal modo assumendo contemporaneamente la veste di autorità espropriante e beneficiaria dell’espropriazione; il Consorzio si è invece occupato esclusivamente degli atti preparatori, in adempimento degli obblighi assunti con il contratto stipulato con la Brebemi, il quale d’altronde, avendo efficacia esclusivamente inter partes, non avrebbe potuto comportare alcun trasferimento di pubbliche potestà da parte della concessionaria in favore del contractor.
2.2. Quanto infine all’asserita tardività dell’opposizione, è pur vero che, come già affermato da questa Corte, l’unitarietà della disciplina dettata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, comma 2, e ribadita dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 3, comporta che il termine di trenta giorni previsto dalle predette disposizioni trovi applicazione a qualsiasi interessato, ivi compreso il promotore o il beneficiario dell’espropriazione, anche nel caso in cui quest’ultimo cumuli in sé anche la veste di autorità espropriante (cfr. Cass., Sez. I, 27/10/2016, n. 21731; 28/02/2011, n. 4880): diversamente opinando, d’altronde, dovrebbe ritenersi che, mentre il proprietario espropriato è tenuto a proporre l’opposizione nel breve termine in questione, il promotore o il beneficiario può contestare la misura dell’indennità in qualsiasi tempo, in contrasto con le esigenze di celerità del procedimento amministrativo e con la tutela dei diritti del proprietario, costretto a subire la privazione del proprio bene senza alcuna garanzia di certezza del ristoro. Non merita tuttavia consenso la tesi sostenuta dalla difesa del ricorrente, secondo cui l’opposizione avrebbe dovuto essere proposta entro trenta giorni dalla notificazione della relazione di stima depositata dai tecnici nominali ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21 intervenuta il 9 aprile 2013; ai sensi tanto dell’art. 54, comma 2, che dell’art. 29, comma 3, cit., la decorrenza del termine per l’opposizione è infatti ancorata alla data di notifica della stima peritale soltanto nel caso in cui la stessa abbia luogo successivamente al decreto di esproprio, dovendosi altrimenti fare riferimento alla data di notifica di quest’ultimo: e poiché nella specie, come precisato dalla stessa difesa del ricorrente, il decreto di espropriazione, recante l’indicazione dell’indennità definitiva, è stato notificato soltanto il 21 novembre 2014, l’opposizione alla stima, proposta con atto notificato il 12 dicembre 2014, deve considerarsi tempestiva.
3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1, e art. 40 nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando l’ordinanza definitiva nella parte in cui ha determinato il valore di mercato del fondo espropriato in base alla stima effettuata dal c.t.u. con metodo sintetico-comparativo: osserva infatti che, ai fini dell’individuazione del valore di fondi aventi caratteristiche omogenee, il c.t.u. ha fatto riferimento a dati desunti non già da atti di compravendita, ma da mere offerte di vendita, espressive di valori potenziali e condizionati da esigenze personali del venditore. Aggiunge che tale circostanza, puntualmente segnalata dal suo consulente di parte, non è stata presa in considerazione dall’ordinanza impugnata, la quale risulta pertanto caratterizzata da una motivazione insufficiente.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La parte che in sede di legittimità intenda dolersi dell’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del c.t.u. non può infatti limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al canone di specificità del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare puntualmente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr. Cass., Sez. III, 13/07/2021, n. 19989; Cass., Sez. I, 17/07/2014, n. 16368; Cass., Sez. II, 13/06/2007, n. 13845). Tale onere, nella specie, non può ritenersi adeguatamente adempiuto attraverso il mero rinvio alla relazione depositata dal c.t.u. e alle osservazioni formulate dal consulente di parte, sia pure accompagnato dall’indicazione delle pagine ritenute rilevanti, non consentendo lo stesso di valutare con immediatezza, sulla base degli elementi risultanti dal ricorso, la pertinenza e la portata, prima ancora della fondatezza delle censure sollevate dal ricorrente, attraverso il confronto tra le affermazioni contestate e le critiche ad esse rivolte, in ordine alle quali vengono denunciati l’inadempimento del dovere di motivazione posto a carico della Corte di merito e la conseguente inosservanza dei criteri legali di determinazione delle indennità dovute.
4. Per analoghe ragioni, è inammissibile il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44 censurando l’ordinanza definitiva per aver determinato l’indennità di asservimento sulla base del valore di mercato del fondo espropriato, anziché dell’indennità di espropriazione, comprendente anche l’indennità aggiuntiva e quella dovuta per il deprezzamento dell’area residua, senza considerare che il ristoro dovuto per l’asservimento dev’essere proporzionato, così come quello dovuto per l’espropriazione, all’uso del fondo ed alla qualifica di imprenditore agricolo del proprietario.
4.1. L’omessa trascrizione dei passi rilevanti della relazione predisposta dal c.t.u. non consente infatti d’individuare, al di là dell’ovvio riferimento alla entità della superficie asservita ed al valore di mercato del fondo, i criteri adottati dal c.t.u. per la determinazione dell’indennità di asservimento, ed in particolare di stabilire se il pregiudizio arrecato alla coltivazione della superficie asservita ed il deprezzamento del residuo, dei quali il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento, abbiano o meno costituito oggetto di valutazione ai fini della quantificazione dell’indennità aggiuntiva e di quella dovuta per la diminuzione di valore del fondo, separatamente liquidate per l’intero esproprio.
5. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50 censurando l’ordinanza definitiva per aver determinato l’indennità dovuta per l’occupazione temporanea in base al valore di mercato del fondo, anziché all’indennità di espropriazione, comprendente anche l’indennità aggiuntiva e quella dovuta per il deprezzamento dell’area residua.
6. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 22-bis e 50 censurando l’ordinanza definitiva per aver determinato l’indennità dovuta per l’occupazione di urgenza in base al valore di mercato del fondo, anziché all’indennità di espropriazione, comprendente anche l’indennità aggiuntiva e quella dovuta per il deprezzamento dell’area residua.
7. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni affini, sono infondati.
L’indennità di occupazione, sia essa temporanea o d’urgenza, ha infatti la funzione di compensare il pregiudizio subito dal proprietario a causa della privazione della disponibilità dell’area nel periodo di tempo previsto dal relativo provvedimento autorizzatorio, e cioè una perdita reddituale che, in quanto collegata esclusivamente al mancato godimento dell’immobile, si differenzia dalla diminuzione patrimoniale conseguente alla perdita della proprietà del suolo espropriato. Tale indennità dev’essere quindi liquidata nella misura prevista dal D.P.R. n. 327 del 2021, art. 22-bis, comma 5 e art. 50, comma 1, con riferimento alla sola superficie indicata dal decreto di occupazione, senza tener conto né del deprezzamento subito dall’area residua, che dev’essere valutato esclusivamente ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione (cfr. Cass., Sez. I; 21/05/2007, n. 11782; 26/03/2004, n. 6086), né, qualora si tratti di fondo non edificabile, dell’indennità aggiuntiva prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 9, che, in quanto avente una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui viene esercitata l’attività agricola. è dovuta soltanto per effetto dell’abbandono dell’area, conseguente all’emissione del decreto di esproprio (cfr. Cass., Sez. I, 22/03/2021, n. 7975; 24/04/2014, n. 9269).
8. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, comma 1, rilevando che, nel determinare il deprezzamento subito dall’area residua, la Corte di merito non ha considerato che il fondo, già suddiviso in due parti solo apparentemente separate dalla Strada provinciale *****, è ora diviso in tre parti, due delle quali risultano separate dall’autostrada, mentre la terza non è più raggiungibile mediante l’attraversamento a raso della Strada provinciale.
9. Il predetto motivo va esaminato congiuntamente al settimo, con cui il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ribadendo che, ai fini della valutazione del deprezzamento subito dall’area residua, l’ordinanza definitiva non ha tenuto conto dell’unitarietà del fondo parzialmente espropriato, della separazione meramente apparente precedentemente determinata dalla Strada provinciale e dell’ulteriore frazionamento determinato dall’espropriazione.
10. Unitamente ai predetti motivi va esaminato l’ottavo, con cui si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurandosi l’ordinanza definitiva per aver escluso il deprezzamento dei fabbricati esistenti nel fondo, senza indicare i criteri in base ai quali ha ritenuto che lo stesso fosse compensato dal miglioramento dei collegamenti viari con la città di Milano. Aggiunge il ricorrente che la Corte di merito ha omesso di valutare gli effetti della realizzazione dell’opera pubblica sul valore complessivo del compendio aziendale, in relazione alla destinazione sia agricola che abitativa degl’immobili, all’impatto acustico ed al peggioramento della qualità dell’aria, nonché all’aumento dei costi gestionali derivante dal venir meno della continuità tra le diverse aree residue.
11. I tre motivi sono inammissibili.
Il frazionamento del fondo in distinte porzioni, derivante dalla realizzazione dell’arteria autostradale, e la prossimità di quest’ultima ai fabbricati insistenti sull’area residua hanno costituito infatti oggetto di specifica valutazione da parte della Corte di merito, che ai fini della liquidazione del deprezzamento subito dalla superficie residua ha ridimensionato l’incidenza negativa del primo fattore ed escluso quella del secondo sul godimento dell’immobile, osservando che già in precedenza quest’ultimo non costituiva un corpo unitario, e ponendo invece in risalto per un verso il rapporto quantitativo tra la area espropriata e quella residua, nonché l’incremento che ne è derivato sotto il profilo dei costi di gestione dell’azienda agricola, e per altro verso i vantaggi derivanti dal miglioramento dei collegamenti viari. Tale valutazione, configurabile come un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non risulta validamente censurata dal ricorrente, il quale non è in grado d’indicare elementi di fatto trascurati dall’ordinanza impugnata, ma si limita ad insistere sull’entità del danno derivante dal frazionamento e di quello riportato dai fabbricati, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cit. ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/ 2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/ 2017, n. 19547).
12. E’ parimenti inammissibile il nono motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 44 nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nella determinazione dell’indennità, l’ordinanza definitiva non ha tenuto conto della natura dell’opera pubblica per la cui realizzazione è stata disposta l’espropriazione, la quale, imponendo l’osservanza delle fasce di rispetto, impedisce l’utilizzazione delle relative superfici per la costruzione di manufatti agricoli.
12.1. In caso di espropriazione parziale, l’incidenza del vincolo d’inedificabilità derivante dall’osservanza delle fasce di rispetto, riconducibile alla destinazione dell’area espropriata alla costruzione o all’ampliamento di un’arteria stradale, traducendosi in una riduzione delle possibilità di sfruttamento del fondo, e quindi in una diminuzione di valore dell’area residua, costituisce indubbiamente un elemento da tenere in conto nella liquidazione dell’indennità dovuta al proprietario (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13598; 5/06/2020, n. 10747): nella specie, tuttavia, l’apprezzamento in ordine all’omessa valutazione di tale elemento risulta precluso dalla mancata trascrizione, a corredo della censura, delle considerazioni svolte in proposito dal c.t.u. e delle osservazioni formulate dal consulente di parte, la quale impedisce di verificare se il venir meno della possibilità di utilizzare a fini edificatori le aree situate a confine con la sede autostradale, sia pure nei limiti consentiti dall’inclusione del fondo in zona agricola, sia stata o meno tenuta in conto nella determinazione del deprezzamento subito dalla superficie non espropriata, e se la relativa questione sia stata sottoposta all’attenzione della Corte di merito.
13. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la Brebemi denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 nonché la nullità dell’ordinanza definitiva, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per contraddittorietà e perplessità della motivazione, sostenendo che, nel riconoscere il pregiudizio derivante dal deprezzamento dell’area residua, la Corte d’appello ha omesso di verificare se l’espropriazione avesse oggettivamente inciso in modo negativo sulla stessa e di motivare la relativa liquidazione.
13.1. Il motivo è inammissibile.
Come si è detto in precedenza, la Corte di merito ha adeguatamente motivato la valutazione compiuta in ordine al pregiudizio subito dall’area residua del fondo espropriato, mediante l’individuazione dei vantaggi e degli svantaggi connessi alla riduzione della superficie complessiva dell’immobile, in relazione alla destinazione dello stesso all’esercizio dell’azienda agricola, ed alla prossimità dell’opera pubblica ai fabbricati insistenti sul fondo. Nel contestare tale apprezzamento, la controricorrente non è in grado d’indicare lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento seguito ai fini della liquidazione dell’indennità, ma si limita a svolgere generiche considerazioni, inidonee a confutare quelle poste a fondamento dell’ordinanza impugnata, in tal modo sollecitando sostanzialmente una rivisitazione dell’accertamento dei fatti, non consentita in questa sede.
14. E’ parimenti inammissibile il secondo motivo, con cui la controricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., censurando l’ordinanza impugnata per aver determinato la superficie dell’area espropriata in 55.027 mq., anziché in 50.880 mq. come indicato nel decreto di espropriazione.
14.1. In quanto riflettente l’errata valutazione del contenuto di un documento prodotto in giudizio, o, al più, un errore percettivo obiettivamente riscontrabile attraverso il confronto con gli atti processuali, il vizio denunciato dalla controricorrente non può essere fatto valere ai sensi delle norme richiamate, risolvendosi alternativamente in un errore di giudizio, non deducibile come motivo di ricorso per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero in un errore di fatto, che potrebbe giustificare la revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Perché sia configurabile una violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è invece necessario che il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi conferitigli dalla legge, oppure che, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle, in assenza di un’apposita previsione di legge, il valore attribuito ad un’altra prova, o ancora che, in presenza di una prova soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. V, 9/06/2021, n. 16016; Cass., Sez. VI, 27/12/2016, n. 27000).
15. Con il terzo motivo, la controricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40 rilevando che, ai fini della determinazione del valore di mercato del fondo, l’ordinanza impugnata si è limitata a recepire le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., senza tenere conto dei rilievi formulati da essa controricorrente, riflettenti l’immotivato riconoscimento di un valore medio superiore a quello concretamente accertato.
16. Il predetto motivo va esaminato congiuntamente al quarto ed al quinto, con cui la controricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 44,22-bis e 50 osservando che l’errata determinazione del valore del fondo si è tradotta in una sovrastima anche dell’indennità di asservimento e delle indennità di occupazione temporanea e d’urgenza.
17. I tre motivi sono inammissibili, per difetto di specificità.
Nel contestare la stima compiuta dal c.t.u. e fatta propria dall’ordinanza impugnata, la controricorrente si limita infatti a riportare un breve passo della relazione dallo stesso depositata, in cui si giustifica la valutazione attribuita al fondo mediante il richiamo delle indagini effettuate, senza trascrivere, a corredo delle proprie censure, le risultanze di tali indagini, così come riferite dal consulente, né le osservazioni da essa formulate nel giudizio di merito, con la conseguenza che risulta impossibile apprezzare, attraverso la lettura del ricorso, il senso e la portata delle doglianze proposte, prima ancora della fondatezza delle stesse.
18. E’ parimenti inammissibile, per difetto di specificità, il sesto motivo, con cui la controricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 22-bis e 50 nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando l’ordinanza impugnata, nella parte in cui, ai fini della liquidazione dell’indennità dovuta per l’occupazione d’urgenza, ha richiamato la quantificazione compiuta dal c.t.u., che aveva tenuto conto del periodo trascorso fino al momento della riconsegna formale dell’area al proprietario, senza prendere in esame i rilievi formulati da essa controricorrente, secondo cui, ai fini della cessazione dell’occupazione, doveva considerarsi sufficiente la restituzione della disponibilità dello immobile, indipendentemente da un provvedimento formale.
18.1. Nel censurare l’individuazione della data di cessazione dell’occupazione, la controricorrente si limita infatti ad affermare che i lavori di rifacimento di un elettrodotto preesistente, per la cui esecuzione era stata disposta l’occupazione, furono ultimati in data anteriore a quella della riconsegna formale dell’area occupata, alla quale il c.t.u. ha fatto riferimento ai fini della determinazione dell’indennità, senza precisare quale fosse il termine di efficacia del decreto di occupazione, e se la riconsegna abbia avuto luogo in data anteriore o successiva alla scadenza dello stesso. Tale omissione non può ritenersi priva di conseguenze ai fini che qui interessano, dal momento che, ove la riconsegna avesse avuto luogo in data successiva, l’indennità dovrebbe ritenersi dovuta soltanto fino alla scadenza del termine, risultando l’occupazione illegittima per il periodo successivo, con la conseguente insorgenza dello obbligo di risarcire il danno arrecato al proprietario: premesso infatti che la revoca o la cessazione dell’efficacia del relativo provvedimento autorizzatorio non comporta il venir meno dell’occupazione, a tal fine occorrendo un atto di riconsegna del bene al proprietario, in mancanza del quale l’occupazione diviene illegittima e fonte di responsabilità per l’occupante (cfr. Cass., Sez. I, 27/02/2003, n. 2952; 1/10/1999, n. 10866), deve ritenersi che nel caso di specie non assuma alcun rilievo la data dell’ultimazione dei lavori, non essendo stato neppure dedotto che alla stessa abbia fatto riscontro la revoca del decreto di occupazione.
19. E’ altresì inammissibile il settimo motivo, con cui la controricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40 e la nullità dell’ordinanza impugnata, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per difetto di motivazione, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere dovuta l’indennità aggiuntiva, la Corte di merito non ha tenuto conto della mancata dimostrazione della qualità di coltivatore diretto del proprietario e della coltivazione del fondo con lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia.
19.1. Nel censurare l’accertamento compiuto dall’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’indennità aggiuntiva, la ricorrente contesta in particolare l’affermazione della qualità di coltivatore diretto dell’espropriato, richiamando le osservazioni formulate nelle note conclusive depositate nel giudizio di merito, ma omettendo di riportarle a corredo delle proprie censure, in tal modo rendendo impossibile qualsiasi valutazione in ordine al lamentato inadempimento dell’onere di motivazione gravante sulla Corte di merito.
20. Con l’ottavo motivo, la controricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censurando l’ordinanza impugnata per aver posto integralmente a suo carico le spese di lite e quelle della c.t.u., senza tenere conto dell’intervenuto accoglimento dell’opposizione e del rigetto della domanda riconvenzionale, che avrebbero imposto la condanna del convenuto alle spese o quanto meno la compensazione delle stesse.
20.1. Il motivo è inammissibile.
In tema di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è infatti rimessa al potere discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio è insindacabile in sede di legittimità, a meno che non si traduca nella violazione del principio per cui le spese non possono essere poste, in tutto o in parte, a carico della parte totalmente vittoriosa (cfr. Cass., Sez. I, 16/06/2011, n. 13229; Cass., Sez. III, 16/06/2003, n. 9631; 7/04/2000, n. 4371). Tale principio, nella specie, non può ritenersi violato in ragione del mero accoglimento dell’opposizione proposta dalla Brebemi, né del rigetto della domanda riconvenzionale proposta dal B., essendo pacifico che l’ordinanza impugnata non ha integralmente accolto né le richieste dell’attrice né quelle del convenuto, sicché, non potendo nessuna delle due parti considerarsi totalmente vittoriosa, spettava alla Corte di merito il potere di stabilire quale di esse avesse visto accogliere le proprie istanze in misura prevalente, e regolare di conseguenza le spese processuali.
21. Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati, con l’integrale compensazione delle spese processuali, avuto riguardo alla reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e il ricorso incidentale dallo stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022
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