Assegno divorzile, capacità lavorativa del coniuge, indagine del giudice di merito

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.8057 del 11/03/2022

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Assegno divorzile, capacità lavorativa del coniuge, indagine del giudice di merito

L'indagine del giudice di merito circa la capacità lavorativa del coniuge istante va condotta secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente giustificare l'affermazione della "esistenza di una fonte adeguata di reddito" - onde negare il diritto all'assegno divorzile in capo all'istante - specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire, sic et simpliciter, la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato. 

Il riconoscimento dell‘assegno di divorzio in favore dell‘ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell‘art. 5, comma 6, della 1. n. 898 del 1970, richiede l‘accertamento dell‘inadeguatezza dei mezzi dell‘ex coniuge istante, e dell‘impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell‘assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico— patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all‘età dell‘avente diritto.

All‘assegno divorzile in favore dell‘ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo— compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell‘autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate»; 3) «la funzione equiilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch‘essa assegnata dal legislatore all‘assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall‘ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

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Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 11 marzo 2022 n. 8057

Numero registro generale 37155/2019
Numero sezionale 642/2022
Numero di raccolta generale 8057/2022
Data pubblicazione 11/03/2022


REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati
MARIA ACIERNO Presidente
CLOTILDE PARISE Consigliere
GIULIA IOFRIDA Consigliere — Rel.
ROSARIO CAIAZZO Consigliere ua,
MASSIMO FALABELLA Consigliere

SENTENZA

FATTI DI CAUSA

La Corte d‘appello di Roma, con sentenza n.5418/2019, depositata in data 9/9/2019, ha parzialmente accolto l‘appello proposto da (omissis) , nei confronti di (omissis) , avverso la sentenza del Tribunale del 2017, che aveva, definitivamente pronunciando, a seguito di sentenza parziale del 2016, di declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra le parti il — cmissis —, posto a carico dell‘ tomissis , a titolo di contributo al mantenimento della figlia (omissis) —, maggiorenne ma non autosufficiente economicamente e convivente con la madre, l‘importo di € 600,00 mensili, con decorrenza da maggio 2017, oltre al 50% delle spese straordinarie, nonché, a titolo di assegno divorzile, l‘importo d € 2.200,00, sempre a partire dal maggio 2017, somme da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat.

In particolare, i giudici d‘appello, respingendo il gravame dell‘ crsssis — in punto di entità del contributo al mantenimento della figlia, hanno determinato in € 1.000,00 mensili l‘importo dell‘assegno divorzile dovuto dall‘ XXXXX» — all‘ex coniuge, con decorrenza e rivalutazione «già stabilita nella sentenza appellata», tenuto conto della durata del matrimonio (la separazione consensuale dei coniugi era stata omologata nel maggio 2012), del prevalente apporto del marito al ménage familiare, essendosi la moglie dedicata alla famiglia, alla crescita ed educazione delle figlie, avendo la stessa intrapreso una modesta attività lavorativa solo in prossimità della separazione, ma anche dei seguenti fatti:

a) in sede di separazione, la stessa ”” aveva ritenuto congruo l‘importo di € 1.000,00 mensili come sufficiente a garantirle il mantenimento dello stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;

b) essa aveva migliorato la propria situazione economica, avendo conseguito la disponibilità della ex casa coniugale (che l‘ex marito aveva, dopo la separazione, acquistato, intestandone la nuda proprietà alla figlia con diritto di usufrutto a favore della ”);

c) essa aveva dismesso volontariamente l‘attività lavorativa di addetta alla mensa, per ragioni di salute, e, non avendo prodotto un certificato medico attestante una sopravvenuta inabilità lavorativa, non aveva dimostrato di avere cercato, dal 2013 ad oggi, senza esito, un lavoro;

d) alcun accrescimento patrimoniale per l‘° cmissis — era sopravvenuto, in quanto l‘eredità paterna era stata ricevuta dal medesimo nel 2011, anteriormente agli accordi in sede di separazione personale, e comunque non si trattava di un accrescimento frutto di attività lavorativa, sul quale la YYYY non poteva vantare alcuna aspettativa tutelata.

Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 10/10/2019, (omissis) propone ricorso per cassazione, notificato il 3/12/2019, affidato a quattro motivi, nei confronti di (omissis) (che resiste con controricorso, notificato il 20/12/2019). Entrambe le parti hanno depositato memoria.
 

RAGIONI DELLA DECISIONE


1. La ricorrente lamenta:

a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.5, comma 6, I. 898/1970, 2,3,29 Cost., 2697 c.c., in punto di individuazione dei criteri di quantificazione dell‘assegno divorzile per esclusione della funzione compensativa e perequativa dell‘assegno;

b) con il secondo motivo, l‘omesso esame di fatti storici decisivi, ex art.360 n. 5 c.p.c., in punto di redditi e patrimonio dell‘obbligato e di omessa valutazione dell‘incremento della capacità patrimoniale e reddituale dell‘ crissis — dall‘omologa della separazione, nonché in ordine alla situazione — reddituale di — essa — ”” — ed — all‘inadempimento dell‘ crissis» — all‘obbligo di pagamento delle spese straordinarie della figlia;

c) con il terzo motivo, sia la nullità della sentenza e del procedimento, ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione dell‘art.132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e dell‘art.111 Cost., per irriducibile contraddittorietà ed illogicità della motivazione, sia la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell‘art.2697 c.c., in punto di ritenuta colpevolezza — dell‘attuale personale — inoccupazione lavorativa esclusivamente dalla cessazione volontaria di quel rapporto e dall‘assenza di un‘inabilità lavorativa;

d) con il quarto motivo, sia la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione dell‘art.112 c.p.c., per ultrapetizione, sia la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell‘art.9, comma 1, 1.898/1970, per avere stabilito la decorrenza e la rivalutazione dell‘assegno divorzile con effetto dalla pubblicazione «della sentenza di primo grado appellata», invece che dalla decisione in appello, in assenza di un‘espressa domanda di parte di retrodatazione.

2. Le prime due censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono infondate.

La ricorrente si duole del fatto che la Corte d‘appello non abbia vagliato — correttamente — il ” presupposto — del — riconoscimento dell‘assegno ex art.5 comma 6 della legge n. 898 del 19787 RONE* modificato dalla legge n. 74 del 1987, costituito dalla inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l‘assegno e dall‘impossibilità dello stesso di procurarseli per ragioni oggettive.

Peraltro, nel presente giudizio non è in contestazione la spettanza alla YYY dell‘assegno divorzile ma solo la sua entità, avendo la Corte d‘appello ritenuto congruo il mantenimento dell‘importo di € 1.000,00 mensili, concordato dai coniugi nel maggio 2012, in sede di separazione consensuale omologata dal Tribunale, escludendo che vi fossero ragioni, correlate alla modifica delle condizioni economico— patrimoniali degli ex coniugi, tali da giustificare l‘incremento ad € 2.200,00 di tale assegno, come deciso in primo grado.

Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che:

1) «il riconoscimento dell‘assegno di divorzio in favore dell‘ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell‘art. 5, comma 6, della 1. n. 898 del 1970, richiede l‘accertamento dell‘inadeguatezza dei mezzi dell‘ex coniuge istante, e dell‘impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell‘assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico— patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all‘età dell‘avente diritto»;

2) «all‘assegno divorzile in favore dell‘ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo— compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell‘autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate»; 3) «la funzione equiilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch‘essa assegnata dal legislatore all‘assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall‘ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi».

La Corte d‘appello ha compiuto una corretta valutazione dei presupposti dell‘assegno divorzile, non più parametrato come quello di mantenimento in sede di separazione al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, e, fermo il riconoscimento dell‘assegno alla ”», considerata l‘inadeguatezza dei suoi redditi e l‘apporto dato dalla stessa al ménage familiare, essendosi dedicata alla famiglia ed alla crescita ed educazione delle figlie, ne ha determinato l‘entità in € 1.000,00, dando rilievo al fatto che la ”=, mentre non aveva dimostrato una personale inabilità lavorativa (essa aveva svolto, in passato, una, sia pure modesta, attività di addetta alla mensa), aveva visto migliorare la propria situazione economica rispetto all‘epoca della separazione, avendo acquisito l‘usufrutto sulla casa nella quale vive con la figlia maggiorenne ma non autosufficiente, grazie all‘acquisto operato dall‘ex coniuge (con intestazione della nuda proprietà dell‘immobile, del valore di € 400.000,00, alla figlia), aveva potuto acquistare, con un finanziamento, — un‘autovettura nuova, mentre la situazione dell‘ XXXXX — non si era modificata nel senso di un miglioramento sotto il profilo economico—patrimoniale, per effetto, invariata la situazione reddituale, di quanto ricevuto per eredità a seguito di decesso del padre nel 2011, perché non si trattava di un accrescimento derivante da attività lavorativa dell‘ex coniuge, al cui nascere la richiedente l‘assegno avesse potuto in qualche misura avere contribuito, così da poter vantare una legittima aspettativa.

Non vi è stata dunque violazione dell‘art.5, comma 6, L.898/1970.

Né ricorre l‘omesso esame lamentato di fatti decisivi, avendo la Corte d‘appello esposto le varie ed esaustive ragioni per le quali riteneva adeguata la fissazione in € 1.000,00 dell‘assegno divorzile. Quanto all‘inadempimento dell‘ XXXX — all‘obbligo di contribuire alla quota del 50% delle spese straordinarie, si tratta di questione che ha formato oggetto di altre vertenze, avendo la ”” azionato in sede monitoria il credito relativo e l‘ ZZZZZ) — proposto opposizione, che le part peraltro hanno transatto.

Con il vizio motivazionale, in realtà, ci si limita a criticare l‘apprezzamento delle risultanze processuali operato dal giudice di merito, contrapponendo a tale apprezzamento quello ritenuto più corretto dalla parte e sviluppando argomenti di mero fatto che non possono essere scrutinati in sede di legittimità.

3. La terza censura è infondata.

Non ricorre alcun vizio di irriducibile contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza ovvero di inversione dell‘onere probatorio laddove la Corte d‘appello ha fatto riferimento alla mancata dimostrazione da parte della «©===:» della propria inabilità lavorativa e di essersi attivata per trovare lavoro, pur riconoscendo che la stessa, per scelta familiare condivisa, non ha mai acquisito una specifica competenza lavorativa: la Corte d‘appello ha soltanto voluto sottolineare che la ”», quanto alla sua capacità reddituale da lavoro, non aveva dimostrato di essere nell‘impossibilità, per ragioni di inabilità personali, di procurarsi un reddito da lavoro.

Vero che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto inidonea ad escludere l‘obbligo di corrispondere un contributo di natura — assistenziale la sola generica (e nella specie non professionale) capacità lavorativa. In particolare, ha stabilito che, con riguardo alla capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell‘assegno, l‘indagine del giudice di merito, onde verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell‘attribuzione dell‘assegno, va condotta «secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente (nella specie, di estetista) giustificare l‘affermazione della ”esistenza di una fonte adeguata di reddito” — onde negare il diritto all‘assegno divorzile in capo all‘istante —, specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal. caso, legittimamente inferire, ”sic et simpliciter”, la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato» (Cass. 6468/1998; conf. Cass. 4584/2000). E l‘irrilevanza, al riguardo, della generica ed astratta possibilità del coniuge di procurarsi lavori saltuari è stata più volte ribadita da questo giudice di legittimità (Cass. 10260/1999), essendosi chiarito che tale indagine, condotta in sede di merito, deve esprimersi sul piano della concretezza e dell‘effettività, tenendo conto di tutti gli elementi e fattori (individuali, ambientali, territoriali, economico sociale) — della specifica fattispecie (Cass. — 432/2002; — Cass. 13169/2004).

Ma, nella specie, non è in discussione la mancanza attuale di redditi da lavoro della ””, cui è stata riconosciuta la spettanza dell‘assegno divorzile, ma la congruità dell‘entità di detto assegno e la Corte d‘appello, nella sua determinazione, ha anche valutato, oltre alla generale situazione economico patrimoniale della ””, il fatto che la stessa, in relazione alla capacità e possibilità effettive di lavoro personale, da un lato, aveva svolto, nel 2011, attività lavorativa retribuita, salvo essersi poi, nel 2013 volontariamente dimessa, e, dall‘altro lato, non aveva offerto prova dell‘incolpevolezza dell‘attuale inoccupazione, non documentando, ad es., una sopravvenuta inabilità lavorativa.

4. Il quarto motivo è infondato.

La Corte d‘appello, riformata la decisione di primo grado sul punto, ha determinato l‘assegno divorzile nella ridotta misura di € 1.000,00 mensili «con la decorrenza e la rivalutazione già stabilita nella sentenza appellata»: il Tribunale, come si evince dalla sentenza d‘appello qui impugnata, aveva disposto la decorrenza dell‘assegno da «maggio 2017», data di pubblicazione della decisione definitiva di primo grado.

Ora, in relazione all‘assegno divorzile, occorre differenziare i due profili della decorrenza e della irripetibilità, sempre che sia possibile affermarne il carattere alimentare.

Invero, quanto al primo profilo, esso è previsto dalla legge e, ove il giudice di merito non ne fissi, espressamente motivando, la decorrenza dalla data della domanda, avvalendosi della facoltà sancita dall‘art. 4, decimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, esso spetta, in genere, dalla data della sentenza che ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio poiché l‘assegno di divorzio traendo la sua fonte nel nuovo ‘”status” delle parti ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia di risoluzione del vincolo coniugale (Cass. 4424/2008; Cass. 20024/2014, in ordine alla possibilità di motivata decorrenza dalla data della domanda; Cass. 19330/2020). Si tratta di un potere discrezionale, ancorato alle circostanze del caso concreto (Cass. 20024/2014; Cass. 24991/2010) e la motivazione espressa è necessaria solo in caso di anticipazione della suddetta decorrenza, dalla data della domanda anziché alla data del giudicato sul divorzio (Cass. n. 20024/2014 e n. 212/2016).

Il secondo profilo opera in sede di escussione del titolo.

Nella specie, si discute solo di decorrenza e non ricorre né il vizio di violazione di legge, né quello motivazionale denunciati.

Invero, fermo il giudicato sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, con sentenza parziale del gennaio 2016, la Corte d‘appello ha ridotto, riformando sul punto la decisione di primo grado del 2017, l‘entità dell‘assegno divorzile spettate alla ”=, fissandone la decorrenza dalla data di pubblicazione della decisione di primo grado (maggio 2017), in data comunque successiva al giudicato sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La ricorrente deduce, invece, che la decorrenza della nuova misura dell‘assegno, quale determinata, in misura ridotta rispetto al primo grado, doveva individuarsi nella successiva data di notifica del ricorso in appello («29/3/2018»). Ma richiama giurisprudenza relativa al rapporto tra revisione dell‘assegno ex art.9 1.898/1970 e sentenza di divorzio, che notoriamente integra, sulle condizioni economiche, un giudicato rebus sic stantibus (Cass. 11913/2009; Cass. 16173/2015), che risulta del tutto inconferente.

Risulta  corretta quindi, in difetto di congrua doglianza, l‘individuazione della decorrenza dell‘assegno divorzile, come rideterminato in appello, dalla data di pubblicazione della decisione di primo grado, comunque successiva a quella di passaggio in giudicato della sentenza parziale sul divorzio del gennaio 2016.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell‘art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell‘importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 24 febbraio 2022.

Il Presidente

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