LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1253-2021 proposto da:
M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato SANTINO FORESTA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINA CALI;
– ricorrente –
contro
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO – LEGA NAZIONALE DILETTANTI –
COMITATO REGIONALE SICILIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI MARIO MARTINO GIOVANNI MUNAFO’;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 991/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 09/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 03/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI LAURA.
RITENUTO
che:
Con atto di citazione notificato in data 16 gennaio 2013 M.L. propose opposizione tardiva avverso il decreto numero 129/2010, con il quale le era stato ingiunto il pagamento, in favore della Federazione Italiana Giuoco Calcio CALCIO – LEGA NAZIONALE DILETTANTI – COMITATO REGIONALE SICILIA (FIGC), dell’importo di Euro 9.373,38=, oltre interessi e spese.
Costituitasi in giudizio, l’opposta chiese la pronuncia dell’inammissibilità dell’opposizione e, nel merito, il rigetto.
Il Tribunale di Siracusa, ritenuta nulla notificazione del decreto ingiuntivo ed affermata la tempestività dell’opposizione, revocò il decreto opposto e condannò la FIGC al rimborso delle spese processuali.
Avverso tale denuncia la soccombente interpose appello.
La Corte catanese, con la sentenza in epigrafe indicata, ha riformato la prima decisione accogliendo l’appello, nella contumacia dell’originaria opponente M..
Segnatamente, ha affermato che il termine per proporre opposizione tardiva, ai sensi dell’art. 650 c.p.c., è di quaranta giorni dalla conoscenza che comunque l’ingiunto abbia avuto dell’atto da opporre e che ove la parte opposta intenda contestare la tempestività dell’opposizione tardiva in relazione alla regolarità della notifica, sulla stessa ricade l’onere di provare il fatto relativo all’eventuale conoscenza anteriore del decreto da parte dell’ingiunto, che sia in grado di rendere intempestiva, e quindi inammissibile, l’opposizione tardiva. Quindi, in relazione al caso concreto, ha statuito che, “pacifico essendo che l’atto di precetto era stato notificato a mani della M. in data 8 ottobre 2012, ella non avrebbe certamente potuto ignorare l’esistenza del titolo esecutivo emesso nei propri confronti (del quale avrebbe già dovuto presumere la notifica, ancorché invalida) al fine di proporre tempestivamente opposizione ai sensi dell’art. 650 c.p.c.” (fol. 3 della sent. imp.), nel termine che andava a scadere il 17 novembre 2012 e risultava inesorabilmente scaduto alla data del 16 gennaio 2013, allorquando venne notificato l’atto di opposizione.
Pertanto, ritenuti assorbiti tutti gli altri motivi, la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’opposizione proposta e condannato la odierna ricorrente alle spese del primo e del secondo grado di giudizio.
M. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo; la FIGC ha replicato con controricorso.
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo M.L. lamenta la violazione dell’art. 650 c.p.c..
Sostiene che il giudice di appello ha errato nel ritenere intempestiva l’opposizione ed ha invocato l’applicazione dell’art. 650 c.p.c., u.c., ove è detto “L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione”.
2. Il motivo è infondato e va respinto.
3. La sentenza impugnata fa applicazione del principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui, ai fini della legittimità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo (di cui all’art. 650 c.p.c.) non è sufficiente l’accertamento dell’irregolarità della notificazione del provvedimento monitorio, ma occorre, altresì, la prova – il cui onere incombe sull’opponente – che a causa di detta irregolarità egli, nella qualità di ingiunto, non abbia avuto tempestiva conoscenza del suddetto decreto e non sia stato in grado di proporre una tempestiva opposizione. Tale prova deve considerarsi raggiunta ogni qualvolta, alla stregua delle modalità di esecuzione della notificazione del richiamato provvedimento, sia da ritenere che l’atto non sia pervenuto tempestivamente nella sfera di conoscibilità del destinatario. Ove la parte opposta intenda contestare la tempestività dell’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c., in relazione alla irregolarità della notificazione così come ricostruita dall’opponente, sulla stessa ricade l’onere di provare il fatto relativo all’eventuale conoscenza anteriore del decreto da parte dell’ingiunto che sia in grado di rendere l’opposizione tardiva intempestiva e, quindi, inammissibile (Cass. Sez. U, Sentenza n. 14572/2007; conf. Cass. n. 2608/2018, Cass. n. 19938/2020, Cass. n. 26155/2021).
3. Nel caso di specie, la Corte di appello ha accertato che sin dalla notifica del precetto, avvenuto a mani proprie della ricorrente, questa aveva avuto conoscenza del decreto ingiuntivo e avrebbe potuto pertanto spiegare opposizione, fruendo legittimamente dei quaranta giorni previsti per l’opposizione, ma non vi aveva provveduto, lasciandoli inutilmente decorrere e tale circostanza non risulta contestata dalla ricorrente.
4. Questa, invero, invoca, a suo favore, l’applicazione dell’art. 650 c.p.c., u.c., e richiama il precedente di legittimità che puntualizza “L’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo – che il debitore intimato può esperire qualora non abbia avuto conoscenza del decreto per nullità della notificazione (…) – deve essere proposta nel termine di dieci giorni dal primo atto d’esecuzione, che essendo normalmente percepito e conosciuto dal debitore, lo immette nell’effettiva condizione di valersi dell’indicato rimedio, non già dalla notifica del precetto, che, di regola, costituisce soltanto l’antecedente necessario per poter procedere all’esecuzione.” (Cass. n. 12155/1995), precedente che non si attaglia alla fattispecie in esame.
5. Invero, l’art. 650 c.p.c., comma 1, prevede che “L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”, mentre l’ultimo comma, stabilisce che “L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione”: dalla lettura coordinata dei due commi, risulta palese che il comma 1 attribuisce una sorta di remissione in termini “mobile” all’ingiunto, alla ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi, come precisati dalla giurisprudenza di legittimità prima ricordata sub 2 (irregolarità della notificazione e mancata conoscenza del decreto da parte dell’ingiunto), mentre l’ultimo comma fissa il termine ultimo – anch’esso “mobile” – entro il quale ciò può avvenire (non oltre i dieci giorni dal primo atto di esecuzione), sempre che l’ingiunto non abbia avuto in precedenza conoscenza dell’atto.
Riassumendo, in caso di irregolare notificazione del decreto ingiuntivo, il termine per proporre opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c., è di quaranta giorni dalla conoscenza dell’ingiunto, comunque avuta, dell’atto da opporre (v. p. es. la cit. Cass. n. 2608/2018). Del resto, sarebbe paradossale che l’irregolarità della notificazione, in mancanza dell’inizio dell’esecuzione, rendesse l’opposizione proponibile sine die, in difformità del congegno che sta alla base del procedimento monitorio, che sottopone l’introduzione del giudizio di opposizione ad un termine perentorio. Dunque, l’art. 650 c.p.c., u.c., ha da essere inteso nel senso che, indipendentemente dalla fruizione, da parte dell’ingiunto, del termine di quaranta giorni per l’opposizione, essa è inammissibile decorsi dieci giorni dall’inizio dell’esecuzione, sicché può accadere che l’ingiunto abbia a disposizione per l’opposizione soltanto dieci giorni, ove abbia per la prima volta avuto conoscenza del decreto solo al momento della notificazione del pignoramento.
Orbene, la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Cass. n. 12155/1995) è palesemente focalizzata solo sul termine ultimo per proporre opposizione tardiva e chiarisce che questo non può essere fatto decorrere dall’atto di precetto, ma dal primo atto di esecuzione.
La tesi propugnata dalla ricorrente, secondo la quale il primo atto di esecuzione, indicato dall’ultimo comma, sarebbe, invece, il termine iniziale, a decorrere dal quale avrebbe potuto spiegare l’opposizione non trova alcun conforto, né nella norma in esame, né nel principio di legittimità richiamato, e non considera nemmeno che, nel caso di specie, la Corte di appello ha accertato che l’ingiunta aveva avuto conoscenza del decreto ingiuntivo anteriormente al primo atto di esecuzione e, segnatamente, quanto meno dalla notifica dell’atto di precetto.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022